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 2025  gennaio 06 Lunedì calendario

Il 2025 sarà un anno di svolta per la tecnologia

Il 2025 sarà un anno di svolta per la tecnologia. A monte di tutto c’è il segnale, chiarissimo, delle ultime elezioni americane: per la prima volta nella storia del complicato rapporto tra Silicon Valley e governo federale, uno degli imprenditori di punta della Bay Area, Elon Musk, entra nella stanza dei bottoni della Casa Bianca. Il coinvolgimento del patron di Tesla nella nuova amministrazione non solo segnala un potenziale spostamento della governance verso un approccio più tecno-centrico ma inchioda anche il dibattito sul potenziale impatto dei leader del settore privato nei ruoli governativi. A Washington l’imprenditore si occuperà di modernizzare i sistemi federali attraverso l’integrazione di tecnologie all’avanguardia, implementando tra l’altro processi decisionali basati sull’intelligenza artificiale. 
Ed è proprio l’IA l’altro grande tema tech che nel 2025 promette di trovare finalmente una sua quadra concreta, che si sleghi dalla teoria per entrare una volta per tutte nel nostro quotidiano, complici i nuovi modelli generativi presentati da OpenAi a fine dicembre. Siamo all’alba di quelli che gli esperti chiamano “AI agents”, sistemi di IA complessi in grado di eseguire attività in modo indipendente: un esempio su tutti, il progetto Jarvis di Google. Il prototipo, messo a disposizione per sbaglio a tutti gli utenti Chrome i primi di novembre, proprio come l’IA che assiste Iron Man (Jarvis, appunto) potrà utilizzare il pc al posto nostro per automatizzare i compiti più noiosi, ad esempio le ricerche sul web. 
Si tratta di un algoritmo che identifica quanto passa sullo schermo, ne elabora i contenuti e controlla mouse e tastiera per svolgere le operazioni chieste dall’utente. Non è ancora l’AGI voluta da Sam Altman, ma siamo un passo più vicini a quell’IA “finale” che un giorno potrebbe ragionare come noi. Nel 2025 servirà perciò potere computazionale. E ne servirà tantissimo. Nvidia, Intel e AMD sono in corsa già da tempo per progettare chip totalmente dedicati all’IA. Questi componenti, a differenza dei processori e dei chip video classici, sono ottimizzati per l’elaborazione del linguaggio naturale, il deep learning e tutte quelle tecnologie che sorreggono l’immenso macrocosmo dell’IA. 
Attualmente il design di questi chip punta tutto sulla larghezza di banda della memoria, una scelta popolare tra gli sviluppatori di Large Language Model. Ma nel loro futuro c’è un’innovazione dell’architettura con design neuromorfici che siano in grado di imitare le funzioni del cervello umano. Ma la guerra non è solo sullo sviluppo. Controllare la produzione e l’accesso ai chip significa infatti controllare una risorsa centrale per l’economia globale. Ciò ha scatenato la cosiddetta “Guerra dei chip”, una competizione mondiale per dominare le industrie dei semiconduttori. Un primo segnale chiaro è arrivato già nel 2022, quando gli Stati Uniti hanno lanciato il CHIPS Act, un provvedimento che fornisce alle industrie 39 miliardi di dollari per la produzione di chip sul suolo statunitense, più 280 miliardi di nuovi finanziamenti per promuovere la ricerca interna e la produzione di semiconduttori. 
Poi la stretta, lo scorso dicembre, sulle spedizioni Usa di microchip verso 140 aziende cinesi, a cui Pechino ha reagito con il blocco delle esportazioni verso gli States di una serie di componenti chiave per la produzione di microprocessori. Anche l’Europa ha un suo Chips Act in vigore dal 2023, nato con l’obiettivo di raddoppiare la produzione entro il 2030. Ma la strategia dell’Ue ha subito una brusca battuta d’arresto lo scorso settembre quando Intel ha congelato i 30 miliardi di euro necessari alla costruzione di un impianto di microchip all’avanguardia a Magdeburgo, in Germania. Il colosso di Santa Clara sta facendo i conti con una pessima trimestrale e i fondi potrebbero non essere sbloccati prima di due anni. Infine, i social. Il 19 gennaio verrà deciso il destino di TikTok negli Stati Uniti: se ByteDance non venderà la piattaforma a un acquirente non legato al governo cinese, Washington ne bloccherà l’uso in tutto il Paese (ma sul caso bisognerà attendere che si pronunci anche la Corte Suprema). In Australia intanto il Parlamento di Canberra ha approvato con un voto storico la prima legge al mondo che bandisce l’accesso ai social media per tutti i giovani sotto i 16 anni, con multe fino a 32 milioni di dollari per chi non si adeguerà. La norma, che pure lascia qualche dubbio sulla sua implementazione tecnica – il divieto può essere facilmente aggirato usando una vpn ha ricevuto il sostegno del 77% degli australiani e il plauso di Norvegia e Gran Bretagna, già al lavoro per adottare una soluzione simile.