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 2024  dicembre 30 Lunedì calendario

Fabiola Gianotti (Cern) la fisica, passione fin da bambina


Chi si attendeva una Fabiola Gianotti già pronta a pensare a una nuova vita dopo il Cern, in seguito all’annuncio a partire dal primo gennaio 2026 del suo successore come direttore generale, il fisico inglese Mark Thompson, rimarrà deluso. Incontro la scienziata italiana all’alba presso la sede di Ginevra del più importante centro per la fisica delle particelle al mondo: le sue giornate iniziano sempre ancora con il buio. La dottoressa Gianotti, l’unica ad avere guidato il Cern per due mandati, terza italiana dopo il premio Nobel Carlo Rubbia e Luciano Maiani (ma dovremmo dire «quarta» visto che Edoardo Amaldi, il collaboratore di Fermi, è stato uno dei fondatori) ha grandi progetti anche per il suo «ultimo» anno. A partire dall’upgrade dell’acceleratore con Hilumi, un ambizioso piano per rendere il fascio di particelle da studiare 10 volte più «denso» grazie a nuovi magneti capaci di «imprigionare» il fascio di protoni in un vuoto vicino a quello che si trova solo nello spazio. Un progetto a cui collaborano l’Infn italiano ma anche Paesi come il Giappone.
Mi permetta di partire dalla fine: cosa ci rimane da scoprire del funzionamento dell’Universo?
«Moltissimo. Un solo esempio. Oggi, conosciamo solo il 5% dell’Universo. Questo vuol dire che solo il 5% dell’Universo è composto da atomi, elementi chimici, cioè la materia di cui la natura che ci circonda e noi stessi siamo fatti. Le stelle, i pianeti e le bellissime strutture che vediamo ad occhio nudo o con i telescopi sono una minima parte del tutto. Il resto, il 95%, è fatto di forme di materia ed energia che non conosciamo e che per questo motivo chiamiamo “materia oscura” e “energia oscura”. Capire l’Universo oscuro è uno degli obiettivi più importanti dell’esplorazione scientifica moderna. Sono questioni molto importanti e affascinanti».
Ma Fabiola Gianotti come ha scoperto la fisica?
«Da bambina la sera passavo ore con il naso all’insù a guardare il cielo stellato. A 17 anni lessi una biografia di Marie Curie. È stata una svolta. Ho capito che la fisica mi avrebbe permesso di trovare risposte alle mie domande. Ed è stato così. Ai giovani dico: la ricerca, in tutti i campi, è bellissima. Per me non c’è niente di più affascinante che contribuire, con il nostro lavoro quotidiano, ad accrescere le conoscenze dell’umanità. Senza contare che la scienza è assolutamente essenziale per affrontare i problemi globali attuali, dal cambiamento climatico, all’energia, alla protezione dell’ambiente, per citarne solo alcuni».
Se dovesse consigliare un libro dalla sua biblioteca personale?
«Direi “L’universo elegante” di Brian Greene. È un libro che esplora, in modo accessibile e affascinante, il tentativo degli scienziati di unificare le leggi della natura in una sola teoria che spieghi tutti i fenomeni fisici, dalle scale subatomiche (governate dalla fisica quantistica) alle grandi scale dell’universo (descritte dalla relatività generale di Einstein). È un libro che fa sognare, un viaggio attraverso le frontiere della fisica teorica alla ricerca della “Teoria del tutto”».
Con il 2024 si chiudono i 70 anni del Cern, nato anche grazie all’Italia. Qual è secondo lei la più grande eredità culturale e sociale oltre che scientifica che il Cern ha seminato in questo lungo periodo che ha visto l’Europa passare da diverse fasi?
«Il Cern è un’istituzione unica al mondo e un grande successo dell’Europa. Creato all’inizio degli anni ’50 sulle rovine della Seconda guerra mondiale grazie all’iniziativa di un gruppo di politici e scienziati visionari per riportare l’eccellenza scientifica in Europa dopo la guerra e promuovere la collaborazione pacifica fra i popoli e i paesi di un continente fratturato attraverso la scienza, il Cern è oggi il laboratorio più importante al mondo per la fisica delle alte energie e un centro veramente “globale” con la sua comunità di oltre 17.000 persone di 110 nazionalità differenti. Il Cern è anche un motore di innovazione perché sviluppa tecnologie di punta in vari settori (dai magneti superconduttori alla criogenia, dalle tecnologie di vuoto alla robotica e l’intelligenza artificiale, per citarne solo alcuni) che hanno un impatto significativo sulla società e la vita di tutti i giorni. Basti pensare al world wide web, agli acceleratori per curare i tumori e alla Pet, usata per la diagnostica in campo medico. Penso che i nostri fondatori sarebbero molto fieri dei traguardi raggiunti dal Cern nei settant’anni della sua storia, che sono sicura vanno al di là dei loro sogni iniziali».
