Il Post, 13 gennaio 2025
Trump, i danesi e la Groenlandia
Questa settimana, con cadenza pressoché quotidiana, sulle homepage di tutti i giornali internazionali c’erano articoli sulla Groenlandia: un posto di cui solitamente si sente parlare molto poco. La ragione è che il prossimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è nuovamente fissato sull’idea, già espressa durante il suo primo mandato, di comprare o comunque ottenere l’enorme isola che fa parte del territorio della Danimarca, pur con grande autonomia. Nei giorni scorsi ci sono stati sviluppi che hanno fatto ritenere l’ipotesi più concreta della volta prima, nel 2019, quand’era stata considerata una provocazione: l’hanno presa seriamente i governi coinvolti, in una specie di triangolo di dichiarazioni sul futuro dell’isola, e soprattutto c’è stata una visita semiufficiale in Groenlandia di Donald Trump Jr., il figlio maggiore di Trump.
Tra meno di due settimane, il 20 gennaio, Trump si insedierà come presidente per la seconda volta. Il periodo immediatamente precedente al suo ritorno alla Casa Bianca si è contraddistinto per una retorica estremamente minacciosa e interventista, anche nei confronti del Canada e del canale di Panama.
Della Groenlandia Trump ha ripreso a parlare con insistenza a fine dicembre, quando ha annunciato la nomina del nuovo ambasciatore in Danimarca presentando il controllo dell’isola come un’«assoluta necessità» per la sicurezza degli Stati Uniti: già oggi l’isola è sede di una importante base militare statunitense, e ormai da molti anni è ambita anche dalla Cina per via della presenza di molti metalli rari nel suo territorio. Martedì durante una conferenza stampa Trump ha detto che non esclude l’uso della forza, oltre alla coercizione economica, per raggiungere questo obiettivo. Lo stesso giorno Trump Jr. è arrivato a Nuuk, la capitale groenlandese.
Le ultime dichiarazioni, così aggressive, hanno creato un certo trambusto. Da un lato hanno costretto i governi di Danimarca e Groenlandia a prendere una posizione ufficiale sulla questione. Dall’altro hanno accelerato le discussioni già in corso sul futuro dell’isola.
La Groenlandia è stata una colonia danese per secoli, dal 1953 ha proprie istituzioni di governo e dal 2009 ampi margini di autonomia in politica interna. Nel suo discorso di inizio anno il primo ministro groenlandese, Múte Egede, forse approfittando della grande ed estemporanea visibilità che stava ottenendo l’isola, ha annunciato di voler convocare un referendum per la piena indipendenza insieme alle elezioni per il parlamento locale, da tenere entro il 6 aprile.
Una veduta di Attu, in Groenlandia (Ida Marie Odgaard/Ritzau Scanpix via AP)
Le cose si sono ulteriormente ingarbugliate con l’arrivo di Trump Jr. Inizialmente lui stesso aveva parlato di un viaggio privato, nonostante i toni da visita di stato con cui l’ha raccontato sui social, l’aereo con la scritta dorata Trump e la bandiera americana sulla fusoliera, i cappellini MAGA distribuiti in giro e gli incontri con i sostenitori locali. Poi è intervenuto Trump senior, con una specie di investitura: ha scritto in un post che Donald Jr. e gli altri erano suoi rappresentanti, e che sperava trovassero un accordo al più presto. Nello stesso post adattava il suo slogan più famoso al nome in inglese della Groenlandia: Make Greenland Great Again.
Egede, il primo ministro groenlandese, ha detto in più occasioni che il paese non è in vendita. «Il nostro desiderio è diventare indipendenti un giorno. Ma la nostra ambizione non è passare dall’essere governati da un paese a un altro», ha aggiunto il ministro delle Finanze groenlandese, Erik Jensen. Mercoledì il governo locale ha diffuso un comunicato in cui ribadisce il proprio diritto all’autodeterminazione, dicendosi comunque pronto a parlare con la nuova amministrazione Trump.
Il comunicato ricorda la presenza di una grossa base aerea statunitense in Groenlandia, a Pituffik, per confutare la principale motivazione addotta da Trump e dai Repubblicani, cioè che l’isola non sarebbe difesa adeguatamente (in caso di attacco russo o cinese attraverso l’Artico). In virtù di un accordo del 1951, infatti, gli Stati Uniti possono costruirvi basi e muovere liberamente soldati e mezzi purché informino il governo locale e quello danese. La Danimarca peraltro è membro della NATO, l’alleanza militare di cui fa parte la maggioranza dei paesi occidentali e in cui gli Stati Uniti hanno un ruolo egemone. Nella storia recente dell’alleanza non è mai accaduto che due paesi si combattessero fra loro: nel caso, gli Stati Uniti perderebbero buona parte della propria credibilità internazionale.
