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 2025  gennaio 09 Giovedì calendario

Tornare al latino per comunicare la scienza?

Perché non tornare all’uso del latino per comunicare la scienza come è avvenuto per secoli? La suggestione torna saltuariamente e la rivista Nature l’ha appena estratta dal suo archivio storico ripubblicando un articolo di 50 anni fa. Vale la pena giocarci, noi che del latino o del latinorum siamo i portatori sani o, perlomeno, legittimi. La questione in verità venne risolta già nel Seicento da Galileo Galilei che è vero che pubblicò il Sidereus Nuncius nel 1610 in latino. Ma visto che puntava alla popolarità pensò subito alla versione nel ricco idioma fiorentino come sappiamo da una lettera inviata il 19 marzo dello stesso anno a Cosimo de’ Medici: «Sì perché oltre ai librai ne sono pregato da molti, sì ancora perché credo che le muse toscane non taceranno in così grande occasione le glorie di questa serenissima casa». Il latino permetteva ai grandi scienziati di comunicare come difatti accadde tra lo stesso Galilei che aveva un latino succinto e didascalico e Keplero che invece sembrava essere andato a scuola da Cicerone. Ma al tempo stesso escludeva. Lo stesso Italo Calvino che considerava Galilei il più grande scrittore italiano in prosa, dopo il Machiavelli, raccontava come non si fosse mai appassionato alla rigida nomenclatura del Linneo usata dalla madre Eva Mameli per le piante. Ma che si risvegliasse in lui l’interesse a sentire quegli stessi nomi indicibilmente storpiati dai suoi inservienti. Dante stesso considerava il latino una lingua «artificiale». Immaginiamoci dunque a parlare di scienza e tecnologia in latino. Come diremmo dell’intelligenza artificiale? Cerebrum artificialiter o machina sapiens. L’e-mail sarebbe una epistula electronica. Per non parlare del Word Wide Web che – è bene ricordarlo – è nato al Cern. Ecco nel 1989 l’annuncio di Tim Berners-Lee: habemus Magna aranea mundi, come avrebbe detto Catullo, la grande ragnatela del mondo. Un po’, in effetti, è così.