Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  gennaio 12 Domenica calendario

Giuseppe Antonelli e le regole della lingua: sono strumenti di libertà (assai glamour...)


Apprendere bene la nostra lingua italiana è una splendida avventura di conoscenza e insieme di libertà intellettuale e civile. E la scuola può non essere una gabbia ossessiva e oppressiva per i ragazzi ma diventare una macchina fantasiosa di idee, confronti, creatività per crescere e maturare insieme. Di più: può persino nascere una «Accademia d’arte grammatica» fondata dagli stessi ragazzi impegnati a giocare con il vocabolario alla continua scoperta di parole e di significati.
Un’utopia? No: però bisogna avere la fortuna di imbattersi nei professori giusti. Chiunque insegni dovrebbe leggere con attenzione Il mago delle parole (Einaudi, in uscita dopodomani, martedì 14), il nuovo libro di Giuseppe Antonelli, famoso linguista, professore ordinario di Storia della lingua italiana a Pavia, direttore del Multi (il Museo multimediale della lingua italiana) e firma nota ai nostri lettori per ciò che scrive sulle pagine del «Corriere della Sera» e del supplemento «la Lettura» ma anche sulla sua rubrica settimanale su «7» L’ultima parola. Lezioni di italiano.
Chi lo conosce e lo apprezza ritrova in lui l’insegnamento dello scomparso Luca Serianni, un maestro convinto quanto Antonelli che la padronanza della lingua sia un mezzo per diventare cittadini autonomi e mai sudditi del potere politico, di quello intellettuale e degli stessi media, social inclusi. Nel libro – avrebbe potuto non farlo, quindi va a suo merito – Antonelli racconta una dolorosa bocciatura: la riprova che gli insuccessi scolastici producono anche future affermazioni, forse più di certe promozioni falsamente buoniste.
Antonelli ricostruisce la propria lontana storia scolastica quando, in un imprecisato anno dei suoi studi liceali, appare in classe un professore eccentrico nell’aspetto e nei metodi. Ed è lui il mago delle parole che cambierà la vita del collettivo e quindi del futuro docente di linguistica: niente compiti in classe, niente voti tradizionali, niente punizioni, solo la capacità di fare leva sulla curiosità e la sete di sapere tipici dell’adolescenza, materiali a portata di mano di qualsiasi docente ma raramente compresi e valorizzati.
Nell’incipit Antonelli doverosamente cita l’iconico professor John Keating protagonista de L’attimo fuggente: «Imparerete ad assaporare parole e linguaggio, Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo». Leggendo il libro è inevitabile ripensare a quel film per il clima che si crea nella classe. Scrive Antonelli spiegando che cosa rappresentò l’anno irripetibile e la rivoluzione intellettuale rappresentata dal suo arrivo: «L’incitamento a rivoltare le parole da tutte le parti, fino a trovarne il lato che ci piace di più. Fino a trovare ogni volta l’incastro giusto per quello che vogliamo dire. L’insegnamento di non fermarci mai alla superficie, non accontentarci mai del primo significato. Ma scavare a fondo, per scoprire il doppio fondo delle frasi. Per capire che cosa vogliono dire davvero le parole che sentiamo: cosa vogliono convincerci a fare o a pensare o ad accettare, condividere, comprare. Ci ha insegnato a essere liberi, libere».
Antonelli riporta il lettore tra gli alunni della sua classe. Lo strano professore sa come spiegarsi ai ragazzi ma senza fingere di essere uno di loro perché resta sempre, a suo originalissimo modo, in cattedra: «No, la grammatica non è noiosa, anzi: voglio dirvelo chiaro e tondo, una volta per tutte. La grammatica è una gran figata. È affascinante, intrigante, è stilosa, è alla moda, di tendenza: è trendy. Per essere più precisi, la grammatica è glamour». E subito spiega, come in una favola, perché usa quel vocabolo: «La parola latina grammatica è arrivata a un certo punto nella lingua francese, diventando grimoire: parola usata per riferirsi ai libri di stregoneria. Di lì è passata allo scozzese glamer, che significava incantesimo e poi – eccoci qua – all’inglese glamour. Parola che, come spiegano i dizionari, allude a un incanto misterioso, a un irresistibile fascino. La grammatica è glamour: è una magia che ammalia, è l’arte di incantare con le parole». Ed è solo un esempio di giochi-lezioni tra le decine e decine possibili.
Scoperte
Il linguista attinge alla propria storia scolastica quando
un professore rivoluzionò l’insegnamento dell’italiano
Il mago delle parole si diverte anche a raccontare l’evoluzione della nostra lingua svelando come Giacomo Leopardi (e così Dante, Petrarca e Boccaccio) usasse il fantozziano «vadi» e altri congiuntivi oggi ritenuti errori imperdonabili. Per spiegarsi ricorre spesso alla musica, ai testi di Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Jovanotti ma anche Domenico Modugno. Su una simile onda, la classe inventa l’Accademia d’arte grammatica, una società segreta che ha come sacro testo il vocabolario per ingaggiare vere e proprie cacce ai tesori linguistici tenendo conto anche delle variabili territoriali (e qui si vede la passione messa da Antonelli nella realizzazione del Multi con le sue mappe). Ragazze e ragazzi hanno nomi propri ma è chiaro che l’autore ricostruisce i suoi ricordi inserendo però tanta materia dei suoi studi e delle sue ricerche.
Il libro è una dichiarazione d’amore per la ricchezza dell’italiano ed è l’ eloquente testimonianza personale di quanto un docente preoccupato di trasmettere un solido sapere e non di seguire acriticamente i programmi ministeriali possa incidere sulle vite dei propri alunni.
Alla fine dell’anno il mago delle parole sintetizza il giudizio di ogni ragazza o ragazzo in un sonetto personalizzato.
Antonelli conserva ancora il proprio, un’autentica profezia della sua futura carriera accademica («Hai imparato che gusto dà studiare/ Hai visto cosa posson le parole/Ahi lasso ch’eri, e sarai luminare»). Il mago delle parole poi sparirà così come era comparso, lasciando il posto a una povera professoressa normale che dovrà fare amaramente i conti con un metodo irraggiungibile.
In appendice una piccola palestra d’arte grammatica (con soluzioni in fondo) per i lettori del libro: riuscire a collocare un brano letterario nel secolo giusto, il vero significato del verbo cazzare, il plurale di sdraio, un sinonimo per confutazione.
L’uso dell’Italiano regala libertà, ed è anche una raffinata arte di esprimersi.