Corriere della Sera, 5 gennaio 2025
Albert Einstein da giovane viveva a Milano
Non si sa che strada preferisse, se percorrere tutta via Borgonuovo, e alla fine girare in via Fiori Oscuri; o se invece svoltare in via Monte di Pietà, per poi risalire in via Brera: il primo percorso è appena più breve dell’altro, in ogni caso non più di 7-800 metri di strada, una decina di minuti a passo spedito. «Scusa, ma ora devo andare in biblioteca, altrimenti si farà tardi», scriveva il 4 aprile 1901 in una lettera a Mileva Maric, sua futura moglie. Camminando per le strade del centro, intorno all’anno 1900, difficilmente i passanti avrebbero notato quel ragazzo poco più che ventenne, con un’ombra di baffi sulla faccia paffuta, i capelli crespi un po’ scombinati. Il giovane Albert Einstein viveva a Milano tre mesi l’anno, si trasferiva durante i periodi di vacanza dal Politecnico di Zurigo, perché qui in città s’era stabilita la sua famiglia, che aveva un’azienda elettrica (uffici in via Manzoni 41). Abitavano al 21 di via Bigli, e Albert andava a studiare nella biblioteca dell’Istituto lombardo accademia di scienze e lettere, nel palazzo di Brera. La passeggiata quotidiana d’una decina di minuti.
Il «periodo milanese» dello scienziato è ricordato in una targa ormai sbiadita, all’ingresso del palazzo che Gian Giacomo Poldi Pezzoli aveva venduto nel 1879 al principe Luigi Alberico Trivulzio: era lui a ricevere dagli Einstein l’affitto per un appartamento di undici stanze. Recita la targa: «In questa dimora visse giovinetto fra gli anni 1894 e 1900 Albert Einstein a questa terra ospitale spesso tornò con grato ricordo mentre lontano seguiva virtù e conoscenza e andava libertà cercando chi elesse a sua patria il mondo e riconobbe confini al solo universo. E = MC²». È passato più di un secolo da quel tempo, ma il luogo dove Einstein andava a studiare è una scoperta recente. Una decina d’anni fa lo storico della scienza Christian Bracco, maître de conférences all’università di Nizza Sophia-Antipolis e ricercatore nel gruppo «Storia dell’astronomia» del dipartimento Syrte dell’Osservatorio di Parigi, ha iniziato una tenace ricerca per ricostruire l’ambiente che aveva contribuito alla formazione dello scienziato. Ha lavorato sulle lettere di Einstein, ha isolato i riferimenti alle sue ricerche per la tesi di dottorato, tracciato le citazioni di articoli dei più noti fisici dell’epoca (da Paul Drude, a Max Planck): quegli articoli erano pubblicati sugli Annalen der Physik, e la biblioteca dell’Istituto lombardo (fondato da Napoleone nel 1797) era l’unica che a Milano, a quel tempo, avesse quella rivista. Il ritratto del genio da giovane è confluito nel libro: «Quando Albert diventò Einstein. Gli anni italiani 1894-1902», tradotto dalla Pisa University press nel 2019.
Il volume racconta anche il rapporto tra Einstein e Michele Besso, che rimarranno amici per tutta la vita. Nei loro incontri a Milano, tra 1899 e 1901, prendevano forma alcune delle idee che avrebbero rivoluzionato la storia della fisica. Il genio di Einstein esplose poco dopo il periodo milanese, nell’annus mirabilis 1905, con quattro articoli (teoria della relatività ristretta, teoria corpuscolare della luce, moto browniano e nuova determinazione delle dimensioni molecolari) che stanno alle fondamenta della scienza moderna. Christian Bracco ipotizza che la prima idea dei quanti di luce (poi chiamati fotoni), per cui Einstein avrebbe vinto il Nobel del 1921, sia stata concepita proprio a Milano. Nella prefazione al libro, il traduttore Paolo Rossi, professore di Fisica, riflette: «Ci rimane, da italiani, un solo rimpianto: il pensiero che a partire dal 1901 Albert Einstein avrebbe potuto essere a tutti gli effetti uno scienziato italiano e che solo la scarsa lungimiranza dei nostri poco illuminati cattedratici lo abbia avviato verso il lavoro all’Ufficio brevetti di Berna»: i suoi lavori «avrebbero forse potuto essere pubblicati sul Nuovo Cimento invece che sugli Annalen der Physik».
Nello stesso palazzo di Einstein, fino al 1886 aveva vissuto anche la contessa Clara Maffei, animatrice di un salotto da cui è passata la storia del Risorgimento. Al civico 15 invece abitava un altro Nobel, Eugenio Montale. Proprio alla sua strada Montale ha dedicato una prosa sul Corriere nel 1979: «Gli inquilini di via Bigli». Inizia così: «A Milano, in via Bigli, a pochi metri di distanza, si vedono due lapidi commemorative. Una è dedicata alla contessa Maffei, l’altra ad Albert Einstein... L’accoppiata può sembrare strana ma ha tutte le giustificazioni. Bontà e genio non sempre sono disgiunti; ma non è facile trovarne una simile prova. Del carattere di Einstein, della sua alta dignità di scienziato e di uomo, basterà citare un fatto. Quando giunse in America, dopo una carriera accademica non priva di controversie (et pour cause) e gli fu presentato un documento nel quale egli doveva specificare titoli accademici e anche la razza, egli scrisse: “umana” e a quanto pare non ebbe guai». Einstein, ricordava Montale, «è l’uomo che rifiutò di collaborare alla bomba atomica. Disgraziatamente non si aveva più bisogno di lui».