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 2025  gennaio 04 Sabato calendario

Nel laboratorio di fentanyl del Cartello di Sinaloa che avvelena l’America

Appena entrati nel laboratorio di produzione del fentanyl, il cuoco ha versato una polvere bianca in un pentolone pieno di un liquido, poi ha iniziato a mescolarlo con un frullino a immersione, facendo sollevare esalazioni rosa che hanno saturato la piccola cucina.
Noi indossavamo maschere antigas, il cuoco soltanto una mascherina chirurgica. Si era precipitato lì con il suo socio per rispondere a un ordine di dieci chilogrammi di fentanyl. Una sola zaffata della sostanza chimica tossica avrebbe potuto ucciderci, hanno spiegato. Loro hanno detto di aver sviluppato una certa resistenza alla droga letale.
All’improvviso l’uomo ai fornelli ha fatto un balzo indietro. «Mi ha preso in pieno» ha detto il cuoco mezzo stordito, «devo prendere una boccata d’aria».
A settembre, all’interno del cartello di Sinaloa in Messico è scoppiata una guerra. Da allora scontri violenti tra fazioni rivali hanno seminato il terrore nello stato nordoccidentale di Sinaloa, e hanno lasciato una scia di centinaia di morti causando anche, secondo imprenditori locali, danni economici per un miliardo di dollari. Il governo messicano ha reagito inviando un gran numero di soldati e procedendo a una sfilza di arresti.
Dopo che il presidente eletto Donald Trump ha minacciato di imporre dazi se il Paese non fermerà il traffico di sostanze stupefacenti attraverso il confine, le forze di sicurezza del Messico hanno annunciato il sequestro di fentanyl più grande di sempre: venti milioni di dosi. Le gang criminali hanno dovuto adeguarsi alle nuove circostanze. Negli ultimi cinque anni il fentanyl, un oppioide sintetico, è diventato la prima causa di morte per i giovani adulti statunitensi.
Noi, due giornalisti e un fotografo del New York Times, abbiamo cercato per parecchi mesi di accedere a uno dei laboratori di produzione del fentanyl del cartello di Sinaloa, che secondo il governo americano è responsabile di gran parte dell’enorme quantità di questa sostanza che entra negli Stati Uniti. Al quarto tentativo ci siamo riusciti.
Il laboratorio era nascosto in un edificio nel pieno centro della città di Culiacán. All’esterno, nessun odore o esalazione particolare avrebbe potuto allertare i passanti. All’interno c’era buio, tranne che in una stanza in fondo, rischiarata da rosse fiammate che si sono alzate subito dopo il nostro arrivo. Due uomini si sono affrettati a spegnere le fiamme provenienti da un pentolone su un fornello, circondato da fumo rossastro.
Siamo riusciti ad avere accesso a quel laboratorio grazie a uno dei nostri contatti che conosceva un trafficante di droga in affari con i cuochi. Il contatto li ha convinti che non avremmo rivelato la loroidentità né l’ubicazione del laboratorio.
Il cuoco responsabile e il suo socio ci hanno stretto la mano. Il loro capo ci ha permesso di portarci appresso un cellulare e una macchina fotografica. Ci hanno avvisato che dovevamo tenerci pronti, da un momento all’altro avrebbero potuto irrompere le forze dell’ordine. «Questa mattina ci hanno colti di sorpresa» ha detto il capo, cheha spiegato che poche ore prima alcuni soldati dell’esercito messicano avevano fatto irruzione in uno dei suoi laboratori «se arrivano qui, potete restare, ma buttatevi a terra», ci ha detto il cuoco. «Noi scappiamo».
Su un tavolino tondo accanto alla porta della cucina, c’era un mucchio di polvere bianca: il fentanyl pronto, circa mezzo chilo, una quantità sufficiente a preparare almeno duecentomila dosi.
Il piano di lavoro era disseminato di bottiglie mezze vuote di birra Corona e di contenitori di metallo pieni di varie sostanze chimiche. Su un vassoio c’erano due cumuli di scaglie di cristallo che il cuoco ha spiegato essere soda caustica.
I due uomini erano indaffarati su due grandi pentoloni sui fornelli. Hanno detto che quella era una delle fasi iniziali del processo di preparazione. Per l’aerazione del locale c’erano soltanto una piccola finestra e un ventilatore in plastica da pavimento. Il cuoco ha detto che ha iniziato a lavorare per il cartello quando aveva sedici anni, nella preparazione di metanfetamine e poi di fentanyl. Mentre imparava a dirigere un laboratorio di produzione di sostanze sintetiche, ha continuato a frequentare la scuola e studiare medicina orale. L’aspirante dentista, però, non ha mai iniziato a lavorare come tale. Nel corso degli anni, da quando il fentanyl si è diffuso negli Stati Uniti, l’uomo ha detto di aver guadagnato vari milioni di dollari gestendo i laboratori di produzione della droga del cartello.
Il cuoco ha detto di aver comprato automobili sportive, case e ranch. I suoi uomini hanno acquistato un elicottero e un piccolo aereo. Per l’epidemia di overdose in America, il cuoco accusa gli utilizzatori stessi, secondo lui gli unici responsabili quando prendono la decisione di assumere una droga così letale. Ha grugnito incredulo quando gli abbiamo chiesto se le pressioni statunitensi o dello stesso governo messicano porranno mai fine alla produzione di fentanyl. «È questo ad arricchirci» ha detto. «Da queste parti il traffico di droga è la principale attività economica».
Il cuoco ha indossato un paio di guanti e ha immerso le mani in un secchio pieno di polvere di fentanyl, amalgamandovi un colorante blu. Ha detto che univa la tinta al composto perché presto sarebbe stato ridotto in pillole.
Il suo socio è apparso sulla soglia all’improvviso, ha mimato un taglio netto alla gola per fargli capire di fermare tutto. Alcuni membri della gang erano venuti a sapere da un palo di guardia che una pattuglia di soldati messicani si stava avvicinando. Dovevano muoversi.
«Noi andiamo» ha detto il cuoco. Dopo esserci tolti le tute protettive e aver afferrato i nostri cellulari, siamo corsi fuori anche noi.