Corriere della Sera, 7 gennaio 2025
I vandali del 6 gennaio 2021 sono diventati i «nuovi Patrioti» del 2025
I vandali del 6 gennaio 2021 sono diventati i «nuovi Patrioti» del 2025. L’assalto a Capitol Hill, la pagina più nera della storia recente americana, è ora «la prova d’amore» nei confronti di Donald Trump.
A quattro anni di distanza il totale capovolgimento della realtà è ormai compiuto. Il presidente che aveva incoraggiato, se non fomentato, il tentativo di sovvertire il risultato delle elezioni del 2020, si prepara a rientrare alla Casa Bianca.
Non pagherà alcun prezzo alla giustizia, ma anzi è pronto a concedere il «perdono presidenziale» a molti, se non a tutti i 1.500 manifestanti indagati o già processati: 800 hanno cercato di limitare la punizione, dichiarandosi colpevoli. Uno di questi è Enrique Tarrio, 42 anni, condannato nel settembre del 2023 a scontare 22 anni di prigione, la pena più alta finora comminata dai tribunali. Tarrio era il leader dei «Proud Boys», una formazione di militanti in prima linea nell’attacco al Congresso. Il 6 gennaio, però, non potè partecipare ai tumulti. Nei giorni precedenti era stato fermato e allontanato da Washington. I giudici lo hanno riconosciuto colpevole di «cospirazione sediziosa». Nel corso delle udienze Tarrio aveva detto di «vergognarsi» per ciò che aveva fatto. Anche l’altro capetto, Stewart Rhodes, 59 anni, fondatore degli «Oath Keepers», ha subito una condanna pesante: 18 anni, sempre per «cospirazione sediziosa». Rhodes, che ha fondato la sua organizzazione in Texas nel 2009, all’indomani dell’elezione di Barack Obama, continua a dichiararsi «prigioniero politico», «un ebreo detenuto in un campo di concentramento nazista». Ci sono poi le figure più marginali, che però sono diventati i simboli della tentata insurrezione. Come il celeberrimo «sciamano» con le corna, Jacob Chansley, 37 anni, nome d’arte, si fa per dire, Jake Angeli. Entrò a petto nudo nella hall del Congresso, seguendo il flusso dei più violenti e impugnando una bandiera Usa. Ha scontato 27 mesi di carcere, prima di essere trasferito in una casa di accoglienza a Phoenix, in Arizona. È rimasto fedele a Donald Trump. Oppure c’è l’uomo ritratto con i piedi sulla scrivania di Nancy Pelosi. Si chiama Richard Barnett, detto «Bigo», 64 anni, vigile del fuoco in pensione dell’Arkansas. Il 25 maggio 2023, la Corte federale di Washington gli ha inflitto 4 anni di reclusione, più altri 3 e mezzo di libertà vigilata.
In totale sono 200 i manifestanti già condannati, con pene che vanno da pochi giorni ai 22 anni in cella per Tarrio.
Altri dovranno affrontare il dibattimento in aula nel 2025. Ma con l’elezione di Trump il clima è cambiato completamente. Perfino alcuni magistrati si stanno regolando di conseguenza. È il caso, per esempio, del giudice federale di Washington, Rudolph Contreras, che il 14 novembre scorso ha accolto la richiesta di rinviare la fase finale del processo a carico di William Pope, accusato di aver preso parte ai disordini del 6 gennaio. Pope aveva presentato ricorso dicendo che «il presidente Trump aveva ricevuto il mandato dal popolo americano di perdonare coloro che il 6 gennaio avevano esercitato il diritto di espressione, fissato dal Primo emendamento alla Costituzione».
È un esito che appare sconcertante, considerate le immagini che milioni di persone hanno potuto vedere, in diretta tv, in tutto il mondo.
La mattina del 6 gennaio il presidente in carica tenne un ultimo comizio, nel parco davanti alla Casa Bianca: bisognava «combattere» per ristabilire la giustizia, per punire il furto. Ancora oggi, si dovrebbe discutere su alcuni dei passaggi chiave. Perché gli agenti di guardia erano così pochi? Perché la Guardia nazionale arrivò così tardi? I militari si schierarono solo intorno alle 17.30. Trump si decise a intervenire con un blando appello solo dopo diverse ore. Tutte circostanze che hanno portato a una procedura di impeachment da parte del Congresso, ma non alla condanna del presidente, bloccata dai repubblicani.
All’epoca quello dei conservatori sembrò un calcolo non solo moralmente inaccettabile, ma anche politicamente miope. La parabola politica di Trump sembrava finita. Ma l’ex tycoon è stato capace di piegare la verità con grande caparbietà e con uno sforzo che sembrava impensabile. È stato assecondato da una pletora di fedeli adoranti, nonché di spregiudicati opportunisti. Alla fine ha vinto. Il 6 gennaio è rientrato nella categoria degli avvenimenti «controversi». Le bugie trumpiane sul complotto del «deep State» e dei «media» per rubare le elezioni sono ora concetti accettati da buona parte dell’opinione pubblica americana. Dimenticati i morti di quel giorno, una manifestante e quattro poliziotti che si sono suicidati; in archivio anche i 140 agenti feriti.