Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  dicembre 31 Martedì calendario

Nel nuovo Devoto-Oli c’è anche il maranza

La parola simbolo del 2025? Il Devoto-Oli punta su Intelligenza Artificiale, non si tratta propriamente di un neologismo, ma è una espressione destinata a segnare il nostro futuro». Firmato Biancamaria Gismondi, responsabile lessicografica di Mondadori Educational e caporedattrice del Devoto-Oli, il dizionario di lingua italiana nato nel 1967 per impulso di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, oggi curato dal professor Maurizio Trifone: «La decisione più difficile – afferma la 64enne Gismondi è sempre quella di dover scegliere quali neologismi e neosemie meritano l’ingresso in pagina».
E quest’anno sono più di 400, compreso cyberstalking, maranza (gioventù chiassosa, ndr), bestie e ChatGPT, sino allo scavetto, il gesto tecnico con cui si supera il portiere con un tocco sotto il pallone, segnando un gol. Indispensabile per definirsi, formarsi e diventare cittadini consapevoli, c’è chi come il vicequestore Rocco Schiavone (nato dalla penna di Antonio Manzini), si porta a spasso le parole nuove e chi, come il commissario Kostas Charitos (creato dallo scrittore Petros Markars) lo tiene sempre sul comodino. Passano gli anni, si susseguono le edizioni ma il vocabolario non smarrisce mai il proprio fascino e rimane ancora oggi uno strumento fondamentale della cittadinanza attiva, favorendo l’acquisizione, la padronanza e l’uso di un lessico appropriato: «La lingua che parliamo prosegue Gismondi rappresenta ciò che siamo, è il nostro strumento sociale per eccellenza, trasmettendo attivamente il nostro pensiero e la sua evoluzione nel tempo». Compito dei lessicografi è soprattutto quello di monitorare l’uso corrente della lingua e «difatti – prosegue Gismondi – da alcuni anni siamo sempre più attenti al fenomeno delle ansie e delle fobie sociali, come gli hikikomori e la nomophobia ovvero la paura di restare disconnessi, senza smartphone, tagliati fuori dal mondo».
Umberto Eco disse che «le parole sono pietre e sconvolgono il mondo» ma il discorso sulla lingua che cambia deve accantonare necessariamente i criteri estetici. Ne è convinta Gismondi: «Varista, gruista, turistificare, boppone? D’accordo, ad un primo impatto possono ferire l’orecchio ma in senso assoluto non si tratta affatto di brutte parole. I neologismi servono, sono necessari, proprio perché raccontano il mondo che muta e alla fine, anche l’orecchio si abitua. Del resto, anche i ponteggi allarmati facevano storcere il naso». Aggiornato, inclusivo e chiaro, Devoto-Oli 2025 è già disponibile in due versioni, il formato cartaceo (2560 pagine, 72,80) con 75.000 voci, 250.000 definizioni e 45.000 locuzioni mentre la versione digitale mediante app e sito internet, offre 120.000 lemmi e 325.000 definizioni (16,99).
A ben vedere il linguaggio cambia continuamente in ogni campo, nessuno escluso e difatti, complice la progressiva esplosione dei cooking show anche «la cultura del cibo necessiti di un suo lessico in continua evoluzione»; così, ecco spuntare nell’edizione 2025 anche dashi, orto sinergico, kombucha, bubble tea e grué di cacao: «Nel Dopoguerra il cibo è stata un’orgia di vitalità ritrovata, un rituale festoso afferma Gismondi ma oggi, fra migrazioni e globalizzazione, il cibo è divenuto un linguaggio universale al pari della musica». Ma Gismondi chiarisce che non corriamo il rischio di smarrirci poiché «la lingua italiana ha il vantaggio d’essere molto porosa, assorbendo anche i dialettismi senza scomporsi. Un esempio? Ai più datati inciucio e sfizioso si affianca la qualunque. E piuttosto che è divenuto colloquiale, pur se usato spesso in modo scorretto».
Infine, dal cibo al mondo virtuale, cresce l’attrazione fatale per i forestierismi, complice la Generazione Z e un linguaggio sempre più mutuato dai social network, tuttavia, Gismondi non si allarma: «È fisiologico che accada, alcuni neologismi funzionano e suonano bene. Il mondo è sempre più piccolo, persino la moda perde colpi e dal francese si passa all’inglese, dai fuseaux ai leggings. Però se un neologismo diventa un fenomeno, tendiamo sempre ad italianizzarlo e così da stalking, nasce stalkerare». E che dire, infine, delle (inevitabili) questioni di genere? «Lo schwa non è morto ma nelle lingue romanze come l’italiano, queste forme ibride non funzionano. Oggi, per essere politicamente corretti, si deve tornare all’antico. Per essere inappuntabili, è molto meglio dire signore e signori, avvocata e avvocato anziché ricorrere agli asterischi».