Corriere della Sera, 5 gennaio 2025
Il delitto Mattarella, 45 anni dopo
Ci sono tanti buchi neri nella storia italiana. E c’è quello legato all’omicidio di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione Siciliana ucciso 45 anni fa. Ucciso nel giorno dell’Epifania del 1980. Due anni dopo il suo maestro, Aldo Moro. Un mese prima di Vittorio Bachelet, allora vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Tutti nella stessa corrente riformista della vecchia Democrazia cristiana orientata a favorire un dialogo sempre più stringente con l’allora Partito comunista, a cominciare da quell’embrione di «larghe intese» da fare sfociare in un mai attuato compromesso storico. Un disegno bloccato nel sangue. Come avvenne anche con Mattarella ucciso sotto gli occhi di moglie e figli, soccorso invano dal fratello Sergio, oggi presidente della Repubblica.
Campeggiano i nomi di quei tre grandi uomini fra le brutte pieghe della storia nazionale maturata in un contesto politico internazionale che fa da sfondo all’opera, alla vita e alla morte di chi lavorava in quella direzione, «creando inquietudine fra i vertici del Patto atlantico, all’interno dei servizi segreti guidati da obliqui personaggi della P2 e nell’alveo di una organizzazione a quel tempo ancora ignorata dai giornali, Gladio». Questo racconta chi ha visto da vicino le vittime innocenti finite sotto il tiro di boss mafiosi e terroristi neri e rossi. Lo raccontano Rosy Bindi, Luciano Violante, Pino Arlacchi e tanti altri in una lettura unitaria che fa da filo conduttore di un docu-film pronto per la prima proiezione giovedì a Roma, «Magma. Mattarella, il delitto perfetto».
Tanto «perfetto» da non sapere 45 anni dopo chi sono gli assassini del governatore che avrebbe voluto mettere «la Sicilia con le carte in regola», fedele all’insegnamento di Moro, vicinissimo a Bachelet, tutti già soppressi al congresso Dc di fine febbraio 1980. Collegamenti di una ricostruzione che va oltre la cronaca, ma «basata su 30 mila pagine tra sentenze, articoli e atti processuali», come spiega la giovane regista Giorgia Furlan, autrice insieme con Alessia Arcolaci e Chiara Atalanta Ridolfi: «Il film è un’operazione sulla memoria».
Un modo per riaprire il dibattito sul mistero della morte di Piersanti Mattarella, ancora oggi oggetto di indagini che continuano in Procura dove si parla di due nuovi indagati senza farne i nomi. Se ne parla a qualche mese da una lettera anonima che indicò due neofascisti come killer. Pista battuta per anni da Giovanni Falcone sulla base di un riconoscimento effettuato dalla moglie di Mattarella, Irma Chiazzese, testimone oculare, il dito puntato contro il terrorista nero Giusva Fioravanti che avrebbe agito con un altro killer suo camerata, Gilberto Cavallini. Nomi che riecheggiano ad ogni ricostruzione, spesso dimenticando che sono stati entrambi assolti in via definitiva.
Adesso che aleggiano vaghe indiscrezioni su due nuovi indagati, forse è meglio agganciare la memoria al docufilm girato come un thriller, ma ancorato alle carte e ai documenti desecretati dalla Commissione antimafia a fine 2023. Compresi i nastri originali delle audizioni. A partire dalle deposizioni di Falcone, con la voce restaurata attraverso le diavolerie dell’intelligenza artificiale. Riproposta nitida e chiara. Offrendo la chiave di lettura affondata nei processi di questi 45 anni. Un valore aggiunto del film prodotto da Mauro Parissone, Ferruccio de Bortoli, fondatori di «42esimo parallelo», e Antonio Campo Dall’Orto, pronti per la proiezione di Roma al «Moderno» e il 16 gennaio al «Modernissimo» di Bologna.
Quel giorno l’assassino sparò sei colpi contro Mattarella, alla guida dell’auto appena uscita dal garage, la moglie accanto, la figlia Maria e la suocera dietro, terrorizzate mentre il figlio Bernardo, ancora al cancello, fissava la scena impietrito. Sequenze impresse negli scatti di Letizia Battaglia e Franco Zecchin giunti in tempo per fotografare il governatore in fin di vita fra le braccia del fratello accorso dal palazzo di fronte.
Devastanti inquadrature di trame sviluppate da Attilio Bolzoni, come voce narrante, da efficaci testimonianze come quella di Maria Trizzino, da flash di repertorio con Bruno Vespa davanti al caso Moro, da toccanti riferimenti di chi è stato vicino alle vittime. A cominciare da Rosy Bindi, sulle scale della Sapienza, mentre Bachelet, il suo professore veniva fulminato dalle Br, «funzionali ad altri poteri». Osservazione calzante in Sicilia per i killer di Piersanti Mattarella e per la carneficina che seguì, da Pio La Torre a Chinnici, fino al grande buco nero di Capaci e via D’Amelio.