Robinson, 29 dicembre 2024
Salviamoci dalla nebbia digitale
Conosco bene la nebbia mentale. Non so se il mio medico gradirebbe questo termine, perché non compare come tale nei manuali di medicina, ma alcune mattine mi sveglio incapace di pensare con chiarezza, sentendo che nessuna quantità di sonno o di caffè è sufficiente, lottando contro la cortina che separa il mio cervello da una realtà che è difficile da attraversare facilmente. Tra i malati cronici, questo modo di riferirsi a problemi cognitivi come confusione, distrazione o mancanza di memoria è comune, anche se è stato dopo la pandemia che il suo uso è diventato popolare per spiegare i sintomi di cui soffre tra il 20 e il 30% dei pazienti, una percentuale che raggiunge tra il 65 e l’ 85% nel caso del Long Covid. Dare un nome alle cose, stranamente, scioglie la nebbia mentale su di esse.Il mio caso è lieve e occasionale, ma per altre persone è invalidante. Mark Haddon, l’autore de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, ha raccontato che la sua nebbia, effetto collaterale di un bypass cardiaco e di un’infezione da Covid, gli ha impedito di leggere e scrivere per cinque anni. Ho letto qualcuno chiedere su un forum: non riesco a fare nulla se non stare sdraiato, è come essere malati ma senza la febbre, qualcuno è riuscito a trovare la causa? Estranei benintenzionati passano in rassegna le decine di condizioni che sono effettivamente correlate: oltre al Covid potrebbe essere depressione o disturbo da deficit di attenzione, un problema di sonno, mancanza di ferro, di vitamina d o b12, disidratazione, qualche intolleranza, magari una patologia della tiroide, o tossine ambientali o parassiti, hai provato a non collegarti troppo a Internet e a rinunciare all’alcol? Non escludete la fibromialgia o un tumore, o gravi problemi neurologici, dicono. Per alcuni di noi il sintomo ci ha accompagnato per tutta la vita; per altri, invece, è iniziato in un momento bene identificato.Nell’era delle società confuse, si è tentati di trovare nella nebbia mentale il simbolo di un sistema affetto da infodemia e quindi intossicato contro il quale il nostro corpo si ribella, rifiutandosi di pensare con chiarezza. Incolpiamo Internet e gli smartphone della distrazione contemporanea ( vediL’attenzione rubata di Johann Hari, tradotto in Italia da La nave di Teseo) e della salute mentale giovanile (La generazione ansiosa di Jonathan Haidt, Rizzoli), sappiamo bene che il peggioramento delle condizioni materiali di vita è un fattore di stress importante e la scienza ci dice che stiamo riempiendo il nostro cervello di microplastiche. Ma il Covid ha avuto effetti disastrosi anche sul nostro cervello, traumatizzandolo, infiammandolo e danneggiandone la circolazione. Soltanto negli Stati Uniti un milione di adulti dichiara di avere più problemi cognitivi rispetto a prima della pandemia. Uno studio recente suggerisce che coloro che hanno trasmesso il virus hanno in media tre punti di quoziente intellettivo in meno, che salgono a sei nel caso di Long Covid. In Europa, il 15% della popolazione soffre di problemi di memoria o di concentrazione e la depressione è la principale causa di morte tra i giovani: ne provoca una su cinque. La pandemia ha distrutto il nostro cervello? Si chiedeva a settembre la rivista Time.Questo, dunque, sembra un sintomo comune. Chi è nato nei pressi di un grande fiume sa che la nebbia non si deposita mai su una sola persona, ma quando, cade, ricade su intere vallate.I nostri cervelli malati sono sintonizzati su un sistema informativo anch’esso intossicato. «Sento come un avvelenamento generale, informativo, emotivo», mi ha detto un amico giornalista che vive negli Stati Uniti poco prima delle elezioni americane, ed è inevitabile sentire il malessere del nostro stesso sistema culturale che soffoca con la nostra atmosfera. Respiriamo entrambi, e qui le metafore si fondono in strati perfetti e quindi sospetti. Chi studia l’intelligenza artificiale utilizza un’altra metafora che mi piace particolarmente: quella dell’avvelenamento di Internet. Si dice che, se si continua a creare contenuti artificiali a questo ritmo, presto i modelli non saranno più in grado di nutrirsi di materiale originale e di qualità e crolleranno, stufi di se stessi. Non sembra che siamo lontani: il 57% dei contenuti tradotti su Internet è realizzato con l’intelligenza artificiale.Oltre a Covid, IA e malessere mentale giovanile, la nebbia mentale è cresciuta parallelamente alla disinformazione in Rete e alla crisi di autorità dei media, un tempo maestri per eccellenza della chiarezza di pensiero e della distinzione tra fatti e opinioni, ragione ed emozione. Steve Bannon, lo stratega di Trump, ha pronunciato nel 2018 una delle frasi più importanti della storia contemporanea: «I democratici non contano, la vera opposizione sono i media. E il modo per affrontarli è inondare l’area di stronzate». Il processo è stato così veloce che nel 2024 la nebbia è in vista, davanti ai nostri occhi. Questa è l’unica cosa chiara. La zona è stata inondata e le tecniche di propaganda di Bannon sono state adottate apertamente e con successo dai politici di tutto il mondo. Nelle ultime elezioni americane non è stato nemmeno necessario manipolare la Rete in modo sibillino, come nel 2016. Elon Musk, parte del governo e uomo più ricco del mondo, è il proprietario, secondo le sue stesse parole, «della principale fonte di notizie sulla Terra», da dove ogni giorno semina confusione.Siamo così persi da rinunciare alla ragione? Lo scrittore Noel Ceballos spiega nel suo libro sulle teorie del complotto, Conspiracy Thinking, che aggrapparsi a visioni strampalate è un modo per dare un senso a un mondo sempre più veloce e sconcertante. Guidiamo a tutta velocità nella nebbia, cercando disperatamente di mantenere il controllo.