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 2024  dicembre 11 Mercoledì calendario

Biografia di Susanna Tamaro

Susanna Tamaro, nata a Trieste il 12 dicembre 1957 (67 anni). Scrittrice. Ha pubblicato una quarantina di libri tra romanzi, racconti, saggi e libri per ragazzi • Nel 1994 esce Va’ dove ti porta il cuore, il suo più grande successo: vende circa 15 milioni di copie e «risulta ancora oggi nella classifica dei primi tre libri italiani più letti nel mondo, insieme a Pinocchio di Collodi e Il nome della rosa di Umberto Eco» [Mirenzi, 2024, Foglio].
Titoli di testa «Studio gli insetti, allevo le api, curo gli animali, parlo con i bambini, pianto alberi, aggiusto biciclette» [Benini, 2018, Foglio].
Vita Nasce a Trieste, «protagonista occulta di tutti i miei libri» [Ziino, 2021, Cds], in una famiglia di irridentisti • «Nell’infanzia sentivo parlare almeno tre lingue contemporaneamente: il tedesco, il francese, l’italiano. Poi ho scelto quest’ultima come lingua letteraria. Ma non sento di appartenere alla cultura italiana. La mia patria ideale è la Mitteleuropa, rovinosamente cancellata dall’imperialismo russo» [Mirenzi, cit.] • È pronipote di Italo Svevo: in una vecchia foto si vede la piccola Susanna tenuta in braccio da Letizia, la figlia dello scrittore, mentre il prete le versa in testa l’acqua del fonte battesimale • Seconda di tre figli, con due fratelli maschi, visse un’infanzia difficile. «Non credo che avrei scritto se avessi avuto una famiglia più “regolare”. O forse avrei scritto cose completamente diverse» • Suo padre è alcolizzato, «parla cinese, correttore di bozze, sparito più o meno alla mia nascita; una madre manager, proprietaria di un’agenzia di pubblicità, che quando s’è risposata ha voluto cancellare la sua vita precedente e i figli» • «Mia madre non aveva molto istinto materno. Però io la adoravo, l’ho adorata. È morta giovane. Non ha avuto una vita facile, è stata abbandonata dal primo marito con tre figli, e una di questi era problematica. Ha cercato di ristrutturare la sua vita dopo l’abbandono di mio padre, ha avuto altri due mariti, di cui il secondo era uno psicopatico» [Benini, cit.] • «Ma gli ultimi anni sono stati belli. Era sollevata che potessi occuparmi dei suoi debiti, era felice di non avere più ansie economiche, e poi veniva con noi in campeggio. […] E credo che lei sia stata molto grata che io non le abbia mai parlato del passato. L’ho perdonata e basta» [ibid.] • Da bambina si sentiva un maschio, e avrebbe voluto che tutti la chiamassero Carlo. «Mia nonna, intuiti i miei tormenti, a un Carnevale mi ha comprato un costume da ufficiale, divisa che non mi sono più tolta fino a che le ginocchia non si sono bucate. […] poi, al primo anno delle superiori, ho fatto una scoperta incredibile: esistevano i maschi e sembravano essere estremamente interessanti. Potenza e meraviglia degli ormoni! Sarebbero stati anche loro interessati a me? Davanti alla prorompente femminilità delle mie compagne, tentennavo incerta. Un giorno in cui volli indossare una gonna per cercare di raggiungere il loro livello, lo ricordo come uno dei più spaventosi della mia vita. Ma poi pensai che forse era meglio restare com’ero, con jeans e maglietta, perché se qualcuno si fosse innamorato di me sarebbe stato colpito più dal mio interno che dalla mia carrozzeria. E così è stato. Le atroci sofferenze della disforia di genere si sono dissolte come un fantasma alle prime luci dell’alba» [2024, Cds] • Qualche anno fa, grazie a un dépliant trovato in uno studio medico e a successivi esami, ha scoperto di avere la sindrome di Asperger (ne ha parlato pubblicamente per la prima volta solo nel 2018, nel libro Il tuo sguardo illumina il mondo) • «Finalmente ho capito il perché di tante sofferenze che mi perseguitavano fin