Il Messaggero, 31 dicembre 2024
La velista Caterina Banti: «L’oro non dà la felicità╗
È tempo di celebrazioni, festeggiamenti e onori – da ultimo il Collare d’Oro del Coni – per Caterina Banti, atleta del Circolo Canottieri Aniene, due ori a prua di Ruggero Tita in Nacra 17, che come annunciato prima di Parigi 2024, a 37 anni lascia la vela olimpica attiva e progetta una nuova fase di vita Dopo Tokyo avevate posto come obiettivo una medaglia a Parigi 2024. Missione compiuta.Quanto è costato?«Tanto, incalcolabile il prezzo. Gli ultimi tre anni sono stati molto demanding. L’età che avanzava, la gestione di infortuni e infiammazioni, la barca che le modifiche per Parigi 2024 hanno resa volante anche in bolina, quindi più dura per il prodiere, con carichi più elevati. In più l’impegno di Ruggero con Luna Rossa che ha reso la programmazione degli allenamenti difficile. Alla fine però è andato tutto bene. Abbiamo camminato per tre anni sul filo di una lama, senza cadere. Siamo stati bravi. L’asticella era più alta, erano necessarie nuove vie, chiedere di più a noi stessi»Si è sentita sola?«Un po’ sì. Eravamo in gioco a livello personale e come equipaggio. Dopo l’oro tutti pensano che sei Dio, ma non lo sei. Ti arrivano le prime “tranvate” come risultati. Ti senti un po’ perso. Nel 2023 non eravamo nemmeno sicuri di ritornare ai Giochi. Erano stati mandati Gigi e Maria (Ugolini-Giubilei, ndr) al test event di Marsiglia e avevano vinto In realtà soli lo si è quasi sempre, fuori casa, con le giornate pienissime. Soli ma con persone che ti accompagnano nel percorso. Come per me Marco Paiella, preparatore atletico del canottaggio, che l’Aniene mi ha messo a disposizione e mi ha seguita a Roma e a distanza. Mi ha aiutata tantissimo con i seri problemi alla schiena che ho avuto, integrando l’input della Federazione».Già alla vigilia di Parigi 2024 aveva detto che sarebbe stata l’ultima Olimpiade. Un ciclo di 10 anni con un obiettivo totalizzante. Bilancio personale?«Grande soddisfazione. Mi sento pienamente realizzata, felicissima, in pace con me stessa. Non ho nessun rimorso. Ho dato tutto quello che potevo, se non di più. Sono soddisfatta come percorso personale, una grande terapia. Ti devi mettere in gioco come persona e come atleta, relazionarti con l’altra persona, limare. Superare limiti e paure. I percorsi per Tokyo e Parigi sono stati diversi. Tokyo, la prima medaglia, è stata la scoperta, dimostrare al mondo che “quella lì che ha iniziato ad andare in barca l’altro ieri” ce la poteva fare. Parigi è stata consapevolezza, con tutti che avevano aspettative. Bisognava gestire la pressione degli altri e chiedere di più a sé stessi».La cosa più negativa e la più bella?«La più negativa è stato dover fare i conti con “l’Altra”, Luna Rossa, che incideva sulla possibilità di programmare gli allenamenti e quindi mi costringeva ad essere sempre pronta, con un carico alto. La più bella, il rapporto con Ruggero durante le regate di Marsiglia e dopo. Abbiamo chiuso con grande affetto, serenità, stima, rispetto, consapevolezza di quanto costruito insieme. Abbiamo chiuso bene».Come è il passaggio a una vita “normale”, dall’adrenalina dell’obiettivo olimpico in una classe dura come il Nacra, sempre fuori casa, inchiodata a una intensa preparazione fisica, alimentare e mentale?«Ancora presto per dirlo. So che non starò mai solo a casa, ma ora mi piace dedicare più tempo agli affetti, il mio compagno Andrea, i genitori, la famiglia. Voglio un giusto equilibrio, dopo “l’egoismo” di questi anni, voglio dare loro. Sarò più Roma-centrica. Andrea è anestesista al Bambin Gesù, magari se succede costruiremo una famiglia La mia scelta fa i conti con la realtà in questo senso, o Losanna dove è il Cio, o Dubai, visto che parlo arabo».Questo cambiamento può creare una sindrome da astinenza?«In qualche modo sì, certo, si parla di depressione post olimpica, tanto che il Cio ha un progetto molto interessante per il “dopo” degli atleti olimpici. Ti mette a disposizione un tutor per aiutarti nel passaggio. Al “dopo” abbiamo cominciato a pensare già dopo Tokyo. Meno traumatico così».Progetti professionali e sportivi per il futuro?«Professionalmente voglio mettere insieme le mie due vite, quella degli studi e delle lingue che parlo, e quella dello sport col sogno di lasciare una traccia. Per questo mi sono iscritta alla Luiss al Master di 2° grado in Relazioni Istituzionali e al Corso di Management Olimpico del Coni. I progetti sportivi? Regatare per piacere personale, io che non sono timoniere, in Laser Master. Ma solo una volta recuperata una forma fisica decente, senza svegliarmi con dolori tali da non tenere una scotta».Ha dichiarato che chi è stato scout per 12 anni lei- lo è per sempre perché incide sul metodo e sui valori che ti porti dietro, ti fa tenere i piedi per terra, ti fa dare il giusto valore alle cose, anche quando ti incensano. Aggiungendo che vivendo con Andrea, è consapevole dei problemi veri, delle malattie, delle disgrazie, del disagio. Cosa resterà dell’esser stata per 10 anni una sportiva del suo livello?«Questa esperienza ha aggiunto la consapevolezza che la costanza paga sempre. Nessuno ti regala niente, te lo devi sudare fino all’ultima goccia. Non è tutto oro quel che luccica, anzi. Tenere i piedi per terra, umiltà. Lo sport non mente, è numeri, posti in classifica. Non esistono sfiga o fortuna su una regata di 3/4 giorni. Tu devi controllare la barca, è tua la responsabilità di esser pronto al momento giusto. E poi capisci che a tutto c’è soluzione e che è giusto trovare compromessi tra il bene tuo e quello del team, perché la squadra è il punto di forza per raggiungere il risultato. Valori come rispetto, tolleranza, eguaglianza, solidarietà, consapevolezza della diversità tra culture, sono valori universali dello sport. E anche dello scoutismo».