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 2025  gennaio 05 Domenica calendario

Biografia di Raz Degan

«Sono un personaggio che si batte per la salvaguardia del pianeta. Un esploratore che arriva a San Vito di Cadore, si stabilisce alle pendici di un ghiacciaio con un preciso obiettivo: salvarlo dallo scioglimento». Raz Degan è una new entry nell’ottava stagione di Un passo dal cielo, la serie tv in 6 serate di Rai Fiction coprodotta con Lux Vide di Matilde e Luca Bernabei (Gruppo Fremantle) in onda su Rai1 dal 9 gennaio con la regia di Alexis Sweet e Laszlo Barbo. 
Questa fiction è sempre stata, e lo è tuttora, molto attenta ai cambiamenti climatici, con uno sguardo di speranza. 
«E infatti sento molto vicino a me il ruolo che mi è stato proposto. Sono un ambientalista e pacifista. Vivo da parecchio tempo in un trullo pugliese, nella Valle d’Itria. Quando l’ho acquistato era solo un rudere in mezzo al nulla, ora è un luogo splendido, dove produco olio. Più che un attore, mi definisco un contadino». 
Da dove nasce la sua passione per la natura? 
«Sono nato in un kibbutz israeliano. E sembrerà strano, ma quando ero un ragazzino volevo scappare da lì, ho viaggiato in tutte le capitali del mondo, ho vissuto per molti anni come un nomade...». 
Cosa era successo? 
«Ero figlio di genitori separati: mia madre, americana, viveva a New York. Mio padre, israeliano, ha sempre vissuto, e continua a vivere in un kibbutz. Sono andato a vivere negli Stati Uniti e mia madre mi portava spesso al cinema o a teatro, per lei era molto importante che conoscessi il lato artistico della vita. Papà è un cittadino più semplice e per fortuna si sono separati, essendo così diversi, perché altrimenti non avrei mai avuto la possibilità di viaggiare e di variare i miei orizzonti». 
L’attore Degan come e perché nasce? 
«È stato il mio sogno sin da piccolo: vedendo i personaggi cinematografici o teatrali, attraverso di essi potevo vivere mille esperienze diverse. In seguito ho fatto i mestieri più disparati: dalla moda alla recitazione. Ho lavorato con grandi registi, da Robert Altman a Oliver Stone, ma l’esperienza più significativa l’ho vissuta nel 2007 con Ermanno Olmi nel film Centochiodi. Interpretavo un professore che sceglieva di andare a vivere in un rudere sull’argine del fiume Po. Allora il regista mi chiese come mai avevo scelto di abbandonare la mondanità per vivere in un trullo, invece che in una città importante, magari in una villa lussuosa». 
È tornato alle origini naturali. Cittadino del mondo, è stato adottato dall’Italia... 
«Sì, perché crescendo mi sono reso conto che la vera ricchezza è proprio data dalla natura, lo sporcarsi le mani di terra, piantare un albero, innaffiare l’erba... Non possiamo fare altro che lasciare ai posteri un futuro migliore di quello che abbiamo ereditato. Oggi è un dovere, siamo troppo impegnati nelle banalità dei social, nella superficialità del mondo virtuale. Per questo il personaggio di Stephen mi ha colpito nel profondo, perché pone delle domande che ci porteremo nella tomba. Nella finzione scenica è il fondatore della Origin, un’associazione nata per studiare gli effetti del cambiamento climatico, in particolare sui ghiacciai. Dunque, può contribuire a porci degli interrogativi su certe questioni, che possono completare il nostro viaggio vitale». 
Essere un bell’uomo l’ha favorita nel lavoro? 
«Può aprire tante porte, ma ciò non vuol dire che rimangano aperte. Occorre lavorare su sé stessi. La vita è un viaggio non una destinazione: bisogna liberarsi da tanti preconcetti. Né la bellezza, né un’esistenza lussuosa restano per sempre, mentre un albero piantato resta dopo di te». 
Non solo attore, anche regista, produttore di documentari... 
«E scrittore. Sto per pubblicare con Rizzoli la mia autobiografia: un viaggio personale attraverso le non facili prove familiari, partendo dalle difficoltà affrontate dai miei genitori».