dall’infanzia. Passavo per essere una bambina matta, strana, timida in modo patologico. Ho preso psicofarmaci e calmanti fin da piccolissima» • «“Volevo essere la più amata, la più obbediente, ma, avendo questo nemico nella testa che nessuno riusciva a mettere a fuoco, io per prima non mi comportavo da bambina obbediente. Avevo grandi attacchi di rabbia per la strada, mi spaventavano i rumori, la folla, gli avvenimenti inaspettati. In più non comunicavo con l’esterno, stavo per morire di peritonite perché non avevo detto che mi faceva male la pancia”. […] A quindici anni, quindi nei primi anni Settanta, viene spedita in una casa famiglia, perché i servizi sociali avevano deciso che non era più il caso di dormire a casa di sua madre. “Andavo a scuola, poi tornavo nella casa famiglia, dove vivevo in compagnia di borderline miei pari”» [Benini, cit.] • Dopo il diploma alle magistrali, «ho vinto una borsa di studio per andare a Roma a studiare da regista (al Centro sperimentale di cinematografia, ndr). Ero molto meravigliata di aver superato l’esame di ammissione, data la scarsa stima che avevo di me stessa. Ho avuto anche molta paura. Quando mi è stato detto che avevo vinto il concorso e dovevo andare a Roma, non volevo più andarci. Ma mia nonna, con la quale a quel tempo vivevo, mi ha detto: “Tu ci vai, e non si discute”. E ha avuto ragione. Quei primi anni a Roma sono stati gli anni di una liberazione enorme. Ero una giovane promettente regista, all’improvviso tutti mi ascoltavano, parlavo con tutti, io che per tutta l’infanzia ero quasi affetta da mutismo».
Scrittrice «Una mattina di maggio [del 1978, ndr], attraversando Ponte Sisto, a Roma, vengo colpita da una frase. Colpita al punto tale che appena arrivata a Campo de’ Fiori, compro un piccolo quaderno e l’appunto. È stato quello il giorno in cui ho cominciato a scrivere» • Ma deve anche guadagnarsi da vivere: lavora come programmista precaria in Rai («il periodo più infelice della mia vita»), prova a fare il concorso per diventare giardiniera del Comune di Roma • «“Ero al Wiener Staatsoper con il mio primo grande amore, che dopo qualche giorno avrebbe preso un aereo per il Giappone e che non avrei mai più rivisto. Assistevamo alla rappresentazione del Flauto magico: le celebri note della Regina della Notte mi travolsero e sentii che nei mesi successivi avrei concentrato tutte le mie energie in un libro” […]. Si rifugiò a Illmitz, al confine tra Austria e Ungheria, per comporre il racconto. Il piccolo borgo diede il titolo alla drammatica storia di solitudine e di passione pubblicata l’anno scorso [nel 2014, ndc] da Bompiani. […] Il manoscritto approdò sulla scrivania di Claudio Magris, il quale annunciò alla romanziera in erba di esserne stato conquistato. Soddisfatta? “Toccai il cielo con un dito, e mi sembrò di essere a un passo dalla pubblicazione!”. Convinzione errata. Magris bussò a tante porte, Einaudi, Sellerio, Adelphi, Garzanti, Rizzoli e altri, e per l’autrice prese corpo una lotta contro i mulini a vento. […] “Continuai a sfornare inediti, alcuni li ho persi e altri li conservo”. Cosa ne faceva, di tutta questa letteratura? “Allora non c’erano le e-mail, e i dattiloscritti si spedivano dall’ufficio postale. La signora che ritirava i pacchi era corpulenta e materna, e ogni volta che mi vedeva arrivare commentava ‘eccone un altro’ oppure ‘quando leggiamo qualcosa di suo?’