21 dicembre 2024
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Biografia di Anna Galiena
Anna Galiena, nata a Roma il 22 dicembre del 1949 (75 anni). Attrice. Su Wikipedia l’anno di nascita indicato è il 1954. «C’è un giallo, un doppio, anche sul suo anno di nascita: 1949 o 1954? Sa come e perché si è generato? “Io sono del ’49. C’è stato un magheggio legittimissimo. Siccome il mio successo è iniziato a 40 anni – che per le donne è un dramma – e gli spettatori mi dicevano che ne dimostrassi dieci di meno, io e i miei pensammo, dichiarandolo, di togliermi cinque anni. L’idea è piaciuta e quell’età è stata, per così dire, adottata. Ora non so come si faccia a correggere la voce su Wikipedia. Penso che dovrei intervenire ma non so come farlo. Quando troverò qualcuno che mi aiuterà, sistemerò anche quello. Fine del giallo”» [Priori, 2023, Libero].
Titoli di testa «Nella poesia c’è un personaggio da incarnare, un uomo a cui dar voce… Amo tantissimo fare letture».
Vita «Mi hanno messo su un palcoscenico a quattro anni, a scuola, e mi sono trovata così bene che da allora è diventato il mio gioco preferito. Ero quella che ai compleanni doveva organizzare la recita, facevo tutto oltre che recitare, e dirigevo le altre bambine che se ne fregavano della cosa» [Bettin, Sipario] • A 8 anni entra nel corpo di ballo «al Teatro dell’Opera, un allenamento feroce per una bambina, tutti i giorni, domenica inclusa. Mio padre Cesare mi fece interrompere in maniera brusca perché aveva capito che poteva diventare una carriera e non voleva. Lui era un grande amante dell’arte, alla quale mi ha iniziata in tutti i campi, ma non voleva che i suoi figli la intraprendessero come lavoro, perché gli artisti, diceva, fanno una pessima vita» [Priori, cit.] • «Mio padre ci negava la tv, diceva che ci rendeva cretini. Per lui gli artisti erano dei poveracci. Un giorno pronunciò la battuta che mi spezzò le ali: “Mia figlia non farà mai la ballerina di fila”. Secondo lui io non potevo diventare una prima ballerina. Una sentenza crudele con conseguenze rovinose. Mi sono chiusa in me stessa, anche fisicamente. A 11 anni divoravo Joyce e m’ingobbivo. Il mio corpo ha sofferto. M’è venuta la scoliosi» • «Fino ad allora ero stata una creatura estroversa, solare. Poi iniziò un periodo d’introspezione, connotato da una grande curiosità intellettuale: scaffale per scaffale, metodicamente, ho letto tutti i libri di casa. A diciott’anni ero una ragazza assolutamente cerebrale, convinta che nel mio futuro ci sarebbe stata la scrittura» [Aspesi, Rep] • «“Ero una ragazza molto ribelle, non sopportavo né la famiglia, che pure era del tipo borghese laico e illuminato, non oppressivo, né l’università, perché la facoltà di Scienze politiche mi destinava a un lavoro dentro un sistema che non sopportavo: più che di sinistra, mi sentivo anarchica, insofferente, disgustata di tutto. Allora me ne andai col sacco in spalla, facendo l’autostop per l’Europa: mangiavo come potevo, dormivo quando trovavo ospitalità, incontravo gente interessante”. […] A Toronto Anna ha il suo primo contatto con il mondo dello spettacolo, perché una televisione in lingua italiana le affida la conduzione di un programma: “Capii allora che quel batticuore enorme che si prova in diretta mi esaltava, che fare l’attrice mi sarebbe piaciuto”. A New York è stata sette anni, a fare la fame, a studiare, a innamorarsi» [ibid.] • «Appena arrivata negli Stati Uniti mi sono fatta spiegare quali erano le cose da fare per diventare attrice. Lì esiste una trafila precisa: si acquistano delle riviste, da queste si viene a sapere quando si svolgono i provini, si comincia a recitare nell’off-off-Broadway, alla