Robinson, 29 dicembre 2024
Highsmith un talento misogino
Le diciassette storie della raccolta Piccoli racconti di misoginia che Patricia Highsmith ( 1921- 1995) scrisse nel 1977 sono diciassette colpi di rasoio. Diciassette impietose istantanee su altrettante donne a volte perfide manipolatrici che decidono di usare il proprio corpo per ottenere del potere, altre solo esempi di come la peggiore cattiveria non abbia nulla a che vedere con l’intelligenza, ma proliferi con forme di ottusa e insaziabile fame di “roba”.Con la sua prosa limpida dai contorni netti che tagliano come il vetro, Highsmith nelle sue opere non ha mai seguito schemi uniformemente accettati, non ha mai scritto nulla solo per convenienza e di certo non fa eccezione questa raccolta ora tradotta da Marisa Caramella e pubblicata da La nave di Teseo.Sembra di sentirla Highsmith, con la sua voce roca, mentre racconta il buio così come ha sempre fatto, indicando i minuscoli germi di disagio attorno ai quali si aggregano in un lento crescendo le debolezze e i sentimenti peggiori delle persone. I suoi personaggi sono esseri maledettamente umani in mezzo ad altri che lo sono quanto loro e le loro evoluzioni sono lente, feroci, incontrollabili.In “Oona, l’allegra donna delle caverne” succede che «era semplice e ingenua, e non si arrabbiava mai. Aveva preso tante mazzate in testa che aveva il cervello assai confuso, ormai. Non era necessario darle una mazzata in testa per possederla, ma quella era l’usanza, e ormai Oona non si dava nemmeno la pena di schivare i colpi».“La scrittrice” invece «ha una memoria di ferro. Per quanto riguarda il sesso. È al terzo matrimonio. Intanto ha sfornato tre figli, ma nessuno dell’attuale marito. Il suo proclama è: “Ascoltate, ecco il mio passato! È più importante del presente. Lasciate che vi dica che razza di porco era il mio ultimo marito ( o amante)»”. Il suo passato è come un pasto mal digerito, forse indigeribile, le sta sullo stomaco. Si vorrebbe che riuscisse semplicemente a vomitarlo e dimenticarlo. Riempie fogli su fogli con la storia di tutte le volte che si è infilata nel letto del marito. O di quante volte l’ha fatto la sua rivale».In “La puttana patentata, ovvero la moglie” accade che «Sarah aveva sempre esercitato da dilettante, ma a vent’anni si sposò, il che fece di lei una professionista. Oltre a tutto, il matrimonio ebbe luogo in chiesa, davanti a familiari, amici e vicini, forse addirittura con Dio per testimone, dato che di certo era stato invitato. Lei era in bianco, anche se non proprio vergine, visto che era incinta di due mesi, e non dell’uomo che stava sposando di nome Sylvester. Ora poteva diventare una professionista, con la protezione della legge, l’approvazione della società, la benedizione del clero, e il sostegno finanziario garantito dal marito».E lo so che fra queste righe avete storto il naso perché leggere tutto questo è come venire graffiati dal rumore di unghie su una lavagna, è amaro in bocca, è rumore di cocci. Ma la realtà è che ogni racconto di questa raccolta è per noi lettori un muro che crolla, è un immaginario stereotipato che va in brandelli. Non si può sfuggire alla complessità delle vite che Highsmith ci racconta e in questa raccolta l’autrice non soltanto denuncia l’ipocrisia di tutta una serie di costruzioni sociali e convenzioni.Con quello che ironicamenteha deciso lei di intitolare Little Tales of Misogyny reclama il sacrosanto diritto di essere pessime persone anche se si è donne.Le sue protagoniste sfoggiano l’intera gamma delle qualità positive e negative degli esseri umani, anche quando l’immaginario che di volta in volta viene imposto è quello per il quale le donne devono essere superiori rispetto a certe pulsioni, piene di caratteristiche nobili e ancorate a uno stereotipo di comodo per tutti. Come se per le donne l’unico modo per essere accettate fosse quello di essere sempre in qualche modo migliori e mai e poi mai riconosciute nella completezza della propria umanità.Così Highsmith ci mostra che le donne possono essere anche creature orribili, non è detto che debbano sempre immolarsi e soprattutto non è vero che possano essere solo vittime.La fine di queste donne nei racconti non è mai buona, spesso vengono uccise da uomini o da altre donne come loro.Attenzione, nessuno è giustificato nella propria bruttezza e violenza, non loro e certo non chi pone fine alle loro vite. Ma, così come ha sempre fatto, Highsmith descrive il male mentre germoglia, evolve e soffoca le esistenze e le relazioni e là, dove il buio è più totale, si tuffa per restituirci crudezze che non avremmo saputo affrontare da soli e che ci fanno comprendere dinamiche dell’animo umano. Perché solo su quel che comprendiamo, forse possiamo anche sperare di poter agire