il Fatto Quotidiano, 5 gennaio 2025
Biografia di Luca Josi
Immagine. Teoria. Sostanza. “Primissimi anni 90, m’informano che mi stanno pedinando. Che c’è un ampio dossier su di me”. E? “La persona, preoccupata, mi segnale che dal dossier risulterei un ‘h24’; (pausa, sorride) l’interlocutrice è preoccupata perché siamo negli anni 90 e non conoscendo la sigla, pensa all’Aids e non traduce in ‘controllato 24 ore su 24’. Insomma, dentro quel dossier appaio pure come uno scaltro perché ‘mi muovo con il motorino, cambio sempre strada, mi giro per controllare se sono seguito. E non ho orari fissi’”.
Questa la teoria.
La realtà: “Non avevo orari perché con Craxi non c’erano, si finiva anche alle tre del mattino; cambiavo strada per un motivo: sono di Genova, lì tutto è semplice: il Nord è segnato dai monti, il Sud dal mare; mentre Roma è il caos, con il percorso tortuoso del Tevere che confonde ogni punto cardinale. Mi perdevo. Infine mi voltavo perché non avevo gli specchietti retrovisori: ci avevo rinunciato dopo il sesto furto”.
Altro che spy story.
Eppure non risultavano indagini su di me. Chi fossero i signori rimane formalmente un bel quesito. Però, per non dare vantaggio all’imprevisto, giravo armato.
(Luca Josi è un intreccio di vite, è la sintesi di emozioni, esperienze, suggestioni, avi celeberrimi, stagioni del Paese, direzioni ostinate e contrarie. A volte è il protagonista diretto, altre uno spettatore privilegiato, altre un umarell senza età. A 20 e pochi anni è stato eletto segretario dei giovani socialisti, 90 mila iscritti, ultimo giovane leader di quella stagione. Craxi non lo ha mai mollato. Si è preso anche le monetine fuori dal Raphael ed era seduto in macchina accanto a lui. Poi ha fondato una società di produzioni televisive, 50 milioni di fatturato “fino a quando non ho incontrato un po’ di fogna televisiva che domandava cose irricevibili; ho fatto l’unica cosa che andava fatta: rivolgermi alla procura, dimentico che, spesso, la denuncia del reato diventa il reato…”. Tutto finisce male “e nonostante le mie idee politiche, solo voi del Fatto, Dagospia e pochi altri avete affrontato la storia”. Da lì un periodo di buio. Poi di nuovo i riflettori con cinque anni da direttore brand strategy media e multimedia entertainment di Tim. Ha portato la voce di Mina a Sanremo. Ha puntato sui Måneskin. Ha invitato Zuckerberg a essere il primo ospite virtuale del Mausoleo di Augusto. I cinque anni sono diventati un libro,
Il lustro del lustro . E questa intervista doveva partire da qui e dal suo ultimo spot per Autostrade. Siamo andati altrove).
Nel libro si definisce “un provinciale”. Roma l’ha mai spaventata?
Nei primi anni ero estasiato dalla bellezza: mi fermavo sul ponte davanti alla Cassazione a godermi la cartolina tra San Pietro e Castel Sant’Angelo, mi sentivo appagato, in vacanza. Nonostante il caos politico.
Giovane leader socialista.
Avevo 25 anni e vivevo le giornate come fossero le pagine di un romanzo epico; magari ero in macchina con Craxi e ogni tanto mi domandavo se era veramente lui o l’immagine del televisore.
Si piaceva lì in mezzo?
Non ci pensavo nonostante abbia un grandissimo rispetto della vanità, nonostante mi guardi continuamente nelle vetrine, perché ancora oggi non mi riconosco…
Si riguarda pure quando è in studio dalla Gruber?
Quel luogo è un totem della tv. Per me è un allenamento mentale: calibri parole, concetti, ti confronti, ti concentri. È una palestra per il tuo cervello e un integratore di narcisismo e vanità. Ma soprattutto un luogo civile senza urla e strepiti.
Quando ha scoperto la vanità?
Da bambino ho iniziato a parlare tardi, con i miei parenti preoccupati. Eppure pensavo: “Non ho niente da dire!”. Al contrario, disegnavo in maniera inquietante (mostra le sue copie della Cappella Sistina).
Disegna ancora?
Ho smesso.
Ne ha parlato con uno psicanalista?
Non racconterei mai il mio dentro a una terza persona.
