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 2024  dicembre 29 Domenica calendario

Lost e tante altre serie in arrivo in tv


Ciò che segue non è finzione. È un fatto veramente accaduto che mostra però l’immenso impatto di una delle narrazioni più appassionanti – tanto amata quanto criticata – di questo primo quarto di secolo. Nel gennaio 2010 Robert Gibbs, allora portavoce della Casa Bianca, dovette rassicurare gli americani: il discorso del presidente Barack Obama sullo Stato dell’Unione non si sarebbe tenuto il 2 febbraio, come si ipotizzava. Non c’era alcun pericolo di sovrapposizione con la trasmissione delle prime puntate della stagione finale di Lost: «Non prevedo alcuno scenario in cui i milioni di persone che sperano finalmente di ottenere delle risposte agli interrogativi posti da Lost, siano ostacolati dal presidente», disse. La serie creata da J. J. Abrams, Jeffrey Lieber e Damon Lindelof, che aveva debuttato il 22 settembre 2004, insieme ad altri show di inizio anni Duemila aveva davvero cambiato le regole del gioco. Regole che in pochissimi anni sarebbero cambiate un’altra volta.
Il 23 maggio 2010, la doppia puntata finale di Lost fu trasmessa praticamente in contemporanea in 59 Paesi. In Italia andò in onda alle 6 del mattino sul canale a pagamento Fox. La rivoluzione copernicana delle piattaforme di streaming non si era ancora consumata e la messa in onda in contemporanea globale non era ancora la consuetudine. Gli spettatori di tutto il mondo erano connessi nello stesso momento (o nell’arco di 24/48 ore) per capire come si sarebbe conclusa, dopo sei stagioni, la vicenda dei superstiti del volo Oceanic 815, che il 22 settembre 2004 (non a caso la data coincide con quella di debutto della serie) si era schiantato su un’isola densa di misteri. Misteri sempre più fitti che nel corso dei 121 episodi hanno generato pagine e pagine web di teorie che hanno espanso il testo di partenza oltre gli schermi tv. Misteri a cui il racconto non ha mai dato risposta (qui le critiche): ciò che conta è il viaggio fatto in compagnia dei personaggi. L’intrattenimento in sé. Metafora perfetta dell’esperienza della serialità televisiva.
La partenza dal mercato Usa è necessaria. È lì che si sono sviluppati fenomeni e tendenze poi diffusi ovunque. Lost è un esempio. Gli anni in cui debutta e si sviluppa su un canale commerciale come Abc sono quelli in cui le reti a pagamento americane sperimentano con maggiore libertà formati e storie. Il canale via cavo Hbo si fa sinonimo di qualità («It’s not tv. It’s Hbo» era lo slogan): serie come I Soprano (1999-2007) e The Wire (2002-2008) si impongono come grandi romanzi contemporanei che catalizzano ogni conversazione, capaci di raccontare la parabola di un boss mafioso che va in psicoanalisi per affrontare terribili attacchi di panico o offrire un ritratto spietato del traffico di droga.
Sono gli anni delle serie autoriali dalla scrittura solidissima, con un numero contenuto di episodi per ogni stagione e un impianto sempre più cinematografico. Gli anni della tv di culto che appassiona schiere di «telefili», gli anni di Mad Men (Amc, 2007-2015), creata da Matthew Weiner (già sceneggiatore dei Soprano), e Breaking Bad (Amc, 2008-2013), opera di Vince Gilligan. È la stagione degli antieroi sviluppata poi dai titoli a venire. Nel 2006 su Showtime Dexter (che dopo la conclusione nel 2013 ha generato sequel e prequel) porta nella mente di un serial killer (interpretato da Michael C. Hall) mentre dal 2008 Breaking Bad mostra la trasformazione di un uomo come tanti, Walter White (Bryan Cranston), insegnante di chimica frustrato che scopre di avere un cancro, in un feroce signore della droga.
In una scia che arriva fino alla versione tv del videogame The Last of Us (Hbo, 2023-in corso) e agli Anelli del Potere di casa Amazon (Prime Video, 2022-in corso) fioccano le produzioni ad altissimo budget come The Walking Dead (Amc, 2010-2022), apocalisse zombie tratta da una serie a fumetti, o Il Trono di Spade (Hbo, 2011-2019), otto stagioni create da David Benioff e D. B. Weiss a partire dalla saga letteraria fantasy di George R. R. Martin (Mondadori). Draghi, violenza, sesso, un intreccio di personaggi tragici e ambigui, il relativismo morale, una struttura narrativa che mantiene gli spettatori in un costante stato di tensione per la possibilità, mostrata fin dalla prima stagione, che i personaggi più amati vengano fatti fuori senza alcuno scrupolo. Un successo planetario senza precedenti sfruttato da vari spin-off messi in cantiere, a partire dal già realizzato House of the Dragon (2022-in corso). Le lotte sanguinarie per il potere diventano un genere che travalica i generi: la politica di House of Cards (Netflix, 2013-2018), la criminalità dell’italiana Gomorra (Sky Italia, 2014-2021), nata dal romanzo di Roberto Saviano, l’impero mediatico di Succession (Hbo, 2018-2023).
