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 2025  gennaio 03 Venerdì calendario

Intervista a Sergio Rubini

Il cinema di qualità si può fare anche in televisione, ormai senza troppe differenze, magari raccontando in una fiction un Giacomo Leopardi pop. Parola di Sergio Rubini, attore e regista famoso che per la prima volta ha prestato la sua arte alla serialità televisiva con un lavoro potente già nel titolo: Leopardi – Il poeta dell’infinito, miniserie evento Rai che andrà in onda in due prime serate, martedì 7 e mercoledì 8 gennaio, su RaiUno.
Nei panni del grande poeta il giovane Leonardo Maltese. Nel cast, tra gli altri, Cristiano Caccamo, Giusy Buscemi, Alessio Boni e Alessandro Preziosi.
Rubini, davvero non è più così diverso, per un regista, dirigere un film per il cinema o per la televisione?
«Una volta si diceva che per il piccolo schermo si dovevano fare tutti primi piani, mentre per il cinema si potevano fare i totali... Adesso, però, si può dire che gli schermi piccoli non ci sono più. Tutti nelle case abbiamo schermi sempre più grandi, quindi una differenza è già venuta meno. Poi c’è da dire che il linguaggio televisivo si è molto raffinato, il pubblico del cinema spesso coincide con quello della televisione. Ed è un errore pensare che le persone davanti alla tv siano più distratte. Per questo ho scelto di portare Leopardi in televisione, per divulgare questo messaggio a un pubblico che fosse il più vasto possibile».
Il suo Leopardi è un giovane minuto ma bello e senza gobba. Perchè si è allontanato dall’immagine più nota del poeta di Recanati?
«Ci siamo presi qualche licenza perché a noi in realtà interessava raccontare la profondità del pensiero leopardiano, appunto il leopardismo, la sua idea del mondo e renderlo in versione pop per rendere popolare un poeta che viene solitamente ritenuto pesante o comunque molto complesso. Lo abbiamo fatto raccontandolo alla luce della sua vitalità. Del suo amore per la vita e la bellezza».
Senta, spostando di due secoli l’idea di Infinito di Leopardi: la televisione non potrebbe somigliare un po’ di più alla “siepe” che ci preclude parte dello sguardo sull’universo?
«Dipende. Se anche la tv si lascia governare dagli algoritmi allora è un ostacolo. Se invece ci aiuta ad aprire la mente diventa un mezzo per raggiungere l’infinito e non per precludercelo».
Corsi e ricorsi storici. Lei ha interpretato il giovane Fellini nel film del cineasta riminese Intervista che era stato pensato proprio per la tv. Ci si rivede nel suo maestro?
«Di Fellini mi piace ricordare quando gli ho portato per la prima volta le mie foto. Io al tempo ero un giovanetto di 22 anni, non avevo ancora un book fotografico edulcorato. Portai delle foto qualunque. Lui le vide e mi disse: complimenti signor Rubini, lei assomiglia alle sue foto. Io sul momento pensai che mi stesse prendendo in giro. Poi compresi che dietro si nascondeva un messaggio profondo: assomigliare alle proprie foto significa assomigliare a noi stessi».
Parla con timore del transumanesimo di Musk per il rischio che la tecnologia prevalga sull’uomo stesso. Sul fronte italiano e europeo, però, il pensiero di Leopardi può essere un punto di ripartenza per la vera unione e per un ritorno al primato della politica?
«Leopardi in realtà è più psicologo. Non ha creduto molto nella politica e forse neanche nell’Italia unita. Diceva che non riusciva a immaginare masse felici che non partissero da individui felici. Ha sempre pensato che ci potesse essere qualcuno pronto a tradire. D’altronde egli stesso ha avuto alle calcagna per tutta la vita, e noi lo raccontiamo, una spia austriaca che in realtà era il suo editore, un editore illuminato che lo pubblicava e mentre lo pubblicava formulava dei rapporti segreti per la polizia austriaca. Per cui oggi non ci resta che sperare che sul percorso dell’Europa unita non ci siano altri traditori... Del resto per molti grandi del mondo l’Europa è un ostacolo».
Quella stessa Europa, però, che impone un politically correct che sta diventando castrante anche per gli artisti, ad esempio su temi come le donne e la comunità lgbt. Crede nell’inclusione forzata da mostrare anche nei film oppure secondo lei ci sono altre vie?
«Quello dell’inclusione è un tema profondo che deve nascere dentro ognuno di noi. Non credo nelle opere-minestrone nelle quali mettere di tutto un po’ e fino a quando potrò cercherò di non allinearmi a quel coro. Un’inclusione forzata che esclude il pensiero di qualcun altro, foss’ anche scorretto, diventa solo propaganda».
Però anche lei ha inserito un bacio tra Leopardi e l’amico Ranieri…
«Io non penso assolutamente che Leopardi avesse un orientamento sessuale, diciamo, diverso. Leopardi amava le donne solo che aveva molta difficoltà a esprimere il suo sentimento soprattutto nei confronti di Fanny e delle volte metteva addosso degli scialli, degli abiti a Ranieri per fare delle prove. Ma le ho fatte anch’io quelle cose quando ero ragazzino in Puglia a 16 anni. Avevo una combriccola di amici che erano un po’ più vecchi di me. Avevano vent’anni e allora mi dicevano: vediamo come faresti. E allora mettevamo su uno scialle o una parrucca...Ma non ho mai messo in dubbio il mio orientamento e anzi, era una maniera, come dire, per cercare di riuscire ad arrivare al dunque».