fine si riesce ad ottenere la tessera dei sindacati, quella che permette di lavorare con tutti i diritti. Ecco, questa chiarezza di cose si è sposata molto bene con il mio carattere, con la mia voglia di fare da sola» [Caprara] • «Quando ero a New York, alla fine degli anni ’70, ero in miseria totale, nel senso che non avevo neppure da mangiare, per mia scelta. Non volevo un lavoro che mi avrebbe portato via del tempo, perché dedicavo tutto quello che avevo a studiare recitazione e a lavorare nei teatri off-off-Broadway, dove non si viene pagati. Ne parlai coi miei amici, i miei colleghi altrettanto miserabili, e loro mi suggerirono di prendermi un sugar daddy, un “papà zucchero”, un uomo vecchio che mi mantenesse. Ci pensai, mi feci spiegare come si faceva a trovarlo, poi capii che non ce l’avrei fatta. Scelsi un altro lavoro, la donna di servizio a ore: era duro ma ben pagato, e mi lasciava tutto il tempo che volevo» • Nel 1978 debutta a Broadway come Giulietta. «Il passaggio a off-Broadway e poi a Broadway, dove cominciai a guadagnare, lo feci con una Giulietta il cui Romeo era troppo basso, il che ci costringeva a recitare quasi sempre distesi, a letto o per terra. Ma intanto avevo ottenuto quella indispensabile tessera degli attori» • Nel frattempo studiava recitazione all’Actors Studio. «Non è una scuola, come molti credono, ma un club. In Italia tanti attori raccontano di esserci stati, solo perché hanno assistito a qualche incontro. L’abbiamo frequentata io e Francesca De Sapio. […] Quello era un gruppo di geni: Pacino, Kazan, Strasberg. Lavorare con loro era faticoso e crudele. Noi proponevamo un brano, e loro lo analizzavano, erano feroci. Avevo paura, ho paura più o meno di tutto, eppure mi ritrovo a fare tutte le cose che mi spaventano» • Recitò nell’Orestea diretta da Elia Kazan • Scoprì il cinema «alla New York University fondata da Martin Scorsese, quando mi ha scelto vedendomi a teatro per un film da lui finanziato. Ero terrorizzata, devastata fisicamente perché nella notte mi era spuntato il dente del giudizio» [Medori, 2021, IoDonna] • «Scoprii che avevo raggiunto tutti i miei sogni, e che ero ugualmente infelice. Era arrivato il momento di tornare a casa, di fare pace con un padre che amavo molto e con me stessa. Sentivo il bisogno di quelle radici che avevo detestato, di un Paese che avevo giudicato poco serio, assurdo, levantino, insopportabile. E ho scoperto il buono della nostra origine, il fatalismo, la generosità, la tolleranza, la capacità di vivere in pace degli italiani» • Nel 1984 è al Teatro Stabile di Genova come Natasha nelle Tre sorelle di Anton Cechov,, ma «fare teatro in Italia si dimostrò molto più difficile che a New York, neppure il suo curriculum prestigioso le servì: un po’ di televisione, un po’ di cinema senza storia, la tendenza dei produttori a invitarla a cena, la decisione di tornare negli Stati Uniti» [Aspesi] • Ma nel 1990 viene presa come protagonista di Il marito della parrucchiera di Patrice Leconte, dove interpreta Mathilde, «silenziosa presenza nella penombra del salone, tra profumi e lozioni, la Galiena diventò subito il simbolo di una femminilità misteriosa, ideale» [Fumarola] • Il film ebbe un grande successo di pubblico e critica • «Qual è la ragione per la quale Leconte l’ha voluta come “immagine della seduzione” ne Il marito della parrucchiera? “Ha visto una mia foto, e ha detto di averci letto ‘una sensualità, un’ironia, e insieme la malinconia dovuta a una ferita profonda…’. Erano esattamente le caratteristiche del personaggio del suo film. Di mio, come attrice, io non ho fatto altro che restituire al personaggio un’emozione che mi piace: