Corriere della Sera, 31 dicembre 2024
«Bullizzato, ho cercato di uccidermi»
Vercelli – «Ero sul cornicione della finestra, in camera mia. E se non fosse stato per mia madre oggi non sarei qui». Con queste parole Marco Mancuso, 22 anni, consigliere comunale del Pd a Vercelli, ha ricordato il giorno in cui provò a togliersi la vita. Era il 2018 e dopo alcuni mesi di bullismo in classe aveva deciso di farla finita. Ha scelto di ripercorrere il suo dolore nell’assemblea cittadina, davanti al sindaco Roberto Scheda e a tutti i colleghi. Il 21 dicembre il video del suo intervento è stato pubblicato su Instagram ed è diventato virale: 93 mila visualizzazioni, più di cento commenti e migliaia di like.
Come mai ha scelto di rendere pubblico un momento così intimo e duro?
«Non volevo farlo, ma in consiglio ho presentato un emendamento sul benessere psicologico dei giovani. La mia proposta, però, stava per essere bocciata.Tanti studenti oggi sono a disagio di fronte alla cultura della performance che permea l’istruzione pubblica. Viviamo in un mondo dove se prendi 24 a un esame universitario il professore ti consiglia di rifiutare il voto e tornare. Sono quindi intervenuto con il cuore in gola, ho pensato fosse il caso di mettere a disposizione un dolore per cambiare le cose. Il sindaco si è commosso, ha pianto. La proposta è stata comunque bocciata, ma hanno promesso che ci lavoreranno».
Cosa è successo dopo la pubblicazione del video sui social?
«Tante persone, a Vercelli, mi hanno fermato commosse. Altre hanno intercettato mia madre in negozio, fa la cassiera. Speravo che potesse crearsi un’eco, ma non me ne aspettavo una simile».
In queste ore sta rivivendo quel giorno, quei momenti. Cosa prova?
«Tremore, buio, tanta solitudine, rivedo i volti dei miei compagni e ho paura».
Come arrivò a quel gesto?
«Era il marzo 2018, frequentavo la seconda superiore all’istituto Lagrangia. Il liceo classico dei miei sogni. Nello stesso periodo avevo fondato anche una pagina di news su Instagram che mi coinvolgeva molto. Cercavo l’approvazione dei miei compagni, ma più raccontavo cosa facevo e più mi ghettizzavano, mi prendevano in giro. Desideravo che sostenessero il mio entusiasmo, ma ho ottenuto una pistola puntata contro. Ero l’ultima scelta a educazione fisica, ero all’ultimo banco, mi sentivo costantemente schernito. Mi sono rinchiuso in me stesso, non uscivo di casa. Tra maggio e giugno del 2017 ho anche smesso di andare a scuola. I miei genitori avevano capito che c’era qualcosa che non andava».
In consiglio comunale ha raccontato che fu sua madre a salvarla.
«Sì, mamma mi ha preso letteralmente per i capelli, ero sul cornicione».
Pensa ancora a quel momento?
«Me lo porto dentro, ma credo mi sia servito: ho usato quest’esperienza per impegnarmi affinché non capitasse ad altri, l’ho trasformata nel mio obiettivo di vita».
Com’è uscito da questo tunnel? Cosa l’ha salvata?
«La scuola, che era diventata il mio incubo, ha simboleggiato anche la mia ripartenza. Ho cambiato corso e sono diventato rappresentante di istituto, da lì sono guarito aiutando chi veniva bullizzato. Poi ho fatto un percorso di terapia, nel privato, fino alla fine delle superiori. La sanità pubblica con le liste di attesa non garantisce nulla ed è incredibile. Se vado da un medico perché mi rompo un braccio ho diritto a essere curato. Se voglio ammazzarmi devo pagare per curarmi»
Si può prevenire il disagio psicologico?
«Sì, certo, ma non credo che sia lo studente a dover chiedere aiuto, è l’istituto che deve fornirlo. Quando tenti il suicidio o ci pensi, tutto ti fa sentire in difetto. Se non è il mondo esterno a occuparsi di te, chi lo fa? Servono corsi di formazione, psicologi nelle scuole e un rapporto più umano tra studente e docente».