. Io inviavo le mie fatiche sempre agli stessi interlocutori, Garzanti, Rizzoli, Einaudi, Mondadori, tanto che un editor spazientito mi comunicò: ‘Lei è ammirevole nel credere di saper scrivere’”. […] “Incontrai Alberto Moravia quando non aveva ancora iniziato la relazione con Carmen Llera e cominciammo a uscire insieme, lo accompagnavo al cinema. Eravamo entrambi piuttosto indipendenti, energici ed estrosi. Ci univa l’amore per gli animali, io adoravo il suo cane Arancio… Gli feci leggere un paio di romanzi e lui sentenziò: ‘I tuoi libri sono troppo tedeschi, sono libri dell’anima… Non possono piacere agli italiani, che invece sono viziati dalle bellezze in cui sono immersi, sono degli esteti che amano la pittura e il paesaggio’. Però era un grande intellettuale e una persona estremamente generosa, così mi propose di presentare uno degli inediti in Bompiani. ‘No, grazie’, gli risposi, ‘per tutto il resto della mia vita verrei bollata come la tua amante: mi rovineresti’”. Quanti anni passarono in attesa del gran momento? “Dieci: ero sul punto di buttare alle ortiche la penna quando nel 1989 arrivò del tutto inaspettata la chiamata di Cesare De Michelis della Marsilio che mi offriva di pubblicare La testa fra le nuvole, segnalatogli dal professore Elvio Guagnini”. Sconvolta? “Certo. I primi due libri [La testa fra le nuvole e Per voce sola, pubblicati da Marsilio rispettivamente nel 1989 e nel 1991, ndr] andarono bene, ma non furono nulla di strepitoso. Per voce sola ricevette gli elogi di Federico Fellini, che paragonò i racconti a certe pagine di Oliver Twist o di America di Kafka. Mi telefonò per comunicarmi il suo entusiasmo e pensai a uno scherzo dei soliti amici burloni”» [Serri] • Nel gennaio del 1994, quando ha 37 anni e pochi soldi («Guadagnavo dieci milioni di lire all’anno, oggi avrei avuto il reddito di cittadinanza. La mia testa era tarata che cinquantamila lire era una cifra mostruosa» [Fantasia, cit.]), esce Va’ dove di porta il cuore, pubblicato da Baldini&Castoldi • «A partire dalla prima e unica presentazione al castello di Poppi, vicino ad Arezzo, un mese dopo, tre o quattro signore le parlarono del libro con grande passione, e Susanna per la prima volta pensò: “Che bello!”. Dopo l’estate, e dopo un’apparizione al Maurizio Costanzo Show e ad Harem, condotto da Catherine Spaak, il libro aveva venduto già centinaia di migliaia di copie, che raggiunsero il primo milione a dicembre di quell’anno. […] “Tutti volevano interviste, volevano fare le copertine, programmi televisivi. Io vivevo nel terrore e non sapevo come comportarmi, non conoscevo le dinamiche mondane e, avendo l’Asperger, ancora meno sapevo gestirle. Non sapevo cosa potevo fare, cosa potevo dire, cosa non dovevo dire. C’era un certo paternalistico ‘pat pat’ nei miei confronti. Il pensiero era: un libro per segretarie. Poi, man mano che il successo del libro cresceva, il ‘pat pat’ diventava disprezzo. Dicevano: Che ci vuole a scrivere un libro così? L’ha scritto con un programma del computer, l’ha scritto a tavolino. Io rispondevo: certo che l’ho scritto a tavolino, scrivo su un tavolino! Giornaliste che mi chiedevano chi erano i miei amanti, che mi dicevano: ma che brutte scarpe ha, ma che schifo di casa, che mi dicevano: sei felice adesso che puoi andare a cena con i politici? L’orrore. Poi però c’era il postino che arrivava con un trolley di posta solo per me, da tutto il mondo”» [Benini, cit.] • Nel 1996 ne viene tratto un film diretto da Cristina Comencini, con Virna Lisi • Quando pubblica Anima Mundi, nel 1997, la accusano di conservatorismo, se non addirittura di fascismo, «tutto perché il protagonista leggeva Evola, e perché citavo i gulag di Tito: per me, che sono di Trieste, sono una grande tragedia del ’900, che va affrontata» [Barbieri, 2019, Giornale] • «Era una vera persecuzione. Uscivo qui a Roma e mi facevano il saluto nazista, […] ho avuto un incidente con la bicicletta, sono stata investita da una macchina mentre ero in vacanza al mare. Mi hanno portato con l’ambulanza in ospedale, codice rosso. Stavo sul tavolo operatorio e il chirurgo mi fa: “Qui siamo tutti comunisti!” […] Io non so come non ne sono morta» [Benini, cit.].