Riservatezza o timore?
I segreti sono tali se sono solo tuoi.
Chi gliel’ha insegnato?
Una volta ho incontrato una persona autorevole della sicurezza di Gorbaciov. Sapeva molto di me. E mentre parlavamo gli dissi: “Certe cose non le voglio sapere, non per moralismo, ma perché preferisco”. Mi replicò con una frase quasi popperiana: “Bravo, meno sai, meglio stai”. Per lui il miglior modo per non parlare, per conservare un’integrità, non era affidarsi alla tenacia, ma scartare i fattori di rischio.
Non si sa mai.
Sono infinite le tecniche per impossessarsi dei tuoi saperi. Per me vale la tesi di Turi Vasile: “Male non fare, paura avere”. Chi non è abituato al male, deve avere paura.
Ha avuto spesso paura?
Mai. Dormivo con la pistola sul comodino.
La pistola non basta.
La buona morte è sempre stata una componente della mia esistenza.
Va bene, ma avrà pensato “dove sono finito?”.
Per sei volte, in quegli anni, mi sono entrati in casa, e non erano ladri comuni: rubavano poco, cercavano carte e, probabilmente, mettevano cose. Dalla quarta ho sempre lasciato sulla scrivania un bicchiere d’acqua, un cioccolatino lassativo e dei documenti sui finanziamenti di altri partiti e movimenti.
Quelle carte sono state utilizzate da qualcuno?
In Parlamento Craxi non disse “tutti colpevoli, tutti innocenti”, ma “tutti colpevoli”. Il sistema di quel tempo oggi si è solo affinato.
Lo storico discorso di Craxi in Parlamento, quello del dito puntato, è suo.
No, ne avevamo parlato molto, ma è opera di Craxi, pensato sotto un albero della nostra amica Paola, e scritto sul retro delle fotocopie con sopra la rassegna stampa.
Craxi attento a non sprecare carta?
Era il più moralista tra i socialisti, con comportamenti e usi quasi militari: sarebbe bastata la foto della sua stanza al Raphaël per chiudere il dibattito sul satrapismo socialista. Disinteressato ai soldi.
Il disinteresse ai soldi è una forma di potere per chi se lo può permettere.
I soldi servivano per la politica. Allora tutto era politica.
C’erano i conti in Svizzera.
Ho un ragionevole dubbio che il Psi non fosse l’unico partito con i conti all’estero. Comunque, in politica, chi si sente senza peccato può sempre informarsi dal proprio cassiere.
Ha smesso con la politica.
Ho capito presto di non essere indispensabile all’umanità e questo un vero politico non lo può pensare; un politico o ha quell’ego o non combina nulla. E su mille politici almeno 997 sono intercambiabili.
Oltre a Craxi, chi sono gli altri due fondamentali?
Perché mi devo fare altri 997 nemici? (pausa) Andreotti sicuramente, come De Gasperi.
Andreotti lo ha conosciuto bene?
No, abbastanza.
Gli ha posto domande scomode?
Non amo chiedere, ma so ascoltare.
Ha ascoltato tanto…
Sono stato protagonista di situazioni rispetto alle quali ho pensato: “Se questa la racconto non ci crede nessuno”.
Tipo?
Irraccontabili. La creatività della realtà è infinitamente superiore a quella più iperbolica della fantasia; ho smesso con la politica anche perché diventi inevitabilmente maleducato.
Tradotto?
Pure con la migliore delle buone volontà, molti ti conoscono e tu non conosci tutti; tutti pretendono che rispondi alle loro domande, ma non sei in grado. A me risultare non cortese dà fastidio; poi non puoi raccontare ogni cosa a chiunque, sei costretto a omettere e nascono bugie. Infine il potere è di una noia devastante.
Noioso, come?
Craxi alla terza parola capiva dove volevi andare a parare. In millesimo, rispetto a lui, avevo sviluppato questa qualità e non sopportavo i pistolotti: una parabola di nulla riempito di vuoto, frullato nel niente.
Un continuo.
Il 95% del tempo era l’ascolto di alchimie dell’intrigo di cui non me ne fregava nulla.
Dolore.
Orchite.
Lecchini?
Il potere è magnetico, per adulazione e interesse. Roma è territorio olimpico per cortigianerie e puoi passare in un istante dallo stato solido a quello gassoso.
Ha vissuto più volte la situazione del telefono che smette di squillare?
