Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  gennaio 03 Venerdì calendario

Reportage da Idlib, veli consigliati e cose turche

Donne rigorosamente col capo coperto, programmi scolastici condizionati dall’Islam, un monumento in centro tappezzato di slogan per la «liberazione» di Gerusalemme, ma soprattutto ovunque i segni dell’influenza turca: occorre venire a Idlib per indagare le radici e la politica del nuovo potere in Siria. Dove sino a 8 anni fa stavano i campi militari fondamentalisti di Isis e Al Nusra oggi pattugliano i miliziani di Hayat Tahrir al Sham (Hts), il gruppo islamico che ha rovesciato il regime di Bashar Assad: le colline attorno al capoluogo della rivoluzione sono costellate di nuovi quartieri fatti di palazzi moderni costruiti dalle compagnie edili turche. «Il governo di Ankara ci ha fornito aiuti fondamentali per sopravvivere. Prima del 2011 qui vivevano meno di un milione di siriani, oggi siamo oltre cinque milioni scappati dalle bombe. Se Erdogan non avesse aperto i confini, la dittatura di Bashar ci avrebbe soffocati», dicono per le strade. Ancora si vedono le tende dei vecchi campi profughi, ma sono molto meno di una volta. Il boom edilizio ha permesso alla maggioranza di vivere in case riscaldate.Visitare le regioni del Nord della Siria attorno alla città di Idlib significa soprattutto cogliere quanto le nuove forze al potere a Damasco che fanno capo a Ahmed al Sharaa, meglio noto col nome di battaglia di Abu Mohammad al Jolani, siano profondamente legate alla Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan. «Niente soldi siriani, solo lire turche», rispondono i negozianti. In un grande magazzino quando cerchiamo di pagare con le banconote che hanno stampigliati i volti di Bashar e del padre Hafez i cassieri rifiutano con disprezzo.
«Quelle facce non le vogliamo vedere mai più. Riprenderemo ad accettare banconote siriane soltanto quando a Damasco avranno stampato la valuta nuova, per ora quella turca va benissimo», spiega Ahmad, che ha 30 anni ed è proprietario del negozio di abbigliamento «Cobra», nel centro città. Prende malvolentieri anche i dollari. Tutta la sue merce è rigorosamente turca, tranne alcune maglie che hanno marchi italiani. I giovani parlano turco, le pasticcerie vendono dolci turchi, molte auto hanno targhe turche. Il confine di Bab el Hawa per Gaziantep e la Turchia orientale si trova a una decina di chilometri e il traffico di camion appare intenso.
Il capo della polizia locale si chiama Mohammad Sawaf, ha 43 anni e nel 2011 disertò l’esercito del regime per unirsi a quella che allora si chiamava la Free Syrian Army, composta da ex soldati di Bashar decisi a lottare a fianco della rivoluzione. Molti di loro sono ormai morti o emigrati, ma i pochi rimasti rappresentano oggi il corpo dirigente del nuovo corso. Lui con i giornalisti occidentali vuole mostrare il volto moderato del governo di Sharaa.
Le tensioni
Accetteremo banconote siriane solo quando a Damasco stamperanno valuta nuova
«A Idlib le donne sono libere di indossare l’hijab (il foulard sulla testa), nessuno le obbliga, afferma. In realtà alcune ragazze dicono che, quando hanno provato a uscire per la strada con i capelli sciolti, le pattuglie della nuova forza armata sono intervenute per «consigliare» di mettere il velo. «Non è avvenuto con la forza, ma gli ordini sono perentori», spiegano.
Nella vicina «Piazza Gaza» c’è un piccolo monumento con disegnata la moschea di Al Aqsa nella città vecchia di Gerusalemme e la scritta in arabo: «Da qui libereremo Gaza e la Palestina». Un altro disegno mostra un paracadutista con le insegne di Hts che attera sui luoghi santi musulmani a Gerusalemme. «Non vogliamo più guerre, lavoriamo per la pace», dice Sawaf. Ma aggiunge anche che nessuno oggi è autorizzato a cancellare quei disegni.
Lo stesso vale per le tensioni con le milizie curde che combattono a Kobane e in difesa della loro regione autonoma nel Nord-Est siriano. Negli ultimi giorni l’amministrazione Biden ha inviato rinforzi ai vecchi alleati nella lotta contro Isis. La cosa non piace affatto a Erdogan, che esige lo smantellamento delle forze armate curde. «Occorre che i curdi disarmino come forza indipendente e noi li accetteremo ben volentieri tra i ranghi del nostro esercito nazionale», spiega ancora Sawaf. Gli scontri a fuoco tra curdi e Hts sono quotidiani. Idlib invia le sue forze migliori: per il momento, la guerra resta aperta.