Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  gennaio 05 Domenica calendario

In Ucraina tutti vogliono il negoziato, ma nessuno vuole fare la prima mossa

Guardano tutti il calendario, con in rosso segnata la data del 20 gennaio. Studiano le parole proferite e soprattutto il non detto degli uomini di Donald Trump prmia della data dell’insediamento. «Può aiutarci a fermare Putin – dice di lui il presidente Zelensky –. È molto forte e imprevedibile».
L’Ucraina secondo Joe Biden è già acqua passata. Dall’amministrazione americana uscente si attendono le ultime forniture, quelle che consentiranno di reggere a malapena per tutta la prossima estate e il tempo di un negoziato che potrebbe partire abbassando il volume della guerra, che intanto continuerebbe nella sua emorragie di vite e territori. Di una cosa a Kiev sono certi: Trump vuole fermare la guerra. Ma tutti si domandano come e cosa ci perderanno da una parte e dall’altra.
Mentre l’amministrazione ucraina, usa toni improntati a un maggiore realismo, da Mosca lo spartito è quello dei negoziatori abituati in tre decenni di guerre putiniane ad alzare la voce prima di sedersi il tavolo e tenersi il bottino. Era stato nei giorni scorsi il ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov a frenare gli entusiasmi per le proposte del presidente eletto. Pur rimarcando di non avere ricevuto alcun segnale diretto dagli Usa, Lavrov non ha mostrato entusiasmo per una delle proposte dei consiglieri di Trump che vorrebbero offrire il rinvio per 20 anni della proposta di adesione di Kiev nella Nato dispiegando da subito un contingente di forze di pace dell’Ue e del Regno Unito.
È il prevedibile gioco del carro davanti ai buoi, per misurare le reazioni e tenere coperte le vere ipotesi negoziali. Trump aveva assicurato che in un giorno dal suo insediamento avrebbe chiuso i conti con la guerra che volge verso i tre anni. Ma una eventuale risposta dal Cremlino non potrà arrivare prima del 26 gennaio, in attesa che da Minsk giungano i risultati delle presidenziali che dovranno riconfermare (e nessuno né dubita) l’alleato scudiero Aleksandr Lukhashenko al comando della Bielorussia.
Nel frattempo è stata convocata la prossima riunione del Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina nel cosiddetto “formato Ramstein”. Si terrà il 9 gennaio nella omonima base aerea Usa in Germania, con la partecipazione del capo del Pentagono, Lloyd Austin.
Volodymyr Zelensky intanto deve misurarsi con un paio di grossi problemi. Primo: è cresciuto il numero di ucraini che si dicono pronti a discutere «in modo flessibile» le condizioni per la fine del conflitto, mentre la maggioranza, come rilevano tutti i sondaggi a Kiev, è contraria ad una pace «ad ogni costo» e quasi metà della popolazione (il 47%) resta contraria a qualsiasi compromesso che implichi il rinvio dell’adesione alla Nato in cambio di un rapido ingresso nell’Unione europea. Il timore che Putin, una volta calmate le acque, possa tornare di nuovo ad attaccare il Paese non sarà facile da archiviare.
Secondo: dal momento in cui dovesse essere firmata una tregua, Zelensky dovrà lasciare l’incarico e indire nuove elezioni, considerato che da circa un anno mantiene la presidenza, per effetto della proroga concessagli dalla dichiarazione dello stato di guerra. E ad affacciarsi potrebbero essere alcuni dei licenziati eccellenti dallo stesso Zelensky, come il generale Zaluznyj, fautore della difesa di Kiev che mandò per aria i piani del Cremlino e poi protagonista della controffensiva ucraina che fece indietreggiare i russi per centinaia di chilometri. Il generale è ora ambasciatore a Londra. Come pure licenziato è stato l’allora ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, il politico ucraino più apprezzato dalle cancellerie internazionali, ultimamente riapparso in diverse interviste nelle quali conferma il sostegno a Zelensky ma suggerisce alternative negoziali per non fare dell’Ucraina l’eterna magnifica preda di Mosca