la Repubblica, 31 dicembre 2024
La strategia di Israele per frenare Erdogan in Siria
GERUSALEMME - Visto da Israele il 2025 in Medio Oriente si apre con due minacce: il programma nucleare dell’Iran mai così vulnerabile e le ambizioni della Turchia di Erdogan che ruotano attorno alla Siria del dopo-Assad. Questo emerge da incontri, a Gerusalemme e Tel Aviv, con consiglieri sulla sicurezza del premier Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Israel Katz, secondo i quali l’insediamento di Donald Trump negli Usa offre l’opportunità per affrontare entrambi i pericoli grazie ad una crescente intesa strategica fra Israele, Stati Uniti ed Arabia Saudita così come ad una inedita convergenza, nel caso della Siria, con Vladimir Putin.In ognuno degli incontri gli interlocutori, diplomatici e militari, illustrano i cambiamenti in corso facendo riferimento a specifiche mappe. Quella fondamentale descrive l’indebolimento dell’Iran: non solo per i colpi subiti da Hamas a Gaza e da Hezbollah in Libano, come per la caduta di Assad a Damasco, ma soprattutto per l’impatto dell’attacco israeliano dello scorso 26 ottobre. «Ogni giorno che passa l’Iran scopre un tassello in più di quanto ha subito – spiega uno degli interlocutori – le difese aeree neutralizzate, la produzione di missili ridotta, e altro». È l’assenza di protezione dal cielo che rende il «programma nucleare vulnerabile». Gerusalemme ha condiviso, in tempo reale, queste informazioni con Washington e, dopo l’attacco, con Riad. La valutazione comune viene riassunta così: «Teheran aveva creato l’arsenale missilistico di Hezbollah in Libano per proteggere il nucleare, ora non solo ha perso quello scudo, ma non ha più neanche le difese ai suoi impianti». Oltre all’attacco aereo del 26 ottobre è stata decisiva l’azione con cui Israele «in un solo giorno ha eliminato il 70% dei missili di Hezbollah in Libano». È questa nuova situazione checonsente a Trump di avere «più opzioni» per «ottenere lo storico obiettivo dell’eliminazione del nucleare iraniano»: può scegliere «la distruzione degli impianti», dando ad esempio luce verde a Israele, oppure ottenere lo stesso risultato con un embargo contro gli ayatollah assai più energico di quanto fatto durante il primo mandato.C’è tuttavia «un’altra minaccia che incombe», come afferma un veterano della politica di sicurezza, ed è «l’intenzione di Erdogan di dominare la Siria per farne il perno dell’egemonia neo-ottomana». È uno scenario che Israele teme perché Erdogan «è il leader sunnita con le posizioni a noi più ostili» e Riad vede con preoccupazione in quanto «Ankara è legata ai Fratelli musulmani che si propongono di rovesciare le monarchie del Golfo e ambisce a controllare non solo Gerusalemme ma anche Mecca e Medina». Da qui il recente intervento dell’amministrazione Biden su Ankara per scongiurare l’attacco ai curdi siriani: un monito che Erdogan sembra aver recepito. Ma ora Trump sta prendendo in considerazione il ricorso alla leva delle sanzioni contro Damasco per condizionare Erdogan. Ovvero, nessuno può pensare di rompere il legame fra Ankara e i ribelli che hanno rovesciato Assad, ma l’obiettivo di Erdogan è la ricostruzione dellaSiria e ciò non può avvenire senza togliere le pesanti sanzioni internazionali contro Damasco. Questo significa che «senza l’avallo di Trump, Erdogan non può ricostruire la Siria» e ciò consente a Usa, Israele e Arabia Saudita di lavorare, in maniere diverse, per rafforzare le etnie siriane più lontane da Ankara: non solo i curdi del Rojava ma anche i drusi lungo i confini con Israele e Giordania, e tutti quei sunniti che non si riconoscono nei ribelli jihadisti. È lo scenario di un Siria «con più identità ed etnie» che vede una convergenza di interessi con Putin, che vuole conservare le proprie basi a Tartus e Khmeimim, nelle aree alawite, e non vede con favore una nazione tutta e solo nelle mani di Erdogan. Le installazioni militari russe sono quindi il primo tassello di una convergenza con Putin assai lontana dalla guerra in Ucraina. E ancora: l’altra preoccupazione su Erdogan è legata al mega-gasdotto Qatar-Turchia, attraverso Giordania e Siria, che si contrappone al progetto di infrastrutture fra i Paesi dei “Patti di Abramo” per legare India, Penisola arabica, Israele ed Europa al fine di competere con la Via della Seta cinese.Erdogan tenta di prevenire le mosse di Trump sulla Siria facendo leva sulla Ue: «Assicura che se l’embargo verrà meno, Damasco si riprenderà milioni di emigrati», spiega un alto funzionario sottolineando che si tratta però di «una mossa spregiudicata» perché nessuno può garantire cosa faranno i siriani all’estero.Sullo sfondo dei fronti con Teheran ed Ankara, il team di Netanyahu è all’opera sugli scenari di guerra ancora aperti: in Yemen contro gli Houthi ed a Gaza contro Hamas. Nel caso degli Houti «la loro forza è il controllo degli aiuti umanitari che arrivano attraverso i porti e gli consentono di dominare milioni di persone» in maniera simile a quanto fa Hamas nella Striscia. È per scardinare questo meccanismo che Israele ha colpito il porto yemenita di Hodeidah ma servirà un maggiore impegno da parte di Trump, anche perché Biden nel gennaio 2024 dichiarò gli Houti un’organizzazione terroristica. «Il programma degli Houti sottolinea uno dei consiglieri – è nella loro bandiera dove c’è scritto “Morte agli ebrei”». Da qui a Gaza il passo è breve perché «il negoziato sul cessate il fuoco auspicato da Trump è bloccato dall’opposizione di Hamas a consegnare la lista completa degli ostaggi» e ciò significa che «senza intesa vi saranno le conseguenze dure di cui Trump ha parlato». Su quali possano essere nessuno si sbilancia, ma le ipotesi prevalenti sono la fine di ogni limitazione Usa nella fornitura di armi e la cessazione della gestione degli aiuti umanitari da parte di Hamas. Togliendo ai jihadisti orfani di Yahia Sinwar l’ultima leva di potere a Gaza.