il Fatto Quotidiano, 29 dicembre 2024
Fausto Brizzi, acclamato ma non ancora maestro
Maestro.
Ancora no.
È il 17° film da regista cinematografico.
Allora sono nella fase intermedia, quella che per Arbasino era “del solito stronzo”.
Lei è un talent scout.
A volte per necessità; in Notte prima degli esami mi servivano dei diciottenni, quindi era inevitabile, poi dagli anni 80 i comici hanno iniziato a girare i loro film, così siamo stati obbligati a tramutare in comici degli attori brillanti.
Come Massimo Ghini…
O Claudio Bisio; oppure cercare dei comici meno noti e coinvolgerli. Penso a Virginia Raffaele.
Il comico è una categoria complicata da intervistare, sono carichi di ansie.
Vuole divertire sempre e comunque; per questo film ci sono state molte interviste video e c’era una netta differenza tra me e loro: io mi sono preparato una sorta di schema da seguire nelle risposte; loro no: ogni volta cambiavano, volevano stupire il giornalista anche se il giornalista non aveva assistito alle risposte precedenti.
Performance.
Alla decima intervista non sapevano più cosa rispondere.
Ansia da prestazione.
Se uno ha Sinner a cena non gli chiede una volée in salotto, mentre con un comico ognuno pretende qualcosa, ognuno si aspetta di sorridere; (pausa) sono un po’ come i medici.
(Se i comici sono un po’ come i medici, Fausto Brizzi è il primario e il direttore sanitario. Lui organizza, pensa, calma, sprona, accende i riflettori, fa le lastre alla vita, sfrutta la chiave comica per raccontare storie, per anticipare temi. In Dove osano le cicogne il riflettore è sulla maternità surrogata e non raccontiamo nulla della trama per non alterare la storia. La storia c’è. Come il mix di attori comici della nuova generazione, in primis Angelo Pintus e Andrea Perroni, con i “maestri” Tullio Solenghi e Antonio Catania. Brizzi, poi, è un esperto di film natalizi: da sceneggiatore ha scritto una decina di “cinepanettoni” (diretti da Neri Parenti)
Il suo film esce il 31 dicembre, data inconsueta.
Con Angelo (Pintus) abbiamo deciso di proporre un live streaming in tutte le sale d’Italia, una sorta di pre-show o di avanspettacolo: in un cinema sarà dal vivo, gli altri collegati, con il cast presente; è un tentativo di rianimare l’avanspettacolo e i biglietti sono già quasi esauriti; (sorride) siamo gli unici che già sanno quale sarà l’incasso di Capodanno.
Il botteghino di Natale era un punto centrale della liturgia De Laurentiis.
Il giorno esatto delle “somme” era la sera del 25 dicembre: Aurelio organizzava una cena a casa sua; per anticipare i dati ufficiali chiamava tutte le sale cinematografiche, chiedeva l’incasso e riportava la cifra.
Magari con carta e penna.
Assolutamente, sempre.
Artigiano.
In realtà il giorno migliore per capire l’andazzo è il 26 dicembre.
Comunque un 25 di tensione.
A seconda del risultato cambiava totalmente l’umore.
Christmas in Love andò meno bene degli altri.
Per il film precedente (Natale in India) Beppe Severgnini contò le parolacce in un articolo sul Corriere della Sera: più di cento. Grande successo al botteghino. Per Christmas in Love convincemmo De Laurentiis a un approccio più soft, più garbato e già il titolo dichiarava la nostra intenzione.
E… ?
Il film incassò dieci milioni in meno.
Chissà De Laurentiis…
(Ride) Lasciamo perdere.
Le parolacce ve le sarete beccati voi.
L’anno dopo, con Natale a Miami, tutto tornò a posto.
In Christmas in Love c’era un cast internazionale, compreso Danny De Vito.
Che parlava solo inglese. A Massimo Boldi, per dargli i tempi giusti d’entrata, gli assestava dei calcetti sugli stinchi.
