4 dicembre 2024
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Biografia di Hanif Kureishi
Hanif Kureishi, nato a Bromley (Regno Unito) il 5 dicembre 1954 (70 anni). Scrittore (di romanzi, saggi, racconti, sceneggiature, testi per il teatro).
Titoli di testa «Decidere di diventare uno scrittore è un atto pubblico: dopo, non puoi più nasconderti, da nessuna parte al mondo» [British Library, 2013].
Vita Nasce e passa la sua giovinezza a Bromley, sobborgo londinese a una quindicina di chilometri dalla città, nella contea del Kent, che quando Hanif era bambino mostrava ancora i segni dei bombardamenti della guerra • «Abbiamo sempre considerato il fiume come uno spartiacque cruciale. Parlavamo sempre di andare a Londra» [Lacher, 1990, Los Angeles Times] • Suo padre Rafiushan era pakistano e musulmano: abitava con la famiglia, benestante, nell’allora città di Madras occupata dagli inglesi, che oggi si chiama Chennai • «Grande famiglia, servi, campo da tennis, cricket: qualunque cosa. Mio padre ha frequentato la Cathedral School frequentata da Salman Rushdie. Più tardi, in Pakistan, la mia famiglia era vicina ai Bhutto. Mio zio Omar era editorialista di un giornale e manager della squadra di cricket del Pakistan. Mio nonno, il colonnello, era terrificante. Un duro giocatore d’azzardo, un bevitore, donnaiolo. L’ambiente intorno a lui era come ne Il Padrino. Uomini che bevevano e spettegolavano, donne che andavano e venivano» • Negli anni Quaranta il futuro padre di Hanif va a studiare legge a Londra. Lì conosce l’inglese Audrey Buss: si sposano e hanno due figli, Haif e Yasmin • «Da bambino mio padre mi batteva in tutto – boxe, cricket, scacchi – e questo mi ha reso competitivo in modo autodistruttivo» • «Il mio fratello gemello, che a quanto pare morì alla nascita, si sarebbe chiamato Karim [...]. La mamma preferiva non parlarne – trovava fastidiose la maggior parte delle conversazioni – ma a volte diceva che aveva avuto un altro bambino nel suo grembo, che [se fosse nato, ndr] avrebbe aumentato il suo fardello» • «Non sono stato un bambino felice, ma neppure infelice» • «A quei tempi i genitori erano meno poliziotti. Ti davano due soldi all’inizio della giornata e non si aspettavano di vederti fino a sera. Andavo in bici tutto il giorno, mi fermavo dove volevo e parlavo con chiunque avesse una storia da raccontarmi. Sono ancora così» • «Mia madre aveva frequentato scuole d’arte e sono cresciuto circondato da libri d’arte fin da piccolo [...]. Potevo andare spesso in città a visitare le mostre alla Royal Academy, alla Tate o alla National Gallery» [Pratesi, ArtTribune] • «Andavo in biblioteca tutti i giorni» • A scuola era un «disastro», e viene discriminato per le sue origini: «Il razzismo con cui sono cresciuto veniva da un senso di superiorità coloniale» [Elle, 2015] • «Mi sono sempre sentito un ragazzo inglese fino a che la gente non ha iniziato a chiedermi: “Il tuo posto è davvero qui?” oppure “Ti senti a casa in Inghilterra?”» [Lacher, cit.] • A scuola lo chiamano Brownie, paki e anche «faccia di merda». «Un insegnante si riferiva a me solo come Pakistani Pete» [Lacher, cit.] • «C’ero uno skinhead, la cui madre era un’amica di mia madre, che all’ora di pranzo mi tormentava in modo particolarmente feroce. Mi costringeva a entrare negli armadietti, mi nascondeva sotto