House of Cards porta nel regno delle piattaforme di streaming. La svolta fu di quelle che marcano un prima e un dopo. Il prima della programmazione dei network; il dopo fatto di palinsesti fai da te disponibili ovunque e in ogni momento, e scorpacciate in binge watching (visione consecutiva di più episodi di una serie, resi disponibili non a cadenza settimanale ma in uno o più blocchi), dove lo spettatore, sempre più attivo e sovrano assoluto, è travolto però da una produzione in crescita esponenziale. House of Cards è la prima serie prodotta da Netflix (in Italia, dove il servizio è arrivato nel 2015, la serie è andata in onda su Sky), nata come videonoleggio postale, poi di streaming online e infine diventata produttrice. Seguita da Disney+, Prime Video, Apple Tv+ e dalle altre piattaforme, Netflix ha realizzato prodotti di ogni tipo: ha giocato sulla nostalgia in Stranger Things (la stagione finale arriva nel 2025); riletto il teen drama in Bridgerton (prodotta dalla creatrice di Gray’s Anatomy, Shonda Rimes); trasformato serie nazionali in successi globali: la spagnola La casa di carta e la coreana Squid Game (la seconda stagione è disponibile dal 26).
Il viaggio fa tappa nel Regno Unito, le cui serie si sono imposte per originalità: il dramma in costume Downton Abbey (Itv, 2010-2015); il comico The Office (Bbc, 2001-2003), che ha generato uno dei tanti remake Usa (Nbc, 2005-2013); i teen Skins e Misfits (su E4 dal 2007); Fleabag di Phoebe Waller-Bridge (Bbc, 2016-2019) che con le brevi puntate da 30 minuti proprie delle sitcom ha regalato un irriverente e umanissimo ritratto femminile che abbraccia quello di Girls dell’americana Lena Dunham (Hbo, 2012-2017); formato ripreso anche dall’italiana Antonia, di Chiara Martegiani (Prime Video, 2024).
In Italia la prima rivoluzione è stata linguistica con il termine serie tv che man mano ha sostituito il solo nostrano telefilm. Alle fiction di casa Rai e Mediaset si sono affiancate le serie dei canali a pagamento, a partire da Romanzo criminale (Sky, 2008-2010); e poi titoli che raccontano i giovanissimi ai giovanissimi e non solo (Mare fuori, Skam Italia, Prisma...); serie che fanno la parodia del settore audiovisivo da Boris (Fox, poi Disney+, 2007-2022) a Call My Agent (Sky Italia, 2023-in corso)... L’ultimo decennio è stato quello delle grandi co-produzioni internazionali. Due esempi: L’amica geniale (Rai/Hbo, 2018-2020) adattamento in quattro stagioni creato da Saverio Costanzo della quadrilogia di Elena Ferrante (e/o); e le serie di Paolo Sorrentino (Sky/Hbo/Chanal+) The Young Pope (2016) e The New Pope (2020). Titoli che mostrano due tendenze talvolta intrecciate. L’alto numero di romanzi adattati in serie o miniserie tv (quando sono composte da un’unica stagione) come Cent’anni di solitudine (Mondadori) di Gabriel García Márquez appena approdata su Netflix; L’arte della gioia di Goliarda Sapienza (Einaudi) resa da Valeria Golino (Sky, 2024); La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead (Sur) adattata dal premio Oscar Barry Jenkins (Prime Video, 2021)... E il folto gruppo di autori cinematografici che esplorano il formato della lunga durata: Luca Guadagnino con We Are Who We Are (Hbo/Sky, 2013); Marco Bellocchio con Esterno notte (2022), serie tv o film in sei parti; i fratelli D’Innocenzo con Dostoevskij (Sky, 2024); Alfonso Cuarón con Disclaimer (Apple tv+, 2024): sette episodi per rendere il romanzo di Renée Knight (Piemme). E il britannico Joe Wright che dirige l’adattamento di M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati (Bompiani), su Sky dal 10 gennaio. L’intreccio tra cinema e tv si fa sempre più stretto (molti prodotti dei grandi autori sono stati mostrati anche nei cinema). Affacciandosi al 2025 dopo un quarto di secolo di grandi cambiamenti in fatto di serialità viene da chiedersi dove porterà la prossima evoluzione