Corriere della Sera, 6 gennaio 2025
Luca Marinelli presenta la serie M., in cui interpreta il Duce
«Ma il fascismo è violenza. Il fascismo è il dominio della forza. È la volontà di pochi che si impone sulla volontà di molti. È sopraffazione. È arbitrio. È la legge del più forte. È odio. È eccitazione della massa. È rabbia. È il disprezzo della debolezza, del dubbio. È la legge del bastone contro il caos della mente. È decisione contro mediazione. È il rifiuto del compromesso. È il nuovo contro il vecchio. È essere sempre, sempre contro qualcosa o qualcuno. E chi si mette di traverso... Questo è il fascismo. O non è». Queste parole vengono declamate, come il programma di una riscossa, da un Mussolini che esce così dalla crisi successiva all’omicidio di Matteotti. Sono le parole che sottostanno al discorso del 3 gennaio 1925 con cui si conclude la bellissima serie «M, Il figlio del secolo» – otto puntate su Sky e Now dal 10 gennaio – tratta dal gran lavoro letterario di Antonio Scurati, girata da Joe Wright, scritta da Stefano Bises e Davide Serino e interpretata in modo magistrale da Luca Marinelli. La serie è prodotta da Sky Studios e The Apartment e distribuita internazionalmente da Fremantle.
Marinelli, come si è preparato a interpretare Mussolini?
«Sono partito dal libro di Antonio Scurati, che è stato una fonte di informazioni gigantesca per comprendere in quei cinque anni cosa questa persona aveva fatto, dove aveva portato l’Italia... Poi ho cominciato a cercarlo anche altrove, perché ci serviva sia la parte pubblica che quella privata. È stato molto difficile perché tutte le foto e le testimonianze che abbiamo, i filmati del Luce, danno una sola chiave di lettura, apologetica: tutto il circuito comunicativo era controllato dal regime. Quindi c’è sempre e solo un racconto tronfio e trionfale di ogni suo gesto. Ma, comunque, mi è servito per introiettare la sua mimica, il suo modo di parlare e di muoversi».
Altre fonti?
«Una sua autobiografia, dove si capisce già che persona era. Uno che a 30 anni finisce in carcere e scrive un’autobiografia... Poi c’è una biografia che era sempre controllata dal fratello e da lui. E un testo di Cesare Rossi, che, negli anni che affrontiamo, dal 1919 al 1925, è il suo braccio destro. Un altro ancora di Margherita Sarfatti, figura decisiva di amante e musa ispiratrice. Quello che però mi ha aiutato di più è stato il testo di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Le sue memorie durante la visita di Hitler in Italia del 1938. Lui, grande archeologo, fu obbligato a fare da cicerone. È una testimonianza di una persona contro, di un antifascista. Descrive anche fisicamente le loro movenze, in particolare quelle di Mussolini: come parlava, come scherzava, la sua volgarità. Tutto questo l’ho messo insieme, l’ho digerito e l’ho restituito secondo la mia sensibilità... Ogni attore fa, a suo modo, il proprio personaggio».
Mussolini è il personaggio più difficile che si possa interpretare?
«Fino ad ora sì, perché quando scelgo un ruolo penso che la cosa più importante sia quella di sospendere il giudizio. È una cosa che ho imparato durante gli studi e che anche i grandi maestri mi hanno insegnato. Sospendere il giudizio, avvicinarsi il più possibile a quest’anima alla quale devi dare un corpo, che sia un personaggio della realtà o della fantasia. In questo caso è stata una cosa per me veramente dolorosa, veramente forte, che naturalmente mi aspettavo, ma non pensavo di vivere con tanta intensità. Non mi volevo avvicinare a Mussolini e purtroppo ho dovuto farlo. Questa sospensione del giudizio è stata abbastanza dolorosa per me e ha reso questo il personaggio più difficile da interpretare, per un discorso di etica».
Partendo da questa difficoltà, gli ha restituito una dimensione di maschera tragica e grottesca. Ha compiuto una scelta teatrale?