i cappotti e mi prendeva a calci finché non cedevo. E anch’io una volta ho attaccato un altro studente, che bullizzavano tutti. Gli ho tirato delle bacche, sporcandogli la maglietta e facendolo arrabbiare» • «Quando avevo tra i 14 e i 18 anni ero un delinquente, ero sempre nei guai. Infrangevo la legge, mi drogavo» [Elkann, 2016] • «Ero sul treno per la costa con Bill Broad, Steve Bailey e un altro compagno di scuola, quando Bill, ora conosciuto come Billy Idol, mi fece scivolare una pastiglia di acido sulla lingua. Poi si alzò, abbassò il finestrino e mi ordinò di gettare fuori l’orologio. Quell’orologio, che mia madre aveva vinto con i francobolli dello Scudo Verde [una raccolta punti, ndr], era stato il mio regalo per i sedici anni. Billy disse: “Fallo, ora! Il tempo non conta”. Obbedii» • Da ragazzino assistette al successo dei Beatles: «È stato un grande esempio per noi ragazzi di periferia: “Anche noi potremmo essere così”» • A 15 anni fonda una band, gli Orange Socks, ma durano poco perché non erano molto bravi • «Se non fossi diventato uno scrittore, sarei rimasto in periferia come i miei amici. Che lavorano nelle assicurazioni, nelle dogane, nelle accise, nelle banche, gestiscono negozi. Roba noiosa, davvero. Anche se alcuni di loro sono diventati rock star» [Lacher, cit.].
Scrittore Suo padre avrebbe voluto diventare uno scrittore, ma si ritrovò a lavorare per l’ambasciata pakistana e ad avere «una vita di delusione permanente, continuando a scrivere romanzi sul tavolo della cucina, che gli venivano continuamente rifiutati» • Vedeva nel figlio un futuro giocatore di cricket, ma Hanif aveva «paura della palla» • «Il suo digitare vigoroso in maniche di camicia mi colpiva molto. Un giorno comprò una piccola macchina da scrivere portatile con una custodia blu, della quale era incredibilmente orgoglioso. Mi bendai con la mia cravatta scolastica e scoprii che potevo digitare le parole corrette in ordine senza guardare» • Hanif inizia a scrivere trascrivendo a macchina intere pagine di Delitto e castigo • «Un giorno ho guardato fuori dalla finestra e ho pensato: potrei farlo [scrivere, ndr] tutto il tempo. Posso farlo in futuro. Mi salverà la vita. Non sono solo un bambino che scribacchia sulla scrivania di casa, posso anche farlo seriamente. [...] Questa idea mi ha dato uno scopo, una direzione, e mostrato una via d’uscita. Naturalmente, non sapevo ancora di cosa avrei scritto. Ma poi ho cominciato a pensare che avrei potuto scrivere della mia situazione: della mia razza, del fatto che mio padre era indiano e aveva sposato una donna bianca, della vita in periferia, di cosa significhi crescere negli anni Sessanta, del razzismo» [dal film Why I write] • «A 14 anni inizia a condurre una vita insolitamente disciplinata, facendo un pisolino al ritorno da scuola e poi scrivendo romanzi dopo il tè, dalle 7 fino all’ora di andare a dormire, alle 10. A quella tenera età, Kureishi non conosceva vergogna [...]