Tuttolibri, 5 gennaio 2025
Come funziona la vita monastica
Chi sono i monaci? Sono quelli che comprendono la realtà e il mondo altrimenti. E siccome comprendono altrimenti, vivono anche altrimenti. Vi sono alcune costanti che definiscono l’alterità della vita monastica cristiana (ben sapendo che, più in generale, la vita monastica è un fenomeno umano universale).Innanzitutto i monaci sono là: non hanno uno scopo, se non quello di tentare di vivere il Vangelo, nella forma del celibato e della vita comune. I monaci non hanno nessuna funzione particolare nella chiesa. Altri sono nella chiesa per fare qualcosa: i vescovi e i presbiteri per governare il popolo di Dio, i frati per predicare, le suore per aiutare i poveri e i malati… I monaci invece non hanno nessuno scopo specifico. Non si fa carriera nella vita monastica: si resta sempre fratelli e sorelle, poveri laici. «Noi non siamo che poveri laici», come diceva Pacomio al patriarca di Alessandria Atanasio…Quanto a ciò che dà senso a ogni vita umana, ossia l’amore, anche a questo riguardo i monaci vivono altrimenti. Essi decidono di amare l’altro prima di conoscerlo, mentre normalmente nella vita prima si conosce qualcuno e poi lo si ama. I monaci no! Decidono di amare l’altro prima di conoscerlo, e si sforzano di fare questo, in obbedienza al comandamento nuovo: l’altro è l’ospite, è il viandante, è colui che chiede di entrare in comunità. Vivere il celibato dà ai monaci una libertà e una possibilità ulteriore e diversa di interiorizzazione, di pensiero, di solitudine: tutti strumenti per fare una vita monastica che è ricerca di Dio e ricerca dell’uomo.All’interno della comunità monastica non c’è possibilità di proprietà o possesso privato. Tutti i beni sono comuni e tra i monaci il denaro non circola. Certo, i monaci sanno che il denaro ha un potere, ma non riconoscono al denaro nessuna autorità nelle loro relazioni. E questo cambia molte cose. Lavorano tutti (e cercano di farlo bene!) per non dipendere da nessuno, lavorano per guadagnarsi da vivere, e tra di loro c’è chi guadagna poco e chi molto: ma questa differenza non significa nulla nelle relazioni, perché i guadagni sono messi in comune. Inoltre tutti, indistintamente, fanno lavori manuali: cucinare, lavare i piatti, pulire le case, fare lavori nel bosco o nell’orto… Insomma, tra i monaci il denaro e il lavoro praticato non contano: ciò che conta è che sono fratelli e sorelle, solidali, coinvolti in una stessa vicenda. Capaci e poco capaci, forti e deboli, sani e malati, bisognosi e meno bisognosi, i monaci sono tutti uguali in dignità e tutti devono sottostare agli stessi doveri e godere degli stessi diritti. È a partire da questa unità, vissuta nelle differenze, che i monaci tendono alla fraternità, cercando di vivere il primato del comandamento nuovo. Così facendo, giorno dopo giorno si esercitano nell’amore e si sentono un corpo, membra gli uni degli altri.Nella vita monastica la consapevolezza di formare un corpo chiede che si pratichi la sottomissione reciproca, il «portare i pesi gli uni degli altri» (cf. Gal 6,2). L’obbedienza alla regola e all’abate è sempre e solo in vista della sottomissione reciproca che permette la comunione e la relazione nella libertà e nell’amore. Sottomissione reciproca significa accettare che le persone deboli dettino il passo alla comunità, che gli intellettuali prendano lezione dai semplici, che gli anziani ascoltino i giovani, che il dissenso affiori come segno che si sta insieme a causa di Cristo e non come un gruppo narcisistico e autoreferenziale. Nello stesso tempo, con il passare del tempo si può fare la scoperta che la regola è un cammino di libertà, che esiste una libertà più grande di quella che consiste nel fare ciò che si vuole. Contrariamente a ciò che si pensa, le richieste a volte dure della regola non sono una perdita o un ostacolo ma un aiuto per maturare e approfondire la propria umanità.Un tratto peculiare dei monaci è che essi amano la notte e vivono la notte prima del giorno. Gli altri uomini e donne vivono di giorno e poi prolungano la vita nella notte. I monaci invece fanno il contrario: alla sera presto (verso le 20) entrano in cella e vanno a riposare, ma al mattino (tra le 2,30 e le 4,30, a seconda dei monasteri) si svegliano anticipando la luce del giorno e vegliano nella lettura delle Scritture, nella meditazione, nella preghiera. Non ci si alza presto per fare penitenza, ma per vivere la notte, quel tempo benedetto in cui si è soli, in cui c’è assoluto silenzio, in cui, soprattutto, si può ascoltare Dio che parla al cuore umano.Alex Corlazzoli, giornalista, maestro e scrittore, dopo aver sostato per lungo tempo nel monastero di Cellole che io ho fondato più di dieci anni fa a San Gimignano, in Diario da un monastero. Parole di un ateo in cammino, offre ai lettori la sua esperienza. In questo libro, da “ateo in cammino” come ama definirsi, Corlazzoli scruta la vita monastica dall’interno vivendola per un lungo tempo. Non è un diario dei giorni, una cronaca dei fatti, un quaderno di memorie, e tanto meno un insegnamento sul monachesimo. È la semplice e onesta narrazione di ciò che ha vissuto a contatto giorno e notte con dei monaci. Grazie a un acuto spirito di osservazione e una grande capacità di interpretazione l’autore ci consegna la vita monastica letta da occhi che hanno saputo vedere, osservare, cogliere e da orecchi che hanno saputo ascoltare, discernere, comprendere. Grande è il tatto, la delicatezza, direi il pudore con il quale racconta i momenti più importanti che scandiscono la vita monastica ma anche i momenti più intimi della vita personale e di quella comune: annota, osserva, soppesa senza mai giudicare. Non idealizza ma ne annota anche i limiti, le debolezze, le contraddizioni. Di pagina in pagina si coglie nettamente il desiderio di capire, di conoscere, di imparare.Mi sembra di poter dire che il valore della sua testimonianza è questo: uno sguardo altro su una vita altra. Ciò che caratterizza la testimonianza di Alex Corlazzoli di un tempo prolungato vissuto insieme con dei monaci è senz’altro la sua non comune capacità di raccogliere, comprendere e interpretare gli elementi essenziali che costituiscono l’altrimenti della vita monastica e portarli a convergere in un’istanza centrale, che li riassume e li ri-significa: i monaci vogliono essere una memoria della communitas, un antidoto alle forze centrifughe, disgreganti, individualistiche. Tutto è per loro comune, e la stessa personalità del singolo non deve diventare singolarità contro o senza gli altri.I monaci si esercitano a vivere in comune, a possedere in comune, a intraprendere tutto in comune, a legiferare insieme: in una parola, a vivere la fatica e la bellezza della fraternità