«Interessante che lei pensi questo. Abbiamo fatto vari ragionamenti. Per raccontarlo, come dicevo, bisognava scovare la sua parte privata. Tutto quello che noi riportiamo nel film, tranne alcuni momenti, è la parte politica, quella dei disegni e delle trame, nell’ombra. Ma ho capito che in famiglia lui faceva la stessa cosa, mi è sembrato che non avesse mai una dimensione privata. È stato abbastanza scioccante: mi sembrava che lui non fosse mai sincero, neanche con sé stesso. Sembra sempre su un palcoscenico, anche quando è in famiglia, perché lui ha sempre una maschera che indossa. Lo diciamo anche nella serie: “Adesso entra in scena il prestigiatore, adesso entra in scena il domatore, adesso entra in scena il doppiogiochista”. Lui si attribuisce sempre un ruolo, come per allontanarsi da sé stesso. È una persona sempre in scena, questo mi verrebbe da dire. E poi non mi scorderò mai la definizione di un intellettuale dell’epoca che lo vide su un palco, durante uno dei suoi discorsi, e disse appunto che era una bestia da palcoscenico. Ho la sensazione che sia stato un uomo che aveva sempre una maschera davanti al volto».
In fondo le è sembrato di interpretare un attore?
«In qualche maniera sì. Sicuramente qualcuno che metteva in atto qualcosa che pensava con un obiettivo ben preciso. Un attore però lavora con le proprie emozioni, lui lavorava manipolando le emozioni degli altri, molto macchinoso, qualcosa che aveva a che fare con l’ingegno, e con l’ambizione. Aveva capito di dover parlare allo stomaco delle persone usando il caos e la paura e quindi, fornendo risposte semplici, rassicurava. Si può dire che Mussolini ha inventato il populismo, come l’arte di fornire la soluzione più semplice e di arrivare al fegato delle persone. È una tecnica che si riaffaccia in certi momenti della storia, anche ora. Mussolini percepiva le emozioni della gente e le usava però in una maniera molto artificiale, molto strumentale».
Quanto l’ha aiutata l’abolizione della quarta parete, la scelta di rivolgersi, in scena, direttamente al pubblico?
«È stato un discorso molto interessante. Quella scelta penso che ci abbia permesso di non relegare il racconto semplicemente ad una storia del passato, ma di portarlo nel presente. Era come fare spesso un parallelismo con il presente o semplicemente anche chiamare il pubblico – che sta guardando ora, nel presente – sempre dentro alla storia. Naturalmente lo chiamava la persona sbagliata, però, personalmente, ho ritrovato tanto del presente, nel rompere la quarta parete. È un po’ come questi politici che vediamo oggi fare continuamente dirette sui vari social, che entrano in casa tua fingendo di parlare direttamente con te».
Un montaggio veloce, musiche di oggi, una scenografia inquietante: un modo pop di raccontare il fascismo che non si è mai visto prima.
«Sì, ovviamente è una scelta più registica, penso sia stato bellissimo e importantissimo anche con il richiamo di una musica fortemente contemporanea a noi far capire al pubblico che “M” è una storia del tempo, ma è anche una storia profondamente attuale, purtroppo. Il modo scelto di raccontare una vicenda di cento anni fa serviva a far percepire l’attualità assoluta di quella vicenda».
Lei ha raccontato la fragilità di Mussolini, nei mesi precedenti il discorso sull’assassinio Matteotti.
«In quel periodo Mussolini era sicuramente agitato da varie emozioni, devastato dall’ulcera, indeciso su come uscire dall’omicidio Matteotti. Essendo stato un essere umano avrà avuto anche i suoi momenti di debolezza, che noi abbiamo descritto, però poi i risultati dei passaggi attraverso queste emozioni sono sempre stati scelte criminali, come vediamo dalla storia e dalla serie».
Il tono dominante delle immagini del vostro lavoro è il buio. Non c’è quasi mai il sole, in questo film.