. [Si presentava dagli, ndr] editori che si sorprendevano di trovarsi davanti uno scolaretto in uniforme autore di promettenti manoscritti. Da adolescente scrisse tre romanzi» [Lacher, cit.] • Studia filosofia, per un anno all’università di Lancaster, e poi al King’s College di Londra, dove si laurea • Negli anni Settanta trova lavoro come usciere al Royal Court Theatre di Londra. Viene poi promosso a drammaturgo, ottenendo subito un buon successo • Ai tempi l’ambiente teatrale era molto politicizzato: «C’erano molte femministe, attivisti omosessuali, trozkisti, comunisti, che mi chiedevano: “La tua opera fa avanzare la rivoluzione, Hanif?”» [Elle, cit.] • Guadagna qualcosa anche scrivendo testi pornografici per delle riviste sotto pseudonimo. «Ho distrutto tutta quella roba, ma avrei dovuto tenerla. È una forma terribile, però, la pornografia. È così limitata» [Lacher, cit.] • Il successo arriva nel 1985 con la scrittura della sceneggiatura di My Beautiful Laundrette (in italiano Lavanderia a gettone), il film di Stephen Frears. Vi si racconta la storia di un giovane anglo-pakistano omosessuale che vive a Londra negli anni Ottanta • Kureishi riceve una nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale (che però verrà vinto da Woody Allen per Hannah e le sue sorelle) • Il film venne considerato scabroso, e alla prima del film a New York ci furono proteste da parte di manifestanti musulmani che accusavano lo scrittore di «tradire la sua stessa specie» [Lacher, cit.] • Nel 1988 scrive, sempre per il regista Frears, la sceneggiatura di Sammy e Rosie vanno a letto. Alcuni giornali inglesi citavano il film come Sammy e Rosie, omettendo la seconda parte del titolo perché troppo esplicita • I primi guadagni come sceneggiatore gli permettono di dedicarsi alla scrittura di romanzi. Con Il Budda delle periferie, uscito nel 1990, vince un premio per il miglior debutto. Dopo l’uscita del libro, suo padre non gli parlò per almeno un anno perché Hanif lasciò intendere che il libro, dove si racconta della miserevole famiglia del protagonista, fosse autobiografico (così lo accusò la sorella Yasmin) • Il libro diventa una serie per la Bbc, per la quale David Bowie si offrì di comporre la colonna sonora. «Invitò me e la mia compagna Tracey nel suo hotel per ascoltarla. Quando arrivammo, indossava un kimono e ci regalò due quaderni con scritto Il Budda delle periferie come titolo. Ci avrebbe fatto ascoltare l’intero album attraverso un piccolo registratore e noi avremmo dovuto prendere appunti nel mentre. Sono andato subito nel panico e mi sono infilato in bagno per fumarmi uno spinello. Tracey e io eravamo lì ad ascoltare l’album sotto lo sguardo di Bowie. Non scrissi nulla, ma fissavo la pagina sperando che mi venisse in mente qualcosa di profondo e intelligente da scrivere. [...] Fu un sollievo uscire da quella stanza» • Altri libri: Londra mi uccide (1993), Amore blu (1998), Nell’intimità (1998), Mezzanotte tutto il giorno (2000), Il dono di Gabriel (2001), Otto braccia per abbracciarti: riflessioni sulla politica (2002), Il corpo (2003), Il mio orecchio sul suo cuore (2004), Ho qualcosa da dirti (2008), L’ultima parola (2013), dopo il quale pensò di ritirarsi: «Ho pensato: basta, ho finito. Adesso mi siedo e basta. Ma dopo tre giorni passati da seduto, sai, ti annoi, e allora ricominci a scrivere» [Elle, cit.] • Scrive dichiaratamente di quello che conosce, e tra i temi spesso presenti nei suoi lavori ci sono la vita da immigrato, la città di Londra, il sesso (anche se «viviamo in un’epoca di perversione talmente generalizzata da rendere più difficile scrivere di sesso in modo nuovo. Oggi è più radicale scrivere di un matrimonio felice»).