Critica Da sempre non si sente capita dai critici, che l’hanno spesso tacciata di sentimentalismo, ma «io il sentimentalismo non so dove si compri» [Barbieri, cit.] • Secondo Giovanni Papini «i suoi libri hanno la consistenza estetica di un Harmony Book» • Il poeta Giovanni Raboni scrisse che in Va’ dove ti porta il cuore «non c’è pagina, ma che dico?, non c’è frase, non c’è parola (così come, d’altra parte, non c’è situazione o personaggio) del breve ma interminabile romanzo che non sia intrisa d’ovvietà, che non sia, anzi, l’ovvietà stessa fatta suono e grammatica» • «“Ho letto il suo bestseller più celebre. Non ne ho mai compreso il successo”. Avverto una punta di gelosia professionale. “Ma proprio per niente. La verità è che la sola cosa che mi comunica è una certa supponenza intellettuale”» [Sveva Casati Modigliani a Gnoli, Robinson] • «La Porta parla di “accorata meditazione sull’esistenza”, Bo di “un testo dallo stile poetico.” […] Grazia Cherchi: “Fiacco, noioso e sa di studiato a tavolino”» [Dentello, 2024, Fatto] • Così Pontiggia quando, da consulente, le rifiutò un manoscritto: «Insistita autointrospezione di un protagonista che finisce per diventare una sorta di controfigura ideale in cui trasferire metaforicamente altre esperienze» [Minore, Mess] • «La gran parte della gente del mondo editoriale crede io sia soltanto un fenomeno da baraccone» [a Mirenzi, cit.].
Curiosità Una volta il professore di italiano le diede il voto -8 • Dopo aver preso appunti per sette o otto mesi, scrive i suoi libri mettendoci «diciamo dai dieci giorni ai due mesi […]». «Quando scrive? “Fra i primi di dicembre e i primi di febbraio, quando la campagna dorme. […] Scrivo in una specie di studio, una casetta in un bosco. Allora faccio così: al mattino accendo il fuoco, poi vado a casa a fare colazione; se mentre torno ho un senso di impazienza, vuole dire che il libro funziona. Se no significa che la strada è sbagliata: se mi annoio io, figuriamoci i lettori”» [Barbieri, 2017, Giornale] • «Scrivo sempre con un cane accanto. Ricordo quello che avevo quando c’erano ancora i floppy disk: lui aveva imparato che al “clic” del dischetto che estraevo corrispondeva una mia pausa; riconosceva il rumore e, quando lo sentiva, senza che io facessi nulla, lui si stiracchiava e si alzava per sgranchirsi le gambe» [Scorranese, 2019, Cds] • «Leggo in maniera ossessiva. È una virtù necessaria per scrivere» • «Scrittori del passato a cui si ispira? “Molto a Kafka, un grandissimo maestro, e alla letteratura tedesca, centro-europea, russa. Dostoevskij, i classici, i grandi inglesi dell’Ottocento, Dickens in particolare. E poi la poesia, che dà quell’essenzialità della lingua che, spesso, nella narrativa non c’è: Rilke, Montale, Emily Dickinson”» [Barbieri, cit.] • «Per me, meno si scrive, meglio è» • Abita a Porano, nella campagna di Orvieto, dove «è guardata a vista dai cani, educatamente spiata dai gatti, osservata dall’alto dalle rondini, incorniciata dal prato verde, gli alberi di limone, una gigantesca pianta di actinidia, un orto che sembra uscito dalla campagna inglese, elegantemente disordinato, i fiori e bellissime erbacce che spuntano tra l’insalata» [Mantovan, cit.] • Ha molti animali (cani, gatti, uccelli, asini) e le piacciono le api (ha seguito un corso di apicultura) • «Per me estate è stare immobili. Odio il caldo e questi giorni. […] Mi fa impressione la folla delle vacanze, la frenesia di visitare i luoghi» [Galletti, 2023, Cds] • Ogni anno va in Trentino, d’inverno • La regista Katia Bernardi ha girato un documentario su di lei, che si intitola Inedita. «Mentre stavamo facendo le riprese per il film, uno dei ragazzi che lavorava con noi, mi ha detto: ma lei è veramente matta?» [Fantasia, cit.] • Nel 2000 ha creato una fondazione, con sede a Zurigo, per aiutare donne e bambini • Nel 2004 ha diretto il film Nel mio amore tratto da un suo racconto • Insieme ad altri artisti e intellettuali, firmò un appello per il sì al referendum costituzionale del 2016 • Al Salone del libro di Torino del 2023 disse che a scuola «ci sono testi davvero brutti e difficili. Si potrebbe sostituire Verga con Va’ dove ti porta il cuore» • Durante la pandemia scrisse sul Corriere una lettera a Mario Draghi, dove raccontava di non essere riuscita a comprarsi gli scarponcini da neve che le servivano perché aveva il green pass scaduto. Selvaggia Lucarelli definì la lettera «una raffica di tormentoni da commentatore medio di Diego Fusaro» [2022, Domani] • La notte del 18 dicembre 2023, sonnambula, è caduta dalle scale procurandosi qualche frattura • È credente, praticante, contro l’aborto • È cintura nera di karate.
Amori «Ha avuto molte storie d’amore? “Ho avuto dei fidanzati”. Avrebbe voluto un figlio? «Quando ero giovane e molto innamorata sì”. Cosa le ha fatto cambiare idea? “Più o meno a 30 anni mi resi conto che le mie condizioni mentali non mi avrebbero mai permesso di prendermi cura di un bambino. Troncai la relazione che avevo e così finirono anche i miei rapporti con gli uomini”. Fu lì che incontrò Roberta [Mazzoni, scrittrice e sceneggiatrice, ndc]? “La conobbi un po’ prima. Avevo un’asma gravissima, mi consigliarono di andare a vivere in campagna, lei cercava una coinquilina. Cominciammo a vivere assieme e nacque la nostra relazione”. Come definisce questo rapporto? “Un’amicizia spirituale. Siamo un po’ sorelle, un po’ mamma l’una dell’altra. Forse lei è più mamma di me. Ci piace fare le stesse cose, leggere, vivere nell’amore. Viviamo nell’Occidente libero e non in Afghanistan: possiamo avere una realtà di convivenza alternativa al matrimonio senza essere sempre costretti a considerare la dimensione sessuale? Perché devo trovare una definizione alla nostra unione?”» [Barnabi, 2024, Gente] • «Se fossi gay, sarei felicissima di dirlo, ma non è così. […] Ho capito che si può essere pienamente femminili e sviluppare il proprio istinto materno anche senza un figlio proprio. Detesto la proprietà. Mi sono occupata dei bambini di una famiglia peruviana che è vissuta a casa nostra, li ho aiutati a crescere» [Santerini] • Pubblica il suo primo romanzo con al centro una storia d’amore, Una grande storia d’amore, solo nel 2021: «Erano anni che volevo scrivere una storia d’amore, ho l’età oramai per farlo» [Fantasia, cit.].
Titoli di coda «Io sono una persona completamente libera e alla mia età posso dire con una certa felicità di essere rimasta libera tutta la vita» [Ziino, cit.].