il desiderio di essere desiderata”» [Mori] • Si aprì così la sua stagione di maggior successo cinematografico, che negli anni Novanta la vide impegnata in ruoli di primo piano sia in Italia sia all’estero • Nel 1990 recita in Giorni felici a Clichy. «Ti chiama un maestro come Chabrol, tu sei al settimo cielo e poi il film viene pessimo. Ogni tanto ne girava uno solo per motivi economici, e fu quello il caso. Lo usava come parametro di bruttezza» [Accatino, Sta] • Tra le pellicole più importanti di quel periodo, Prosciutto, prosciutto di Bigas Luna (1992) • «Parlando di erotismo e di set, ogni attore impara a proprie spese. Ho ricordi di un set spagnolo che non era di Bigas Luna, ma era la più grande produzione del 1990, anche se poi non ebbe fortuna. Si chiamava La vedova del capitano Estrada e prevedeva una mia scena erotica col protagonista. Mi accorsi, dalle battutine che si scambiavano, quanto tutti attorno si erano piuttosto eccitati. Così mi incazzai al punto che chiesi a chi dirigeva che sul set rimanesse solo chi realmente occorreva alla scena: quattro persone e basta. Quello che fa innervosire è il voyeurismo. Non servono gli spettatori sul set. Viceversa più si collabora, più diventa facile» [Priori, cit.] • Recita ne Il grande cocomero di Francesca Archibugi (1993), Senza pelle di Alessandro D’Alatri (1994), La scuola di Daniele Luchetti (1995), Celluloide di Carlo Lizzani (1996), Tre vite e una sola morte di Raúl Ruiz (1996) • «“Lavoravo con registi che adoravo, in Italia e all’estero”. […] Lei ha dato fiducia a Gabriele Muccino ai tempi di Come te nessuno mai. “Il suo primo film era passato abbastanza inosservato, Ecco fatto. Fu difficile incontrarci: mi cercava nel ’98 quando ero in crisi e volevo una lunga pausa dal lavoro. Non sopportavo l’eccesso di immagine di me in giro. Avevo bisogno di essere sola e nell’anonimato. […] Avevo detto all’agente che non volevo incontrarlo, ma lui era insistente. Per convincermi disse, balbettando: ‘Vorrei che vedesse il mio film precedente’. Ne sono rimasta conquistata. Mi ha mandato la sceneggiatura. E io, con il bagaglio pronto per andarmene in Inghilterra, […] l’ho letta e non ho potuto non incontrarlo. Ci siamo visti e mi ha preso il cuore. Ho rimandato il viaggio, ho fatto il film, bellissimo. E poi ho fatto il viaggio, ma solo di sei settimane: poi sono tornata a casa perché mio padre si è ammalato. Ma quelle sei settimane da sola, lo zaino sulle spalle, camminando trentacinque chilometri al giorno in Inghilterra, sono state una grande cosa. È stata la mia fuga più grande dal mondo. Avevo un telefono portatile che accendevo ogni tanto per dire alla mia famiglia che stavo bene. Ma non parlavo con nessuno» [Finos] • Nel 2002 fu la volta di Senso ’45 di Tinto Brass, in cui recitò al fianco di Gabriel Garko nel ruolo che era stato di Alida Valli • «È stato un film diverso da quello previsto. Che ho molto esitato a fare. Dicevo a Tinto: “Non ho a che fare con il mondo tuo”. Ma la sceneggiatura era bella. Avevo letto Senso di Boito: la sceneggiatura di Brass era più fedele alla novella di quella per il film di Visconti, che ne aveva fatto una cosa idealizzata e romantica. Il libro raccontava un mondo agghiacciante, senza personaggi postivi. Brass aveva rispettato questa qualità negativa, e aveva trasposto il film alla fine della guerra a Venezia, periodo che conosceva. Tinto ha insistito, abbiamo messo i puntelli di sicurezza: “questo no, questo no”. Poi – devo dirlo, e infatti non ho fatto la promozione del film – Brass ha fatto un paio di scelte, girando e montando cose che io non avevo visto, che per me facevano scadere il film. Non mi dissocio dal