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 2025  gennaio 09 Giovedì calendario

Intervista a Nancy Brilli

«Chi è Immacolata? È una donna “immacolata”, di nome ma non di fatto, perché mossa dai peggiori sentimenti: avida, invidiosa, egoista, violenta... una specie di Lady Macbeth che manovra gli uomini per raggiungere i propri obiettivi». Nancy Brilli torna in palcoscenico con L’ebreo di Gianni Clementi. Una black comedy fortemente voluta da Vincenzo Bocciarelli, direttore artistico del Teatro dei Rinnovati di Siena, dove lo spettacolo debutta domani con la regia di Pierluigi Iorio.
La vicenda prende il via dall’entrata in vigore delle leggi razziali italiane nel 1938, quando gli ebrei romani, per mettere al riparo i propri beni da possibili espropri, li intestano a prestanomi fidati. Ed è quello che accade a Immacolata e suo marito Marcello Consalvi (Fabio Bussotti) che, a causa della cattura e deportazione del loro padrone ebreo, si ritrovano improvvisamente ricchi proprietari di appartamenti e negozi.
«Sì, ma quando il poveretto torna a Roma sano e salvo dalla prigionia, e bussa alla porta reclamando le sue proprietà – riprende Brilli – Immacolata, che appartiene al basso proletariato, non intende assolutamente rinunciare ai privilegi economici e sociali cui si è abituata, e progetta addirittura di farlo uccidere».
Una donna terribile...
«Sì ma quando ho letto il copione, ho deciso subito di interpretarla perché è totalmente diversa da me. Infatti, ho dovuto misurarmi con delle battute orrende».
Per esempio?
«Arriva ad affermare, in romanaccio, che “baffetto c’haveva proprio ragione con ’sti ebrei”, riferendosi ovviamente a Hitler. In quanto Nancy, lo trovo ripugnante, ma in quanto Immacolata lo trovo aderente al personaggio e, quando si recita, si è altri da sé».
Si è spesso cimentata in ruoli molto diversi da lei...
«Eccome no? In televisione, nella miniserie Caterina e le sue figlie, impersonavo addirittura un’obesa e, in quel caso, ho scoperto che cosa significhi essere grassi. Durante le riprese, andando in giro così camuffata, tra un ciak e l’altro, non venivo riconosciuta e mi sono resa conto della discriminazione di cui sono vittime queste persone. Non ci rendiamo conto di quali privilegi possano godere i “belli”».
Lei, una bella donna, da bambina però si sentiva un brutto anatroccolo. Perché?
«Ho perso mia madre quando avevo nove anni. Sono stata cresciuta da mia nonna paterna, di cui ho un pessimo ricordo. Di solito i nonni sono degli accoglienti rifugi per i nipoti, ma non nel mio caso».
Perché?
«Era molto dura, severa, frustrava ogni mio entusiasmo, inoltre odiava l’idea della femminilità che secondo lei, in me, doveva essere cancellata. Così, quando ancora frequentavo la prima media, mi rapò i capelli a zero. Ma proprio davanti a me era seduta una compagna molto antipatica e certamente non bella, che però aveva una fluente capigliatura: quando si passava le dita tra i capelli, provavo un’autentica sofferenza essendo tosata come una pecora e lottavo contro l’impulso di appiccicarle il chewing gum sulla nuca. Da allora, non ho più avuto un buon rapporto con i miei capelli. Ho provato invidia, un sentimento che scaturisce dalla mancanza di autostima, di cui ho continuato a soffrire, da adolescente, nei confronti dei compagni in generale: mi sembravano tutti più bravi, più fichi. A 18 anni sono arrivata all’autolesionismo».
Addirittura.
«Proprio così, perché in famiglia nessuno mi faceva complimenti, vivevo in uno stato di abbandono, dove non mi si filava nessuno».
In teatro con l’one woman show Sette, ha declinato i sette vizi capitali. Oltre all’invidia, in quali altri si riconosce?
«Il mio peggiore vizio è l’accidia, una pigrizia insormontabile che, detta da una come me iperattiva sembra strano. Corro, corro, faccio, faccio, poi mi blocco e non muovo più un dito. L’ira l’ho provata in passato, prendevo fuoco con niente, adesso per farmi arrabbiare deve succedere qualcosa di drammaticissimo. L’avarizia e la superbia? Assolutamente no. La lussuria? A fasi alterne...», ride.
I pregi?
«Mi sono sempre occupata e continuo a occuparmi dei problemi delle donne che subiscono violenza, non riesco a sopportarlo. Ricordo quando saltai addosso al marito di una mia amica che la picchiava regolarmente: quella volta non ci ho visto più, per difenderla l’ho aggredito ma, mettendomi in mezzo fra loro, le ho prese pure io!».