Amori Si dichiarò bisessuale • Ebbe una lunga relazione con Tracey Scoffield, producer tv, dalla quale ha avuto i gemelli Carlo e Sachin (oggi hanno 31 anni). Raccontò della loro rottura nel libro semi-autobiografico Nell’intimità, per il quale venne tacciato di misoginia • Ha anche un altro figlio, Kier, avuto da una relazione precedente • «I miei figli sono cresciuti negli anni Novanta [...]. Non hanno mai letto un libro, passano la vita a guardare Breaking Bad e a giocare, ma non sono ragazzini stupidi. Sono consumatori, consumatori perfetti, comprerebbero qualsiasi cosa. C’è un grande centro commerciale qui vicino a Westfield, ed è la loro chiesa, lo adorano» [Elle, cit.] • Ha riportato su X una conversazione avuta con suo figlio Carlo: «“Sei sempre migliore come amico che come papà”, “Vaffanculo. Sono stato un papà eccezionale”, “No, non lo sei stato”, “Venivo a trovarti ogni singolo giorno”, “No, non lo facevi”, “L’ho fatto! E mi davo molto da fare per riuscirci. La mia compagna di allora faceva del suo meglio per tenermi lontano da te”, “Venivamo qui per il fine settimana e non c’erano neanche gli spazzolini da denti”, “E perché non te lo portavi il tuo cazzo di spazzolino da denti?”, “Avevo quattro anni. E la cena era sempre Pot Noodle [spaghetti istantanei, ndr]”, “Non è vero! La pasta con il sugo al formaggio era la mia specialità! E comunque, tra amici si ha un rapporto più alla pari, lo preferisco. Ancora adesso non ho capito cosa sia esattamente, la paternità: è un’abilità? Un mestiere? Un dono? Non lo so”» • Oggi la sua compagna è Isabella d’Amico, nipote della sceneggiatrice Suso Cecchi, che ha un’agenzia di comunicazione. Kureishi descrive lei e sé stesso a Roma (parlando in terza persona) così: «Ha diciassette anni meno di lui, è di buon carattere e ottimista. Gli piace immaginarla giovane con le amiche, che va ai concerti e alle feste, frequenta i bar, studia filosofia nelle biblioteche, vive la sua giovinezza continentale e borghese nella Roma degli anni Ottanta. Lui è un inglese disturbato, di razza mista, un vacanziere, senza alcuna conoscenza della lingua e senza alcuna intenzione di impararla» • «Quanto sono state importanti le donne nella sua vita? Fa una lunga pausa. “Be’, sono la cosa centrale. Chi desideri, con chi vivi, le madri dei bambini che ho, mia madre”» [Elle, cit.].
Tetraplegico Due anni fa è caduto per un mancamento, procurandosi una lesione spinale che lo ha paralizzato dal collo in giù • Il giorno di santo Stefano del 2022 era appena rientrato a casa della compagna dopo una passeggiata a piazza del Popolo e a villa Borghese. «Seduto a un tavolo nel soggiorno di Isabella con il mio iPad davanti a me, avevo appena visto Mo Salah segnare contro l’Aston Villa. Stavo sorseggiando una birra quando ho cominciato ad avere le vertigini. Mi sono chinato in avanti e ho messo la testa tra le gambe. Mi sono svegliato pochi minuti dopo in una pozza di sangue, con il collo in una posizione grottescamente contorta, Isabella in ginocchio accanto a me. Ho così visto quello che può essere descritto solo come un oggetto semicircolare con gli artigli che avanzava verso di me. Usando ciò che restava della mia ragione, ho capito che quella roba era una delle mie mani, una cosa misteriosa sulla quale non avevo più nessun controllo. Capii che non c’era più coordinazione tra la mia mente e ciò che restava del mio corpo. Avevo divorziato da me stesso. Pensai di essere in punto di morte, che mi restavano tre respiri. Era un modo miserabile e ignobile di andarsene. La gente dice che quando stai per morire la vita ti passa davanti agli occhi, ma io non pensavo al passato, ma al futuro: a tutto ciò di cui mi stavano derubando, a tutte le cose che volevo ancora fare» • Viene ricoverato in terapia intensiva all’ospedale Gemelli, dove lo operano. Passerà sei mesi in riabilitazione all’ospedale Santa Lucia • «Sono stato trasferito dall’unità di terapia intensiva in una piccola e triste stanza laterale. C’è un’immagine della Vergine Maria davanti a me, e la vista fuori dalla