«Sì, non c’è mai il sole. Visitiamo proprio le parti oscure dell’essere umano. Mi vengono in mente poche scene con il sole, momenti che poi M distruggerà con l’oscurità che lo abita, con il suo malessere interno e con la sua violenza. Quindi sì, è vero, c’è poca luce».
Mussolini alla Camera rivendica la responsabilità dell’assassinio di Matteotti e così registra il massimo della popolarità. Lei si è chiesto, nel ruolo, come sia potuto accadere?
«Davanti al libro di Antonio, poi all’osservazione della storia, mi sono sempre fatto delle domande. Mi è sempre sembrato tutto così assurdo: la sua fulminante ascesa, la marcia su Roma, il deflagrare della democrazia, il comportamento del re. All’inizio c’è stata una grande sottovalutazione della figura di questo criminale. Dopo, sicuramente per colpa dell’impero di violenza che lui si era costruito attorno, pronto a scatenare l’inferno appena avesse dato via libera, Mussolini è riuscito a tenere comunque sotto scacco le persone dell’epoca. Un popolo che prima aveva sbagliato sottovalutandolo e poi si è ritrovato chiuso in una dittatura soffocante. Ci sono state naturalmente delle meravigliose eccezioni. Noi, nella nostra serie, racchiudiamo tutto nella figura di Matteotti, un vero eroe del suo tempo. Ma ci sono state anche altre figure che, per questioni drammaturgiche, non si è potuto inserire. È stato scelto di identificare i coraggiosi che avevano intuito l’esito del regime nella figura di Matteotti, accanito oppositore di Mussolini e del regime».
E se è accaduto, può succedere di nuovo?
«Vedo tanti parallelismi, ma spero che le persone sappiano, stavolta, essere presenti alla storia, presenti nel momento presente, nel tempo presente. È molto difficile, perché la vita è complessa e piena di problemi, anche personali, e ci porta talvolta a non percepire, a perdere il fuoco sul quadro generale nel quale viviamo. Vedo tanti parallelismi e sono preoccupato perché, studiando semplicemente quei sei anni di storia, si capisce che tutto può degenerare rapidamente e la libertà ci può essere tolta in un tempo molto breve. Quindi non so se le cose possano ripetersi nella esatta stessa maniera. In alcune parti del mondo oggi ci sono delle dittature. E sono troppe, questo assolutamente sì. Quello che faccio è un invito a me personalmente, l’invito a essere sempre presente. A chi vedrà la serie, di leggerla come il racconto di ciò che è stato, ma anche di ciò che possiamo evitare si ripresenti».
Lei, nella parte di Mussolini, pronuncia due frasi: la prima è l’elogio della sfrontatezza come superamento dei confini, come inviolabile violato. La seconda: «La democrazia dà molte possibilità, anche quella di distruggerla». Sembrano attuali.
«Sì, assolutamente. Mussolini, nella serie, anche grazie alla rimozione della quarta parete, parla al presente, parla quasi come se sapesse quello che sta succedendo nel mondo, ora. Lo dichiariamo all’inizio: “Siamo ancora tra voi, non vi affannate, perché siamo ancora tra voi”».
Più volte Mussolini disprezza gli esseri umani, il popolo in nome del quale vuole essere il Duce degli italiani.
«C’era sicuramente disprezzo, e una grande voglia di comando. Nel momento in cui ti metti nella posizione di comando, penso che ti convinca da solo che tutti intorno a te siano persone che devono solo obbedire. Sicuramente ci si posiziona dall’alto verso il basso. Sono cose alle quali sono arrivato avvicinandomi al personaggio, comprendendo che quello di M è certamente un impero, ma di dolore e tristezza. Ho dovuto indossare le vesti di chi disprezzava l’umanità. Un sentimento orrendo che ho vissuto per sette mesi, durante le ore del set».
Quel finale così emblematico, con Mussolini che guarda in macchina dopo il discorso del gennaio 1925, cosa vuol dire?
