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 2025  gennaio 11 Sabato calendario

Trump va preso sul serio, ma non alla lettera

Gli storici chiamano «strana guerra» il periodo compreso tra il settembre 1939 e il maggio 1940 – quando tra la Germania e i suoi antagonisti europei si adoperarono parole più che armi. Negli Stati Uniti stiamo assistendo a una «strana presidenza» da quando il presidente eletto Trump e i suoi alleati hanno iniziato a parlare ben prima di poter passare all’azione. Grazie a Dio, e ci si perdoni, questo strano periodo finirà il 20 gennaio, con la cerimonia inaugurale del nuovo mandato di Trump, dopo di che inizieremo a vedere la vera presidenza.Quelle parole – come sempre, nel caso di Trump, grande esperto di media – sono state pronunciate dopo essere state studiate con il proposito di attirare l’attenzione sia dell’opinione pubblica americana sia di quella dei governi stranieri. Durante la sua prima campagna elettorale del 2016, Peter Thiel – all’epoca il suo alleato tech-miliardario più importante, ex collega di Elon Musk a PayPal – disse una cosa memorabile: la cosa fondamentale con Trump è prenderlo «sul serio, ma non alla lettera». Trump non intende fare tutto quello che dice, insomma, ma di fatto, dal punto di vista di Thiel, ha intenzioni serie.Mettendo insieme quello che Trump ha detto durante la sua campagna elettorale e quello che va dicendo in questo periodo di strana presidenza iniziato il 5 novembre, credo che si possano già delineare le seguenti cinque conclusioni su quali potrebbero essere le sue intenzioni.La prima conclusione è che sarebbe tremendamente sbagliato affermare, come fanno alcuni commentatori, che Trump o il suo partito Repubblicano sono favorevoli a un ritorno all’isolazionismo che caratterizzò la politica americana e la politica estera americana negli anni Trenta. Un isolazionista non minaccia di invadere Panama o la Groenlandia, né di trasformare il Canada nel cinquantunesimo stato americano.Trump e il suo movimento America First sono unilateralisti che esecrano gli impegni oltreoceano e disprezzano gli alleati, ma naturalmente intendono esercitare il loro potere a livello internazionale, non certo rintanarsi in casa propria. Oltretutto, se Panama e Groenlandia rivestono qualche importanza nella mente di Trump, probabilmente lo si deve al fatto che egli li considera strumenti nella rivalità dell’America con la Russia e la Cina, non fini a sé stessi.La seconda conclusione è che Trump crede di aver bisogno di apparire forte, se vuole che l’opinione pubblica americana continui a essere convinta che egli «rifarà grande l’America», ma anche di dover apparire forte e fiducioso se vuole che i suoi obiettivi in politica estera siano coronati da successo. Le sue provocazioni in merito a Panama, Groenlandia e Canada sono state calcolate per servire entrambi questi scopi. In linea con il commento di Thiel, Trump non dovrebbe essere preso alla lettera in nessuno di questi casi, ma di sicuro ha la seria intenzione di apparire un uomo forte e agire in quanto tale.Occorre tenere bene a mente questo quando si trae la terza conclusione, riguardo all’Ucraina e la Russia. Tutti, soprattutto Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, sapevano che l’affermazione di Trump di poter porre fine alla guerra «in 24 ore» non doveva essere presa alla lettera. Tuttavia, se parlava sul serio quando ha affermato di poter riuscire ad arrivare a un cessate-il-fuoco, adesso dovrà apparire un uomo forte e agire di conseguenza, non tanto nei suoi rapporti con Zelensky, bensì con Putin.È presumibile che dopo il 20 gennaio Trump e il suo inviato speciale, il tenente generale in pensione Keith Kellogg, cercheranno il modo di ostentare questa posizione dura: quasi sicuramente continuando a dare qualche aiuto militare all’Ucraina, ma altrettanto verosimilmente facendo capire che le richieste intransigenti di Putin non hanno alcuna possibilità di essere accolte. A impedire che si svolgano seri colloqui di pace sono le richieste di Putin, non quelle di Zelensky.Da presidente che si è autoproclamato e dichiarato uomo forte, Trump vorrà colpire prontamente Putin con l’equivalente diplomatico di uno spintone sul torace per fargli perdere l’equilibrio e fargli capire qual è la posizione dell’America. Come deciderà di farlo sarà l’indizio precoce più importante delle intenzioni di Trump in politica estera, segnale che sarà visto non soltanto da Mosca e da Kiev, ma anche da Pechino, Teheran e Pyongyang, perché Cina, Iran e Corea del Nord sono altri nemici dell’America. Di sicuro Trump e i suoi uomini della sicurezza nazionale sanno che questa decisione e la sua attuazione verosimilmente faranno capire l’andazzo di tutti e quattro i prossimi anni. Non si darà mai abbastanza importanza a quel segnale.La quarta conclusione è che la contraddizione più ardua da risolvere tra le varie proferite da Trump è quella che riguarda le finanze pubbliche dell’America. È risaputo che Trump e i suoi sostenitori Repubblicani vogliono aumentare la spesa degli Stati Uniti per la Difesa e mostrare alla Cina che l’America intende mantenere la sua superiorità militare. Non dimeno il suo incitamento ai membri della Nato a fissare un nuovo obiettivo del 5 per cento del Prodotto interno lordo per la spesa della Difesa, rispetto all’attuale del 2 per cento. Non è plausibile se si tiene conto che il budget per la Difesa che sta per ereditare dal presidente Joe Biden corrisponde solo al 3,4 per cento del Pil.Per l’Italia passare dall’attuale 1,5 per cento del Pil al 5 per cento sarebbe semplicemente impossibile, tenuto conto delle limitazioni di bilancio alle quali deve sottostare il governo Meloni. Per l’America, in ogni caso, passare dal 3,4 per cento del Pil al 5 per cento in un periodo in cui il disavanzo del bilancio federale degli Stati Uniti è al 6,3 per cento del Pil è altrettanto implausibile, soprattutto per un’Amministrazione Trump che ha promesso di mantenere gli sgravi fiscali sul reddito che stanno per scadere. Il debito pubblico complessivo dell’America è superiore al 120 per cento del Pil, non poi tanto distante da quello italiano del 138 per cento.Quanto detto ci porta alla quinta e ultima conclusione: quasi certamente la cerchia dei miliardari vicino a Trump, capeggiata da Elon Musk, riuscirà a spingere la sua Amministrazione a liberalizzare ogni settore imprenditoriale, che si tratti di quello energetico, di quello finanziario o di quello dei social media, ma non riuscirà a persuaderlo a fare nuovi cospicui investimenti pubblici, Difesa inclusa. La deregulation non costa niente al Tesoro, quanto meno non direttamente, e ha tutto il fascino di una crescita economica più veloce, quanto meno sul breve periodo.Permettetemi di aggiungere un’ultima conclusione ancora. Chiunque pensi – come il presidente argentino Javier Milei o Musk – che attualmente esiste un asse libertario e liberalizzante che collega Trump, Milei, Meloni e altri partiti europei di estrema destra non sa niente di Italia. Per Musk e Milei arriverà presto il momento di capire che il governo Meloni può difendere molte cose, ma liberalizzazione, libertarismo e libertà di espressione non sono tra queste.