Secondo lei l’Europa di oggi che sembra sempre di più un vaso di coccio tra Usa e Cina avrebbe ancora la forza di un grosso progetto di questa portata che le ha permesso di dominare un campo così importante?
«Assolutamente sì. Ma serve una visione sul lungo termine e la volontà politica comune delle nazioni di creare istituzioni che possono avere un impatto enorme sulla società ma i cui obiettivi e risultati a volte sono visibili solo dopo anni e il cui ritorno sugli investimenti non è necessariamente immediato. Il successo del Cern è il frutto di una visione iniziale lungimirante e del sostegno forte e continuo dei governi dei Paesi membri (fra cui l’Italia, che è uno dei Paesi fondatori) su settant’anni di storia. Con il Cern l’Europa ha dimostrato di saper creare qualcosa di grande di cui possiamo tutti essere fieri».
Un suo ricordo della scoperta del Bosone di Higgs il risultato più rilevante ottenuto dal Cern. Cosa ha significato per la Fisica e la comprensione dell’Universo?
«Ricordo l’emozione immensa il giorno dell’annuncio della scoperta, il 4 luglio del 2012, da parte degli esperimenti Atlas e Cms al Large Hadron Collider (Lhc). L’auditorio del Cern era strapieno, e l’entusiasmo, soprattutto di studenti e giovani ricercatori, alle stelle. Sembrava di essere ad un concerto rock. La scoperta del bosone di Higgs è un risultato straordinario per la comunità mondiale della fisica delle particelle e tutti coloro che con il loro lavoro, nel corso degli anni, hanno contribuito a raggiungerlo. Il bosone di Higgs è infatti una particella speciale, legata al meccanismo che ha permesso alla materia di cui siamo fatti di formarsi nell’Universo primordiale. Senza questo meccanismo, che resta in gran parte misterioso, non saremmo qui».
La seconda vita del Cern dipenderà anche dal progetto del Future Circular Collider. Perché abbiamo bisogno di infrastrutture sempre più grandi per scoprire qualcosa che è sempre più piccolo?
«La fisica quantistica ci insegna che più piccole sono le strutture che vogliamo studiare più alta è l’energia che dobbiamo iniettare nel sistema. Per esaminare cellule umane basta un microscopio da laboratorio. Ma per sondare i costituenti più piccoli della materia, i cosiddetti quarks, che hanno dimensioni fisiche centomila miliardi di volte inferiori alle cellule umane, servono grandi acceleratori capaci di fornire il potere risolutivo per “vedere” queste strutture piccolissime. Allo stesso tempo questo studio dell’“infinitamente piccolo” fornisce informazioni preziosissime sull’“infinitamente grande”, cioè la struttura e l’evoluzione dell’Universo. All’Lhc, il più potente acceleratore costruito dall’umanità ed attuale progetto faro del Cern, siamo capaci di studiare l’Universo primordiale e leggi della fisica ad un’epoca corrispondente ad un milionesimo di milionesimo di secondo dopo il Big Bang, la grande esplosione che 13,8 miliardi di anni fa ha dato origine all’Universo stesso. Il Future Circular Collider, Fcc, attualmente in fase di studio di fattibilità, è il progetto più promettente per subentrare all’Lhc. Se approvato, potrebbe diventare lo strumento più straordinario mai costruito per studiare le leggi della fisica a livello fondamentale e affrontare alcune questioni aperte riguardo la struttura e l’evoluzione dell’Universo. La Cina sta considerando la realizzazione di un progetto molto simile. E, come sottolineato dal rapporto Draghi, c’è il rischio che, se la Cina dovesse arrivare prima di noi, il Cern, e quindi l’Europa, perderebbero la leadership nel campo strategico della fisica delle particelle e delle tecnologie innovative che questa disciplina permette di sviluppare».
Il recente premio Nobel per la Fisica ha coinvolto per la prima volta direttamente l’intelligenza artificiale con le reti neurali artificiali di Hinton. Qual è la sua opinione a riguardo? E come pensa che cambierà la ricerca con l’AI?
«Penso sia corretto riconoscere, di tanto in tanto, non soltanto le scoperte scientifiche, ma anche le tecnologie che le rendono possibili. Il premio Nobel per la Fisica del 1992 fu assegnato al fisico del Cern Georges Charpak per lo sviluppo delle camere proporzionali a multifili. Si tratta di una tecnologia di rivelazione di particelle che ha rivoluzionato il nostro campo e ha permesso scoperte quali quelle dei bosoni W, Z e di Higgs. E ha avuto anche un impatto notevole sulla società, ad esempio come strumento di diagnostica nel campo medico o per sistemi di sicurezza».