«L’idea ci è venuta durante le prove, quando abbiamo sentito il grande silenzio nella sala prove. Sono stati anche i silenzi a consentire la tragedia del fascismo, della dittatura, della guerra. Quelli del re, della chiesa, dei politici... Tranne quei pochi eroi che citavamo prima. I silenzi sono il concime di ogni dittatura».
Dio, patria e famiglia, è una triade che torna. Però nella serie si racconta come Dio, attraverso i suoi interpreti in terra, trattasse brutalmente per affari terreni, come la famiglia di Mussolini non fosse, diciamo così, armonica, come la patria venisse trascinata in guerra e lasciata poi in mano alle Ss. In realtà, tre grandi inganni.
«Sì, sono tre grandi inganni, lo vediamo nella serie. Mussolini non crede in Dio, anzi lo provoca: durante un comizio disse “Signore fulminami adesso, ti do solo un minuto” e cominciò a guardare l’orologio. Dio non è qualcosa che lui prendesse in considerazione. La famiglia la vediamo, lui ha amanti da tutte le parti, figli non riconosciuti ovunque. Patria? Mussolini ha un disprezzo totale per le persone, sono solo un mezzo, questa patria declamata è solo uno strumento, reso passivo, per arrivare a qualcosa che ha a che fare con la propria affermazione personale. Il potere come fine. Tre grandi inganni usati dalla politica. Ieri come oggi».
Matteotti è stato probabilmente il leader della sinistra più lungimirante. Che idea si è fatto del suo ruolo in quel passaggio storico?
«Matteotti ha dedicato la sua vita a combattere qualcosa che lui già aveva capito avrebbe portato a una dittatura, alla distruzione della dignità della politica. È un personaggio eroico del tempo e mi sono emozionato tantissimo quando è stato nominato dalla nostra senatrice a vita Liliana Segre durante il discorso all’apertura del Parlamento. Di Matteotti purtroppo si parla poco. Nella nostra serie lo raccontiamo come era: l’oppositore che in Parlamento usa il suo coraggio e urla in faccia tutti i crimini e gli orrori che il partito di Mussolini sta mettendo in atto. Mi commuovo sempre, quando lui si accascia sul banco dopo aver pronunciato il celebre intervento contro le elezioni manipolate e dice ai suoi compagni la frase storica: “Io il mio discorso l’ho fatto, adesso voi preparate la mia omelia”».
Sua nonna ha superato la contrarietà alla sua scelta di interpretare Mussolini, si è tranquillizzata?
«Il mio obiettivo era farle vedere la serie prima che uscisse in televisione per tranquillizzarmi anch’io. Mi hanno regalato una proiezione a Cinecittà dove sono riuscito a portare mia madre, mio padre e lei. Nonna era molto contenta, e alla fine e mi ha detto “Hai fatto bene” e questo mi ha rincuorato».
Voi siete una famiglia antifascista da sempre?
«So che le persone che mi sono state accanto dalla mia nascita fino ad oggi mi hanno trasmesso questo valore, una delle tante cose giuste che mi hanno insegnato a crescere».
Lei teme che si possa tornare a sistemi autoritari?
«Ho una preoccupazione, sicuramente. Vedo già tante cose che mi sembrano indicare quella deriva... La preoccupazione c’è perché avverto una tendenza, anche dell’opinione pubblica. Accadono cose che mi lasciano attonito e mi angosciano. Ho una grande stima dell’essere umano, una grandissima stima. Penso che non siamo ciò che viene rappresentato. Non siamo l’odio, non siamo la violenza. Nessuno sta bene nell’odio, nessuno sta bene nella violenza. Quindi non capisco cosa sta accadendo, non lo capisco proprio. Ma credo molto nelle persone. Credo soprattutto nelle persone più giovani di me, perché sento che ci stanno portando verso grandi cambiamenti, verso dei bellissimi cambiamenti, verso un futuro più accogliente, più capace di libertà individuali e collettive. Vivo di questa speranza e sento che questo, in qualche maniera, può accadere. E accadrà».