La Stampa, 30 dicembre 2024
Essere giovani in Italia: pochi e penalizzati
I giovani in Italia sono pochi e svantaggiati. Questo è, in estrema sintesi, il contenuto del Rapporto Cnel “Demografia e Forza Lavoro” diffuso in questi giorni. Il primo dato è ben noto: riguarda il bassissimo tasso di fecondità che da decenni è inferiore a 1,5 figli per donna e, di recente, è ulteriormente diminuito. Già dagli anni Novanta del secolo scorso in Italia c’erano più anziani che bambini: il numero di under 15 è costantemente inferiore a quello degli over 65. Oggi la popolazione anziana è arrivata a superare anche gli under 25 e le previsioni del Cnel ci dicono che in pochi anni saranno più numerosi persino dell’intera popolazione tra gli 0 e i 35 anni.Il secondo elemento evidenziato dal rapporto si riferisce alla condizione di svantaggio dei giovani nel mercato del lavoro. Questi ultimi hanno più probabilità di non lavorare e la loro condizione è peggiorata nel tempo. Il numero di occupati fino a 34 anni è, infatti, sceso in vent’anni di oltre due milioni. È un dato inatteso. Ci troviamo di fronte alla cifra record per l’Italia di 24 milioni di lavoratrici e lavoratori, ma l’occupazione giovanile cala. Significa quindi che ad essere migliorata è la situazione degli over 50, il cui numero tra gli occupati è praticamente raddoppiato. Nello stesso periodo sono passati da circa 4,5 milioni a poco meno di 9 milioni.A questo punto è difficile non interrogarsi sulla correlazione tra basso tasso di fecondità e bassa occupazione giovanile. C’è una relazione causale tra i due fenomeni? Verrebbe proprio da rispondere di sì: i giovani non lavorano e, di conseguenza, non fanno figli.Ma il problema non si ferma qui. Anche tra coloro che lavorano la situazione non è rosea. Bisogna, infatti, sempre considerare oltre a quante persone sono occupate, anche la qualità del lavoro offerto. I giovani sono la fascia di popolazione più frequentemente impiegata con contratti a termine, in maniera discontinua e con part-time involontari. Infine, sono coloro che hanno il rischio più elevato di soffrire di basso salario. Questa situazione è particolarmente insidiosa per due categorie di giovani: quelli che hanno titoli di studio più bassi e le donne. Queste ultime, anche quando sono laureate, hanno sempre maggiori probabilità rispetto ai loro coetanei di non essere occupate o di esserlo in condizioni peggiori.Possiamo allora definire il quadro presentato dal Cnel paradossale e drammatico. È paradossale perché, in un contesto in cui la denatalità rende i giovani una risorsa sempre più rara, ci si aspetterebbe che essi godano di condizioni migliori. È drammatico perché un Paese che non assicura ai suoi giovani opportunità e prospettive adeguate si dimostra miope, senza lungimiranza, incapace di innovare e svilupparsi, con un impatto negativo sul proprio futuro economico e sociale.Cosa fare dunque? Necessariamente bisogna pensare a molti interventi che rispondano alla complessità del fenomeno analizzato. Il Cnel evidenzia la necessità di politiche industriali, del lavoro, di relazioni industriali e politiche sociali per la famiglia. Sono conclusioni ragionevoli e condivisibili. I giovani affrontano molte difficoltà e servono svariate misure. Qui possiamo aggiungere una riflessione su quelle che sono prioritarie e realizzabili in tempi brevi: le politiche di regolamentazione del lavoro che non prevedono costi per lo Stato.Se infatti ci sono molti interventi necessari che richiedono lo stanziamento di ingenti risorse, ci sono due misure che pur non richiedendo risorse, avrebbero un grandissimo impatto sulla vita dei giovani: l’introduzione del salario minimo legale e la limitazione del ricorso ai contratti a tempo determinato. Promuovere l’occupazione stabile e ben pagata è il primo passo per offrire condizioni migliori alle nuove generazioni, evitando di compromettere le basi stesse della sopravvivenza della società. —