Libero, 9 gennaio 2025
Intervista a Davide Santacolomba, pianista sordo
Se i miracoli hanno un suono è quello delle note che nascono dalle dita di Davide Santacolomba quando scivolano sui tasti bianchi e neri del pianoforte. Dietro la sua musica tersa c’è molto più di uno straordinario talento, c’è la forza di una passione che supera i limiti, l’amore per la musica che riempie il silenzio assoluto delle sue orecchie. «Un pianista sordo? Impossibile», sentenziava qualche maestro ma lui è andato avanti per la sua strada, l’unica possibile, e ha cambiato verso al destino. Oggi insegna pianoforte al Conservatorio di Perugia, ha vinto numerosi premi nazionali e internazionali, ha suonato anche alla Philarmonic Hall di Varsavia, una delle più importanti al mondo, a Tokyo, nella Englemann Hall della New York University. Davide ripercorre il suo cammino ricordando soprattutto i maestri che gli hanno dato una possibilità credendo in lui e in quel suo sogno che sembrava un’assurdità, una lotta impari contro la sorte avversa.
Quando ha scoperto di essere sordo?
«Alla nascita non mi hanno diagnosticato nulla. Quando avevo otto anni mia nonna Concetta si è accorta che non mi giravo quando mi chiamava e che ero sempre troppo vicino al televisore. Così, dopo i primi accertamenti all’audiologia infantile di Palermo, i miei genitori mi hanno portato al Niguarda di Milano. Qui mi hanno confermato la diagnosi di grave ipoacusia neurosensoriale bilaterale».
Ha memoria dei suoni?
«Fino all’età di tre anni percepivo i suoni gravi e quelli medio-gravi, mentre gli acuti non li sentivo affatto. Poi mi sono sottoposto a un intervento per l’applicazione di un impianto cocleare così, per la prima volta, ho avuto idea di che cosa fosse un acuto. Il primo apparecchio era un Ab Naída Q70, adesso ne ho uno molto più sofisticato di nome “Marvel” che permette di connettermi via bluetooth e sentire i dispositivi collegati».
Il suo apparecchio si chiama Marvel?
«Sì, sono un supereroe», dice scherzando. «Oggi non sento proprio più nulla e l’impianto non ha una buona percezione del registro grave perché lavora soprattutto sul parlato che si trova nel registro medio-acuto».
E come fa a suonare?
«Tutto quello che deve essere suonato nel registro grave, lo studio prima in quello acuto».
È faticoso…
«Molto. Perché il registro grave è riservato all’armonia della musica, la cosiddetta parte accordale. Devo sfruttare in gran parte l’orecchio della mia mente».
Facciamo un passo indietro. La prima volta che ha visto un pianoforte?
«La vita è proprio strana. Proprio quando la mia sordità è stata messa nero su bianco dopo la visita al Niguarda, ho visto un pianoforte. Ero stato invitato a casa della sorella della mia maestra».
E che cosa succede?
«Lei, sapendo che potevo sentire solo le note gravi, mi ha suonato “Fra Martino campanaro”. Dentro di me è successo qualcosa difficile da spiegare, credo fosse un’esplosione».
E che cosa ha fatto?
«Ho chiesto di sedermi al pianoforte e ho cominciato a riprodurre quel suono ad orecchio, ma senza orecchio».
E con quale orecchio?
«Quello della mente».
Lei è come Beethoven…
«Lui è un dio».
Anche lui non sentiva.
«Non scherziamo. Non esistono certi paragoni. Lui non nasce sordo, lo è diventato. Ha lasciato un’eredità sacra per tutte le generazioni a venire. Una musica senza tempo, io sono solo un umile interprete della sua arte».
Dopo il primo incontro con il piano che cosa è successo?
«Alle scuole medie, durante l’ora di musica, suonavo la mia piccola tastiera ed era come se ritrovassi me stesso. Così ho deciso di prendere lezioni private con la maestra Paola Sciotto che è diventata un’amica».