film: il mio lavoro lo difendo, e difendo la sceneggiatura. Ma è diventato qualcosa che non era ciò che avrebbe dovuto essere» • «Iniziammo a litigare il secondo giorno e andammo avanti fino alla fine delle riprese. Da allora di quel film non voglio parlare, per non fargli pubblicità» [Accatino, 2023, cit.] • La versione di Brass (che l’aveva scelta «perché ha fianchi tizianeschi, vita strizzatissima e seno opulento: il mio immaginario erotico è questo»): «Venne qui per Senso ’45, tirò una tenda e, scatenata, si denudò: “Ho poco pelo lì”. Il film non riuscì. In certi casi voleva la controfigura, e io: no! La considero la meno intelligente di tutte quelle che ho incontrato» • Ha fatto molti altri film, in Italia e all’estero, mai però di grande successo • Ha recitato in Un’estate in Provenza (2014) di Rose Boch insieme a Jean Reno; in ruoli non di primo piano in Nessuno si salva da solo (2015) di Sergio Castellitto e ne La pazza gioia (2016) di Paolo Virzì; in Croce e delizia (2019) di Simone Godano; in Felicità (2023) di Micaela Ramazzotti • Nel 2023 era in Giorni Felici di Simone Petralia, protagonista insieme a Franco Nero. Vi interpretava un’attrice che scopre di avere la Sla. «Com’è andata la costruzione della coppia con Franco Nero? “Eravamo sposati anche in un film che non è uscito, bellissimo, I guardiani delle nuvole, ma la produzione non pagò le maestranze, che hanno fatto sequestrare il film. È stato un ritrovarci ed è andata benissimo. Franco non è uno che si mette a ‘preparare’ con l’altro attore”» [Bianchi, CinecittàNews] • «Registi rimasti nel suo cuore? “Peter Greenaway, per cui ho recitato nei tre Le valige di Tulse Luper. Lo scozzese John Duigan, che mi volle come protagonista di The Leading Man, accanto a Jon Bon Jovi. Ma anche Mauro Bolognini in Mosca Addio, dove mi trovai a recitare al fianco di Liv Ullmann. La scena era bellissima e per fortuna venne come la voleva lui. I suoi complimenti furono un’incredibile iniezione di fiducia”» [ibid.] • «La scelta professionale più azzardata? “Non ci ho mai davvero pensato. Forse un film austriaco, Vino santo (2000), visto che non parlo tedesco e il film era in tedesco. C’eravamo io, Raf Vallone e Alida Valli. Poche scene in italiano e il resto in tedesco. Praticamente dormivo con la coach. Quando mi hanno invitata a Vienna per l’anteprima ho scoperto che avevano lasciato la mia voce. Una bella soddisfazione”» [Finos] • Nel 2017 ha partecipato a Ballando con le stelle (Rai Uno), venendo eliminata alla terza puntata • Ha recitato in diverse fiction, tra le quali Il bello delle donne… alcuni anni dopo (Canale 5, 2017), e in Romanzo famigliare di Francesca Archibugi (Rai Uno, 2018) • Nel 2024 ha partecipato alla serie Netflix Emily in Paris, nella stagione ambientata a Roma • «Oltre ai film e alle fiction, fa anche tanto teatro. “È quello con cui ho iniziato, e che mi ha sempre dato tanto. Al cinema mi sento un’operaia: faccio qualcosa che poi tocca ad altri assemblare. A teatro, invece, ci si sente artigiani: lavori sul pezzo, nessuno ti può manipolare”» [Caprara] • È stata la prima attrice ammessa a recitare in una compagnia di teatro Nô giapponese, diretta nel 1994 da Iroshi Teshigahara in Susanô al Festival di Avignone • «Che ruolo avrebbe voluto fare che non le hanno mai proposto? “Tutti i ruoli maschili shakespeariani, perché quello più bello femminile, ovvero Giulietta, l’ho già fatto”» [Gallo, 2023, Ansa] • «Quando vedo qualcuno che tiene il cellulare acceso in sala o risponde mentre sei in scena o è distratto. Ma perché non stai a casa? Io sono un’estremista. Una volta ho fatto abbassare il sipario e me ne sono andata» [Medori, 2021, IoDonna].