finestra, che non riesco a vedere bene, è su un parcheggio, su una strada trafficata e sui pini romani, che sembrano ombrelloni» • I medici non sono mai riusciti a chiarire cosa lo fece svenire. Oggi riesce a muovere la testa e il collo, può parlare e ha mantenuto la sensibilità fino ai piedi, ma non può camminare, né afferrare oggetti con le mani. Può però comandare la carrozzina elettrica con la quale si sposta • «A ogni incontro con le persone che conoscevo prima dell’incidente, mi sento in imbarazzo, o addirittura mi vergogno della mia condizione. Vedo che sono impietositi. Gli metto davanti agli occhi una tragedia, porto cattive notizie. È imbarazzante e difficile vedermi riflesso nei loro occhi e chiedermi cosa vedono, pensano e sentono. La loro empatia, soprattutto quella delle donne, mi commuove» • Ha scritto in terza persona della compagna Isabella, che continua a prendersi cura di lui: «Se ne sono andati, il futuro che avevano pianificato, i posti in cui volevano andare, le loro passeggiate e le loro conversazioni. Non saranno più gli stessi. Come ti adatti a ciò? Lo fai e basta; tra le rovine crei una vita che non avresti mai previsto» • «Quando si è voltata e mi ha chiesto “Tu lo faresti per me?”, non ho saputo rispondere. Non lo so» • Dal 6 gennaio successivo alla caduta scrive lunghi post (dai quali sono tratte molte delle dichiarazioni qui riportate) su Twitter/X. Vi racconta della sua nuova condizione, e vengono ripresi nella sua newsletter The Kureishi Chronicles (6 euro al mese, ma c’è anche una versione gratuita ridotta) • Ad aiutarlo nella stesura è suo figlio Carlo, che batte al computer sotto dettatura. In uno dei pezzi che hanno scritto insieme, gli si rivolge così: «Ogni volta non vedo l’ora di ritornare un essere umano attraverso le nostre sessioni di scrittura» • È da poco uscito il suo ultimo libro, In frantumi, un diario del suo primo anno di convivenza con la disabilità. «Non voglio più scrivere narrativa, non voglio più inventare nulla. Quello che mi è successo è così profondamente dannoso che non riesco più a inventare le cose». Vorrebbe trarne un film.
Curiosità Vive a Sheperd’s Bush, nella zona Ovest di Londra, ma ha passato molto tempo a Roma, la città della sua compagna. «Londra è una città globale ed è ancora un bel posto in cui vivere, perché qui ci sono i giovani. In confronto Roma è una città mezza morta per turisti, è come essere a Londra negli anni Settanta: non c’è niente che funzioni bene» [Elkann, cit.] • Visita raramente il Pakistan • Nel 2013 la British Library ha comprato i suoi archivi, che comprendono le bozze dei suoi libri, anche in formato digitale, e una cinquantina di diari: il primo risale al 1970, a quando Hanif aveva 15 anni. «Adesso, quando scrivo qualcosa, sono molto più consapevole del fatto che qualcuno lo potrà leggere. Prima non ci pensavo mai» • Nel 2008 ha ricevuto la medaglia al cavalierato britannico, divenendo Commander of Most Excellent Order of the British Empire • Prima della caduta, scriveva sempre la prima bozza dei suoi libri a mano. «Considero lo scrivere un’attività fisica, e riscrivo molto» [British Library, 2013] • «Sono sempre stato un grande ammiratore di tre artisti in particolare: Pablo Picasso, Francis Bacon e Paula Rego» [Pratesi, cit.] • Nel 2009 ha fatto parte della giuria del festival di Cannes • Quest’anno è andato in scena al Barbican di Londra un adattamento teatrale de Il Budda delle periferie diretto da Emma Rice • Nel 2015 a Elle disse che non leggeva un romanzo da anni: «Mi fa piacere che la gente legga, ma non vedo perché dovrei farlo io» • È stato professore di scrittura creativa all’università Kingston di Londra, ma definì i suoi corsi una «perdita di tempo» perché considerava il 99,9 per cento dei suoi studenti senza talento. «È meglio leggere Shakespeare piuttosto che un manuale di scrittura» • Ha un labrador, Cairo.
Titoli di coda «Essere uno scrittore non è una cosa permanente, devi continuamente riaffermarlo, devi decidere ancora e ancora che vuoi andare avanti» [Elle, cit.].