Voleva imparare a suonare?
«Volevo assolutamente entrare al Conservatorio di Palermo perché sapevo che quella era la mia strada, nonostante tutto. Ricordo ancora la prova di ammissione, avevo imparato i suoni a memoria che sentivo solo in parte, ma riuscivo a immaginarli perfettamente».
Come si fa a immaginare un suono che non si conosce?
«La musica è anche logica. Do-re-mi… Sente? È un crescendo per cui le note più alte posso immaginarle ragionando. Per me è stato tutto molto più complicato, ma…».
Ma?
«L’alternativa era rinunciare. Smettere di suonare voleva dire morire».
Alla fine è stato ammesso al Conservatorio?
«Sì, con un lungo applauso della commissione che mi guardava sbalordita. Ma non è stato tutto semplice. Il maestro del primo anno mi stroncava. Mi diceva che non avrei fatto nulla con la musica, che un sordo non può e non deve suonare. Non voleva che mi presentassi all’esame di ammissione del secondo anno. Ma io ci provai lo stesso e fui promosso».
Si è mai chiesto che cosa l’ha spinta a insistere? Più la passione o la testardaggine?
«Ho insistito perché sapevo che solo la musica poteva salvarmi».
Ha mai pensato di smettere?
«Tante volte. Ho avuto forti crisi per la doppia fatica che dovevo fare rispetto agli altri. Mi arrabbiavo, mi chiedevo “perché proprio io?“».
E che risposta si dava?
«Ogni volta tornavo al mio posto, al pianoforte».
I suoi genitori?
«Mi hanno sempre sostenuto. A loro devo tutto. Un giorno, la mia seconda maestra in conservatorio Giovanna De Gregorio, durante un mio esame ha detto ai miei “Davide è un miracolo”. Immagini la loro emozione».
Che cosa è successo dopo il diploma al Conservatorio di Palermo?
«Nel 2017 ho frequentato un prestigioso master a Lugano, al Conservatorio della Svizzera italiana, sotto la guida della pianista Anna Kravtchenko che mi ha abilitato all’insegnamento. In seguito, mi sono iscritto a un altro corso di perfezionamento. È arrivata una supplenza al liceo musicale Como, successivamente sono tornato a insegnare a Palermo allo Zen, un quartiere non facile, poi al Conservatorio di Messina e nel 2023 mi convocano al Conservatorio di Palermo per insegnare».
Come mai adesso è a Perugia?
«Ho vinto il concorso e ne sono felice. La graduatoria definitiva è uscita l’11 novembre, il giorno del mio compleanno. E mi sono convinto che sia stato un regalo di mio padre da lassù. Lui era il mio primo fan, mi manca tantissimo».
Gli studenti come vivono la sua sordità?
«Sono collaborativi. Chiedo di suonare prima con una mano e poi con l’altra così posso distinguere i singoli suoni e, eventualmente, correggere qualche errore».
Il primo suono che ha sentito dopo l’intervento alle orecchie?
«Quello della pioggia quando cade giù impetuosa, il rumore della risacca quando il mare risucchia le onde, il frinire delle cicale e il suono dei calici di cristallo quando si toccano per brindare».
Un suono che le piacerebbe sentire?
«La musica del mio pianoforte la sento dentro di me, mi piacerebbe invece sentire quella del violino e del flauto traverso».
Molti suoi concerti finiscono con tanti applausi. Lei li sente?
«Certo, e poi vedo il pubblico felice».
Ha mai usato la sordità come scusa per non sentire le idiozie di certe persone?
«Sì».
Come va con la voce delle donne?
«Un tempo, non sentendo gli acuti, dovevo puntare sulle labbra, leggevo il labiale».
E ora?
«Adesso con la loro voce va decisamente meglio. Rispetto a tutti gli altri ho un vantaggio: con un clic posso spegnere l’impianto e eclissarmi nel silenzio delle mie orecchie».