È possibile che le minacce di Trump servano a ottenere altri scopi. A fine dicembre, dopo le prime lamentele di Trump, la Danimarca si era comunque già impegnata a spendere 1,5 milioni di dollari per rafforzare le dotazioni militari dell’isola, ristrutturando anche l’aeroporto di Kangerlussuaq per consentirne l’utilizzo ai caccia F-35 delle forze armate statunitensi (e di diversi altri stati della NATO o loro alleati).
Múte Egede, primo ministro groenlandese dal 2021, a Copenhagen il 9 gennaio (Mads Claus Rasmussen/Ritzau Scanpix via AP)
Questa reazione mostra il diverso atteggiamento del governo danese rispetto al primo mandato di Trump – e forse, più in generale, di vari governi. Sei anni fa la prima ministra danese Mette Frederiksen aveva definito «assurda» l’idea di Trump di comprare la Groenlandia, e lui per ritorsione aveva cancellato una visita nel paese. Martedì Frederiksen, che è ancora prima ministra, ha detto di essere «contenta dell’aumento dell’interesse statunitense per la Groenlandia», definendolo «legittimo». Giovedì sera Frederiksen ha anche chiesto un incontro con Trump.
Mercoledì invece ce n’era invece stato uno tra Egede e il re danese Frederik decimo, che tra l’altro da poco ha fatto modificare lo stemma reale ingrandendo il simbolo della Groenlandia (l’orso polare).
In questa occasione il ministro degli Esteri danese, Lars Løkke Rasmussen, ha detto che il suo paese riconosce le ambizioni della Groenlandia e le rispetterà: «Se si concretizzeranno la Groenlandia diventerà indipendente, ma difficilmente diventerà uno stato federale degli Stati Uniti». I ministri degli Esteri di Francia e Regno Unito hanno sostenuto la posizione danese; il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto che il principio dell’inviolabilità dei confini si applica a ogni paese, «non importa se molto piccolo o molto potente». «Prendiamo questa situazione molto, molto seriamente», ha detto sempre Løkke Rasmussen.
Il ministro degli Esteri danese, Lars Løkke Rasmussen, risponde ai giornalisti in parlamento, l’8 gennaio (Liselotte Sabroe/Ritzau Scanpix via AP)
Trump, per forzare la mano, ha già minacciato di introdurre dazi commerciali sui principali prodotti di esportazione della Danimarca. È una minaccia a cui Trump ricorre spesso nei confronti dei paesi su cui vuole fare pressione. Un’analisi della confindustria danese ha stimato che dazi del 10 per cento sulle esportazioni danesi negli Stati Uniti causerebbero una contrazione del 3 per cento del PIL del paese: la Danimarca fra le altre cose esporta negli Stati Uniti l’Ozempic, il discusso farmaco contro il diabete che molte persone assumono per dimagrire, compreso Elon Musk, stretto consigliere di Trump. Al tempo stesso, l’economia groenlandese dipende per il 60 per cento dalla Danimarca.
La ragione per cui la Groenlandia è così ambita, al di là delle preoccupazioni di tattica militare per l’Artico, è che è ricchissima delle cosiddette materie prime critiche: un gruppo di metalli necessari per il settore tecnologico, perché hanno un ruolo fondamentale nella costruzione dei microchip e di vari componenti, ma anche per la transizione energetica. La Groenlandia ha riserve sotterranee conosciute di circa 43 dei 50 materiali che il dipartimento di Stato statunitense considera critici, e di 25 dei 34 indicati dalla Commissione Europea.
Il ministro della Difesa, Troels Lund Poulsen, la prima ministra Mette Frederiksen, e quello degli Esteri Lars Løkke Rasmussen, il 9 gennaio (Emil Helms/Ritzau Scanpix via AP)
In tutto questo non è chiarissimo cosa vogliano gli abitanti della Groenlandia. Questa settimana vari giornali internazionali hanno pubblicato loro interviste che si potrebbero sintetizzare con un «No, grazie» all’offerta di Trump: ma non sono ovviamente un campione statisticamente significativo. La prospettiva dell’indipendenza dalla Danimarca in futuro, invece, ha un sostegno più diffuso tra la popolazione: era favorevole il 67,7 per cento degli adulti intervistati in un sondaggio del 2019 realizzato dall’università di Copenaghen.
Recentemente il quotidiano Politiken ha raccontato chi è il contatto di Trump in Groenlandia, e che quindi potrebbe assumere nei prossimi tempi un ruolo sempre più rilevante nella politica locale. È un muratore 50enne di nome Jørgen Boassen: è stato lui a organizzare parte del viaggio di Trump Jr. e a fargli da guida a Nuuk. Il New York Post, un tabloid statunitense di destra e piuttosto screditato, l’ha definito uno dei principali influencer della Groenlandia. Ha meno di 300 follower su Instagram e circa 1.900 su Facebook, che forse sono pochi anche per un paese di 57mila abitanti.
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