La Stampa, 31 dicembre 2024
La pace di Trump, un miraggio carico di rischi
C’è uno strano fantasma che si aggira, seducente e ingombrante, tra le speranze del mondo. Un fantasma che è ancora ombra e nebbia ma tra una ventina di giorni si materializzerà con atti, gesti, parole. Ha promesso di portare la pace, semplicemente.Dopo tre anni in cui abbiamo registrato solo i verbali del catafascio garantisce che farà finire l’unica guerra che conta, quella in Ucraina, perché è attorno ad essa, e qui non sbaglia, che si aggrovigliano molte altre.Sarà la dilagata sfiducia in tutto e in tutti, sarà il timore continuo della deriva globale e atomica, ma confidano, senza dirlo, in Donald Trump (questo è singolare) anche coloro che lo detestano, a cui dà sui nervi e che lo definiscono pericoloso per la democrazia, per l’economia, per la natura, per le donne, un folle, un bugiardo.Vogliamo tutti disfarci di questa guerra con impeto e rabbia, vogliamo respirare per lo scampato pericolo. In fondo, alla fine di tutto, è con i fatti della propria vita che si risponde agli interrogativi che gli altri ci rivolgono con insistenza: chi sei? Cosa vuoi veramente?Ma la speranza nel fantasma della pace è così irrazionale e potente che si finge di non vedere che in attesa della “pace in un giorno” per ora ci sono strampalate minacce di annettere la Groenlandia e il canale di Panama... Verrebbe da dire: cose da Putin! Son dettagli, tiriamo diritto per carità: ma i dettagli hanno importanza, in fondo servono da adesivo, fissano la materia essenziale delle cose del mondo. Se Trump è la speranza allora vuol dire che ormai non si vuol più stare in bilico sull’asse di equilibrio come facciamo da quasi tre anni, si sente, tutti, pesante la fatica e cerchiamo ad ogni costo di forare la foschia che ci sta intorno.Il tempo storico è rovinoso, macina ghiaia e noi dentro a dover reggere, mentre vorremmo urgentemente tornare a sciocchezze tonificanti. Tutto per non ammettere la sconfitta totale di fronte alla guerra: non dell’Occidente come idea o utopia, ma semplicemente dei suoi mediocri leader. Anche certi uomini sono delle rovine.Allora ci resta Trump o la guerra senza fine, eccoci a Trump che sarebbe il ricambio almeno in sogno. Con lui tutti sembrano disposti a sottoporsi all’affronto miracoloso del non accaduto. In fondo la sua “chance” migliore è che solo uno così può compiere il gesto scandaloso e distonico che può interrompere la guerra in Ucraina, ovvero stringere la mano al ricercato Putin e sedersi con lui al tavolo delle trattative.Nessun altro può farlo perché ne sarebbe maledetto per le evidenti bugie («Con la Ucraina per sempre senza se e senza ma...») e il consumato tradimento verso Kiev. Tutti, forse lo stesso rassegnato Zelensky, sono ormai disposti alla pace ingiusta; ma ci vuole un Giuda soddisfatto di sé, che si inghinghera dei suoi peccati e naviga nell’infiammabile, che faccia l’ispezione al corredo dei nostri virtuosi convincimenti e se ne sbarazzi senza rimorso. Assolvendoci: «Noi avremmo lottato fino alla fine ma quel Trump...». E lo diranno per primi coloro che nell’alveo delle cronache in questi anni hanno solo schiumato, ecceduto, stando in plancia sempre e non ai remi.E le altre guerre? La Palestina con le sue necropoli, il Vicino Oriente, Sudan, Sahel... Se cesserà il fuoco nel centro dell’Europa si tornerà al tranquillizzante aggettivo: guerre dimenticate! Anche per Gaza: basta riportare l’orologio al sei di ottobre e ai settantacinque anni precedenti che abbiamo sopportato benissimo!Siamo dunque tutti in attesa che Bratislava prenda il posto di Helsinki e Ginevra e offra un tavolo in cui i prudenti diplomatici si prendano la rivincita su generali e spioni di alto bordo che hanno tutto compromesso e smantellato.Ma la vera sfida nel 2025 sarà lo scontro tra l’armata internazionale dei guerrafondai e quella ancora smilza dei sanfedisti della pace, degli incorrotti dalla Realpolitik, degli inesausti rivoluzionari della giustizia. I primi con l’arsenale gonfio di miliardi e di bugie non si rassegneranno a perdere la rendita della guerra grossa, ricca, quella del tre quattro per cento in bilancio, delle catene di montaggio dei nuovi carri armati ed aerei “invincibili” e “invisibili”, delle tonnellate di munizioni (e di uomini) consumate in poche ore.I veri criminali di guerra contro cui non si mettono mai mandati di cattura perché stanno ben celati nei consigli di amministrazione, protetti dalla corazza del fatturato, delle assunzioni, degli utili in Borsa. Contro di loro, per fortuna, non ci sono soltanto le promesse di Trump. Innocenti nel nome di Mammona! Ucraini, russi, israeliani, siriani, saheliani alimentano un mormorio sempre più diffuso, attutito e tenuto a bada per ora a fatica da chi comanda, come se nelle città e nelle trincee qualcosa stesse fermentando, il malcontento, forse una rivoluzione. —