Curiosità Le piace molto la canzone Traubert’s Blues di Tom Waits, e considera I Promessi Sposi «uno dei più bei romanzi mai scritti, rovinato dalla scuola» [Gallo, cit.] • Ama molto Shakespeare: «È stato un dramma quando, in un trasloco newyorchese, ho persola mia collezione di lavori shakespeariani, il mio libro feticcio. Poi l’ho ricomprato ma non è la stessa cosa. Ci ho pianto per giorni perché stava sempre con me» [Priori, cit.] • «Non ha nessun profilo ufficiale social, come mai? “Per carità, felicemente evito. Ho rapporti solo con persone vive e quando per motivi burocratici mi obbligano a usare internet divento una stupida anziana. Provo tristezza per chi ha bisogno di far sapere a tutti che esiste, vale qualcosa ed è importante”» [Medori, cit.].
Amori «Facevo la prima liceo all’Augusto, a Roma. Nella mia classe, c’erano ragazze sofisticatissime, con un fisico da modelle. Io ero sempre lasciata un po’ in disparte: stavo da sola. Un giorno litigo con una di loro, che mi dice: “Alle mie amiche tu non sei simpatica, perché con quei tuoi calzettoni, il cerchietto nei capelli da bambina per bene, anzi, da santarellina, tu piaci ai ragazzi più di tutte le altre: parlano solo di te. Forse perché tu gli fai gli occhi dolci…”. Ricordo che rimasi malissimo. Mia madre, […] vedendomi tornare a casa in lacrime, mi ha portato in camera sua, e mi ha interrogata. Tra le lacrime, io le ho raccontato. E lei mi ha rassicurata: “Le tue amiche parlano della civetteria. Che è una vera e propria arte: non c’è niente di male a coltivarla”» [Mori] • Nel 1995 un sondaggio la proclamò moglie ideale degli italiani. Venutane a conoscenza, dichiarò: «Sono contenta, ma preferirei che mi vedessero come l’amante ideale» • Due matrimoni alle spalle: il primo con uno scrittore statunitense, John, il secondo con un produttore francese, Philippe Langlet. Da ragazza fu per qualche mese legata al giornalista Gianni Minà • Nei primi anni Novanta si è trasferita a Parigi, dove ha vissuto per molto tempo. «“Ero sposata con un francese e vivevo a Parigi. All’inizio non mi piaceva affatto per via del clima terribile e punitivo. […] Poi, dopo il divorzio, dopo 8 anni di matrimonio, mi chiesi se fosse il caso di andarmene o meno. Mi ritrovai in una casa vuota, perché lui si portò via tutto. Nonostante ciò, pensai: “Non importa che si porti tutto via, purché se ne vada anche lui”. […] ricominciai ad arredare piano piano la casa, fino a ritrovarmi così bene da non provare più il desiderio di muovermi da lì. A Parigi vivo ormai da molti anni, in compagnia del mio adorato gatto bianco di quasi 14 anni [nel 2017 – ndr]. Il gatto nella mia vita c’è sempre, mentre tutto gli altri vanno e vengono”» • «Ha dichiarato: “Gli uomini vanno e vengono, ma il gatto c’è sempre». “L’ho detto io? Ho scoperto l’amore per la terra e gli animali da quando mi sono trasferita in campagna, e ho incontrato Picchio. Ero un’accanita cittadina: Roma, Parigi, New York e Londra. Quando ho trovato questo gatto ero esterrefatta, mi hanno anche regalato dei libri per capire come occuparmene e adesso ho anche i cani. Vivo immersa nella natura, felice di aver trovato quello che mi mancava, e ritrovato gran parte di me stessa» [Medori, 2021, cit.] • «Com’è l’amore over 60? “A questa età fai meno sesso, forse. Però se è amore vero dura, a 90 anni come a 20”» [Accatino, 2023, cit.] • Non ha figli. «Ognuno di noi ha il diritto di realizzarsi a suo modo. L’importante è avere una funzione e poter dire, alla fine della vita, di esser servito a qualcosa. Vai bene con trenta figli, con uno solo, ma anche senza, insieme a un uomo o con quattro» [Medori, cit.].
Titoli di coda «Mi spoglio senza problemi: a me piace moltissimo».