Già a Genova con mio padre. Lui era un professore di Ingegneria Navale prestato alla politica con i socialisti. Lombardiano. Fecero di tutto per non farlo eleggere in Liguria, con una violenza inusitata e quella violenza rappresenta un callo formativo; (sorride, lieve) Paolo Pillitteri, anni dopo, mi soprannominò “il lucido”.
Edificante.
Avevo vissuto i fatti legati a mio padre, con quei signori molto appassionati di potere e poco di politica; papà invece ha cercato solo ruoli legati al sociale, mentre alcuni gruppi di quel Psi erano interessati ad altro, con troppa gente che era affascinata dal benessere in forma individuale.
Quando lei è entrato in politica, suo padre fu contento?
Non dissi nulla. Ma fui molto veloce nella scalata e determinato nelle rappresaglie: mettendo a cuccia tutti i giovani colpevoli.
Andiamo avanti sul telefono che non squilla…
Con Craxi le avvisaglie sono arrivate dalle persone che non si presentavano a cena, i vari pretesti per evitarti.
E Craxi?
Sereno; (ride) non rinunciava mai al pisolino di venti minuti post-pranzo, neanche prima del famoso interrogatorio di Di Pietro per Mani Pulite; (cambia tono) nessuno si rende conto che Craxi, con i suoi governi, è stato al potere solo tre anni e mezzo, uno in più della Meloni e molto meno di Berlusconi.
Anche lei ai tempi di Mani Pulite è stato interrogato.
Nel ruolo più complicato: da testimone.
Senza avvocato.
Una decina di ore davanti a Davigo, ore marcate da toni accesi.
Spiazzato? Intimorito? Deluso?
(Pausa, lunga) Mia nonna paterna di cognome faceva Bragadin. Donna durissima. Caustica. Non mi ha mai narrato una favola. Ma prima di dormire mi raccontava la storia del nostro avo, Marcantonio Bragadin, scuoiato vivo dai turchi. Fu lui a tenere l’assedio di Famagosta per oltre un anno (la storia di Marcantonio Bragadin è meravigliosa e straziante. Luca Josi la conosce nei minimi dettagli). Ogni anno vado a Venezia e gli porto un fiore. Possibilmente un garofano.
Siamo a deluso, spiazzato, intimorito.
Rispetto alla nonna materna, il suo cuginetto era il tenente Piero Borrotzu. A 22 anni, lui nato il 25 aprile del ’21, è protagonista di ottime azioni partigiane in Liguria. I nazisti s’incazzano. Vanno a Chiusola (provincia di La Spezia), prendono i 73 abitanti, li mettono nel piazzale e dettano le regole: “Se entro le sei del mattino non arriva il tenente, ne facciamo fuori uno ogni cinque minuti”. Si è presentato. Torturato. Fucilato (silenzio, si commuove). Mentre moriva ha gridato “viva l’Italia” e negli anni ho incontrato i figli e i nipoti di quei 73 che mi hanno abbracciato spiegandomi che “erano nati grazie al coraggio di mio zio”.
Con questi avi…
Sono andato all’interrogatorio con loro nella testa. E relativizzi.
A cosa pensa?
A una frase di Cossiga; (pausa) parlavamo di Carabinieri – corpo per il quale ho una vera passione – lui mi replicò, secco: “Ricordati che sono sempre quelli che hanno fatto arrestare Pinocchio”.
Berlusconi per Craxi.
Ho negli occhi l’espressione di incredulità quando Craxi assisteva in televisione alle sue prime performances.
Incredulo?
Per Berlusconi provava affetto, anche quando persone vicine a lui tentavano di compiacerlo sminuendolo; replicava: “Provate a realizzare quello che ha fatto lui”.
Però…
Uno che da quarant’anni si occupava di politica aveva di fronte un semplificatore.
Negli ultimi anni quali sono i cervelli che l’hanno colpita?
Certamente Mina.
Poi?
Non voglio fare classifiche.
È amico di Roberto D’Agostino.
Genio. Ha inventato un modo di titolare, impaginare e rinfrescare le parole e renderle ficcanti.
Ha accanto il decalogo di Antonio Ricci su Striscia.
Sono le tavole di Mosè per chi fa produzione televisiva. Striscia è stato un altro raro caso che negli anni bui puntò un po’ di luce. Non dimentico.
Lei chi è?
Sono giorni che penso a questa domanda.
E … ?
Boh.