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 2025  gennaio 06 Lunedì calendario

Ritratto del movimento femminista negli anni Settanta

Una delle ragioni più importanti per leggere Covando un mondo nuovo è che non siamo di fronte all’ennesima raccolta fotografica con didascalie. Questo è un libro vero e proprio, che a differenza di un album chiede di essere letto dal principio alla fine perché il suo intento è ripercorrere un decennio complesso – gli anni Settanta – troppo spesso riassunto o banalizzato. Del resto, come ripete a più riprese Benedetta Tobagi, il femminismo è «l’unica rivoluzione riuscita del Novecento italiano» ed è quindi in questi termini che ne dovremmo parlare. 
L’autrice parte dalle fotografie di Paola Agosti per raccontare approvazioni di leggi, fatti salienti, eventi memorabili, concedendosi anche aperture letterarie di notevole respiro, come quando associa Il mondo dei vinti di Nuto Revelli alle battaglie femministe o per smentire Pasolini, che riteneva che la nuova società borghese avesse dappertutto soppiantato quella arcaico-contadina. 
Quando il racconto è scritto da chi domina così profondamente la materia, emergono alcuni riferimenti lasciati quasi sempre impliciti, come il legame di continuità tra il movimento partigiano – al cui interno è ormai pacifico che le donne abbiano ricoperto una parte di grande rilievo – e quello femminista. Ma in questa narrazione c’è anche l’Italia con le sue differenze: «L’Italia è un Paese a dieci, cento, mille velocità diverse. Da una regione all’altra, ma anche solo dalle grandi città alle campagne dello stesso territorio, sembra di viaggiare attraverso i decenni, a volte addirittura i secoli. La Marsica, per esempio – scrive Tobagi sopra una foto di famiglia – non pare sfiorata dal subbuglio degli anni Settanta. La femmina è moglie e madre, modesta e adusa alla fatica, sottomessa al maschio» continua l’autrice osservando quella donna senza età, rassegnata nello sguardo dimesso. 
La coautrice Paola Agosti, fotografa e attivista, parla attraverso i suoi scatti, ma ogni tanto ascoltiamo la sua stessa voce, che Tobagi riporta. Poi sparisce per pagine e pagine, ritornando qua e là ad aggiungere una nota personale alle foto più significative. 
A volte le immagini sono buone per tirare fuori aneddoti estremamente toccanti o simbolici – una manifestazione, un caso eclatante ed efferato di violenza sessuale, una protesta davanti ai giudici – altre per delineare un quadro su questioni ancora oggi cruciali, come il rapporto tra conoscenza del corpo, prevenzione e libertà di espressione: vere e proprie basi per sviluppare una coscienza critica, per contrastare il patriarcato e gli stereotipi di genere. È il caso di quel nucleo cospicuo di pagine che mostrano e raccontano l’aborto, il divorzio, la nascita dei consultori. 
Le parole della scrittrice sono attente e precise, non prevaricano mai le immagini. E come avrebbero potuto? Anche queste fotografie sono piene di parole: «Donne è bello, streghe è meglio», «La nonna non era frigida, era separatista», «Fuori le donne che hanno abortito, dentro Fanfani e tutto il suo partito». 
Tobagi è semmai particolarmente brava a svelare cosa c’è dietro gli slogan, quale sofferenza e quale rabbia hanno portato certe parole a cristallizzarsi in una frase o in una rima baciata scritta su uno striscione steso coraggiosamente davanti alla polizia e alle sue P38. 
Un filo comune – un filo di natura etica – lega tutte queste scene: dietro l’obiettivo ci sono sempre le donne più inconsapevoli e fragili, che per lo stato di sudditanza patriarcale in cui giacevano, per la periferia dove abitavano, per l’ignoranza del loro stesso corpo, per la mancanza di contatto e di dialogo con altre donne, non sono mai arrivate alla lotta né a concepire il corpo se non come strumento di fatica. È come se le donne ritratte convocassero sulla scena tutte quelle assenti. 
Il libro dà conto di come il movimento femminista non abbia avuto una storia lineare, ma costellata di inciampi, di passi in avanti e indietro, di scissioni per le anime diverse che lo componevano: quella più politica legata alla sinistra o ai radicali, l’altra che si teneva stretta all’emancipazione e alla conquista di una piena soggettività, un’altra ancora che non voleva mettere in discussione le istanze religiose, e via dicendo. 
È davvero una storia bellissima, quella del femminismo italiano, finalmente raccontata con immagini che restano e che non ci piovono addosso senza lasciare traccia, come quando le scrolliamo sui social. Un’avventura narrata con parole che scavano e inanellano sapientemente una battaglia che ciascuna donna ha combattuto a proprio modo – conclude Tobagi – «senza neanche un poco d’odio».