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 2025  gennaio 05 Domenica calendario

Il musical sul boss che cambia sesso, pare che sia un bel film

La prima reazione è di sorpresa. Per la storia e per come è raccontata. La storia è quella di un boss del narcotraffico messicano che vuole cambiare sesso e diventare donna. Jacques Audiard l’aveva letta nel romanzo di Boris Razon Écoute, dove però quel desiderio era lasciato cadere nel nulla. E da lì è nata l’idea del suo nuovo film, per dare un seguito a quella voglia. L’altra sorpresa è il modo in cui ha scelto di raccontare quella storia, cioè di farlo in musica, con canzoni e balletti. Scegliendo di usare il genere più formalizzato e più astratto di tutto il cinema, quello meno realistico (le persone non si mettono a cantare o a ballare per raccontarsi). Ma è proprio questo contrasto, tra la durezza della storia che inizia in un mondo dominato dalla corruzione e dalla violenza, e la dolcezza della femminilità inseguita dal protagonista, a fare la forza e il fascino di Emilia Pérez.
Quanto alla bellezza del film, che solo una presidente di giuria capricciosa come Greta Gerwig non ha incoronato con la Palma d’oro al festival di Cannes (cercando poi di correggere l’errore con il premio della giuria e la Palma dell’interpretazione femminile a tutto il cast), quella bellezza nasce da questo strano contrasto, dal confronto tra la violenza e la dolcezza, tra l’odio e la passione, tra bugia e verità. Lungo la linea di un indistinto ma affascinante confine che intreccia storie, personaggi e il modo in cui prendono vita sullo schermo. Perché da un regista imprevedibile come Audiard (tornando a ritroso, i suoi film hanno raccontato giovani più o meno soli, avventure western, immigrati problematici, le rabbie degli esclusi o l’iniziazione alla malavita, solo per citare gli ultimi) non ci si poteva aspettare altro che un modo imprevedibile di usare la musica e la danza, lontanissimo da quello che siamo abituati a vedere e ascoltare. 
Che si tratti di un musical o di una biografia in musica (come adesso va di moda) le canzoni o i numeri ballati danno sempre l’impressione di essere ben distinti dalla narrazione, come «incollati» sulla trama: a un certo momento la storia si ferma e inizia la musica o il balletto. In Emilia Pérez invece non esiste un passaggio così netto: i dialoghi iniziano ad avere una cadenza diversa, all’inizio solo vagamente musicale per poi prendere un andamento più ritmato fino a diventare una canzone vera e propria. E così è per i balletti (meraviglioso quello di Zoe Saldana durante il pranzo per raccogliere fondi) perché i corpi sembrano voler resistere ai movimenti, iniziano accennando (controvoglia?) qualche mossa per poi farsi prendere dal ritmo, sempre pronti però a fermarsi (come nella scena del pranzo di beneficienza) per sorprendere lo spettatore e poi ripartire, guidati dal ritmo della musica. 
È in questa atmosfera che scopriamo la storia di Manitas del Monte (Karla Sofía Gascón) e la sua richiesta alla giovane avvocata Rita Mora Castro (Zoe Saldana) perché l’aiuti a diventare donna: lui è il capo del cartello vincente del narcotraffico messicano, lei una professionista abituata a piegare la testa di fronte alla corruzione e ai compromessi della giustizia. L’operazione ha successo e Manitas diventa Emilia Pérez (sempre Gascón, donna transgender nella vita, bravissima). Ma dopo quattro anni ecco che Emilia si rifà viva: non può vivere senza i propri bambini che aveva fatto mettere in salvo all’estero con la mamma Jessi (Selena Gomez) e incarica Rita di organizzare il loro ritorno in Messico, senza naturalmente che sappiano la verità. 
E qui siamo solo a metà dei 122 minuti del film, prima dei molti colpi di scena che riserva la sceneggiatura (firmata dal regista con Thomas Bidegain e Léa Mysius). A volte viene il dubbio che Audiard abbia preso una strada troppo in salita, troppo rischiosa, ma poi le musiche (di Camille e Clément Ducol) e le coreografie (di Damiel Jalet) ti conquistano regalandoti l’impressione di un mondo che si alza leggero, cullato dalle note, che ti portano pian piano dove non immaginavi di arrivare. Mentre il fascino del cinema ti rapisce