La Stampa, 11 gennaio 2025
La riscoperta persino ammirata della riservatezza
La vicenda di Cecilia Sala, poiché per fortuna e bravura del governo è finita bene, porta con sé tanti edificanti risvolti, e non si finirebbe mai d’elencarli. Io qui chiudo la settimana con un deliziato stupore per la riscoperta persino ammirata della riservatezza. Comprendere il necessario di non dire e di non sapere, cogliere il risvolto luminoso dell’opacità. Come è nato l’improvviso viaggio di Giorgia Meloni da Donald Trump? Boh. Che cosa si sono detti? Boh. Meloni ha dovuto promettere qualcosa? Boh. Ma poi l’ingegnere iraniano c’entra e fino a che punto c’entra? Boh. Chi ha trattato con gli ayatollah? Boh. Qual è stato il ruolo dei servizi segreti? Boh. Teheran avrà una contropartita? Boh. E di che natura ed entità? Boh. Niente di niente. Si è arrivati all’inesplorato punto del silenzio o perlomeno della reticenza stampa. Qualcuno della mia professione starà ora cercando il riscatto e lo scoop, e va bene perché nessuno lo sta facendo mentre invoca il diritto alla trasparenza. Ci si sarà forse resi conto che la casa di vetro come supremo valore della democrazia – e che raggiunse l’apogeo dell’ipnotismo con le riunioni in streaming imposte dai grillini, perché agli italiani nulla fosse occultato, e si finì col propinargli recite a soggetto – è una cretinata da podio olimpico. La trasparenza non è un valore: talvolta può essere necessaria, talvolta utile, talvolta inutile, talvolta ridicola, talvolta dannosa. La democrazia è esercizio del potere e siccome al potere capita di dover affondare nel torbido, alla democrazia capita di doversi sporcare le mani. E di farlo di nascosto, per il bene di tutti.