La Stampa, 8 gennaio 2025
È nota il barberismo
C’è un momento nella vita di ogni medievista in cui ci si trova di fronte alla domanda: sì, vabbè, ma con tutto questo Medioevo che ci devo fare? È un momento difficile, perché lo studio del Medioevo è appassionante e molto divertente (come il gioco del tennis, per esempio) ma da qui a farne un mestiere anche minimamente redditizio ce ne passa (anche qui, come nel tennis). Poche settimane fa, in quanto medievista fallito, ho chiesto ad Alessandro Barbero se si fosse posto questa domanda. Lui mi ha guardato come si guardano gli sconsiderati, sgranando quegli occhi grandi e mi ha risposto: «Ah no, io ero sicuro di voler studiare Storia tutta la vita. E così ho fatto». Da risposte simili trae origine il successo travolgente e popolare dell’esperto di una materia travolgente giusto per gli appassionati e impopolare nella stragrande maggioranza dei casi. Ma Barbero non è la stragrande maggioranza dei casi.
La Treccani ha deciso di inserire il termine “barberismo” nel suo Libro dell’anno 2024, definendolo così: «L’appassionato apprezzamento da parte di migliaia di persone per le conferenze o lezioni tenute dallo storico e scrittore Alessandro Barbero nell’àmbito di vari contesti e format (in presenza, all’interno di programmi televisivi, tramite il canale YouTube, come podcast, come video registrati e rilanciati dai fan nei social network)». Ora, non sempre gli “-ismi” sono positivi di per sé e non è affatto detto – anzi, è piuttosto improbabile – che lo stesso professor Barbero sia poi tanto contento di essere compreso in una definizione, ma non siamo qui a discutere della soddisfazione del medesimo. Siamo qui a ragionare di un fenomeno sociale e culturale che va molto al di là delle intenzioni barberiane. «Tutto iniziò – mi raccontò quella sera di qualche settimana fa – quando la collega Chiara Frugoni mi propose di collaborare alla scrittura del Dizionario del Medioevo per Laterza. Il libro ebbe successo e l’editore iniziò a chiedermi di scrivere dei volumi storici divulgativi, non di quelli iper specialistici destinati alle biblioteche universitarie».
Da lì, dice il professore, iniziò l’avventura di un divulgatore che portò alla chiamata di Piero Angela che lo convinse ad andare in tv a raccontare la Storia. E qui la cosa si fa interessante. Perché la Treccani centra in pieno le ragioni fondative del barberismo e per descriverle cita l’esemplare pezzo (colpirne uno per farne leggere cento) che Andrea Minuz scrisse per Il Foglio lo scorso maggio: «Ma non è sulla tv che si è costruito il fenomeno. Il barberismo nasce col passaparola, rimbalzandosi tra gruppi Whatsapp e pagine Facebook, video di lezioni e conferenze tenute in giro per l’Italia. Video registrati dai fan, quindi bassa qualità, inquadratura fissa rubacchiata col cellulare, audio così-così. Una low-definition che restituiva il fascino di una comunità catacombale per pochi adepti. Nel frattempo, diventavano milioni di visualizzazioni. Però poche settimane fa, a una lezione-conferenza sul delitto Matteotti era vietato riprendere Barbero col telefonino. Al Teatro Sociale di Rovigo c’era una troupe, regista, telecamere, tutto (costo del biglietto: 42 euro). Forse è il momento di un film, una docufiction, una serie. Chissà».
Barbero e il barberismo sono, con tutta evidenza, un fenomeno spiegabile soltanto con la fiducia negli istinti migliori del genere umano. Egli non parla di cose semplici o comunque di prima fruibilità per il grande pubblico. Egli non è (ci perdonerà il professore) un Adone che strega le masse ipnotizzandole con una bellezza fisica strabordante. Egli non maschera in nessun modo il suo forte accento piemontese, che per carità da queste parti è piuttosto comune, ma nel resto del Paese, insomma, non va proprio per la maggiore. Eppure a ogni incontro pubblico centinaia di appassionati accorrono per sentir parlare di Dante, dei Trinesi (intesi come abitanti di Trino Vercellese) alle Crociate o di Napoleone e ogni volta altre centinaia rimangono fuori dai teatri perché non è più possibile far entrare anima viva. Barbero è diventato il medievista più popolare della storia della cultura popolare italiana per la qualità delle cose che racconta, per la modalità, per l’autorevolezza, per la bonomia e per la simpatia con cui le racconta. Prima di lui era stato Umberto Eco (che però non era un medievista) a trasformare il Medioevo in una meravigliosa giostra, trasformando una materia in vero ostile («Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus») nel successo popolare e mondiale de Il nome della rosa. Barbero va oltre. Barbero usa il metodo storico, la ricerca spasmodica dei documenti, per generare la fiaba della realtà del passato e portarsi appresso incantate dal piffero magico orde liete di appassionati e studiosi in pectore. Barbero porta la Storia a chi magari non l’ha studiata un granché, ma improvvisamente scopre che è una meraviglia. Il tutto senza praticamente andare in tv, senza gestire dei social network, rarissimamente concedendo interviste e rispondendo con graziosi “no” a novantanove dei cento inviti a convegni, festival, seminari che ogni giorno gli vengono proposti. Barbero e il barberismo rispondono alla domanda di cose belle che quotidianamente viene disattesa dalla tv, dai social, e anche da altri media che per carità di patria non staremo qui a nominare. Barbero e il barberismo sono il circolo virtuoso che si innesca grazie al passaparola di chi chiede alla cultura di farsi divulgazione e ai professori di farsi narratori. Per saperne tutti un po’ di più. E diventare, ogni giorno, un po’ migliori.