Una gioia.
Sentivamo tum, tum…
Nei suoi film ha da sempre mischiato attori comici o brillanti di differenti generazioni. Ora Tullio Solenghi e Antonio Catania.
In questo Natale c’è l’occasione di un ricambio generazionale, benedetto dalle star della comicità. E Tullio Solenghi è un mostro sacro, come Maria Amelia Monti e Antonio; sul set Solenghi dava a Pintus lezioni di recitazione.
E Pintus?
Veniva trattato come un allievo: “Adesso ti spiego bene”, “no, prendi un tempo di attesa e trovi una risata”; in questo Natale c’è l’avvento dei comici della stand up: nel giro di una settimana esce il mio e quello con Angelo Duro (Io sono la fine del mondo, di Gennaro Nunziante), due pionieri della stand up in grado di portare la loro scorrettezza al cinema.
Pintus accettava le lezioni?
Solenghi è un mito per Angelo, e non solo le accettava, ma era diventata una gag: “Maestro, come devo dire la battuta?” “Non si preoccupi, Pintus”. Dopo un ciak un po’ caotico, dove Angelo e Perroni avevano sbagliato, Tullio ci ha guardato: “Scusate, attori ne avete?”.
E lei?
Morto dal ridere; Solenghi viene da un mondo, da una scuola di teatro, dove non è previsto l’errore, dove è sempre “buona la prima”.
Chi altro come Solenghi?
Vincenzo Salemme non l’ho mai visto sbagliare.
Poi?
Il primo o il secondo ciak di De Sica sono meravigliosamente identici.
Con De Sica ha girato molto.
Una dozzina da sceneggiatore e tre da regista. È una certezza.
Il suo attore feticcio.
Dipende dal periodo.
È un picassiano.
C’è stata la fase Claudio Bisio, quella con Fabio De Luigi o con Christian.
De Sica quest’anno è un concorrente.
Non è la prima volta: nel 2013 mi sono lanciato nella bagarre delle feste con Indovina chi viene a Natale?, e oltre a lui avevo contro pure Pieraccioni (con Un fantastico via vai). Risultato: il mio film ha incassato circa 9 milioni ed è arrivato terzo. Quindi perse la gara.
Oggi 9 milioni sarebbe un trionfo per tutti.
Di più!
Ci rimase male?
No, perché vinsero Neri Parenti e De Sica, in un certo modo la mia famiglia.
Il comico che la fa maggiormente ridere.
Nella vita privata Diego Abatantuono.
Lo sostiene pure Frank Matano.
Non vorrei mai essere un comico seduto a tavola con Diego; Diego, tra le persone, è da “scansate, ora ti racconto”. Irresistibile.
In privato scatta una guerra bianca tra comici.
Quasi sempre, è implicita; (pausa) non in questo ultimo set: Pintus aveva le carte in mano per decidere, è il protagonista, eppure mi ha chiesto di coinvolgere altri comici in grado di strappare risate.
Una rarità.
Di solito il comico protagonista vuole il riflettore assoluto. Ed è stato lui a segnalare dei nomi.
Gli attori quanto si propongono?
Ogni volta che andavo in trasmissione da Perroni (con Barbarossa conduceva Radio 2 Social Club) scattava la frase: “A Fa’, ma non me prendi mai!”. Oramai un tormentone.
Un classico.
Sono stato al Festival di Torino e durante la serata d’apertura è salito sul palco Matthew Broderick, con Ron Howard in platea. E proprio Broderick ha detto: “Ron, perché non me prendi mai?”.
Quante volte l’ha sentita?
Continuamente, ma la pronunciano gli attori che hanno realmente la possibilità di recitare con me, perché gli ho manifestato un apprezzamento; esco sempre per vedere spettacoli e cercare nuovi talenti.
Paolo Cognetti ha parlato di “depressione dell’artista”. Il tema è tornato al centro.
Con le persone con cui lavoro, alla fine della giornata, spesso ci raccontiamo delle nostre origini, delle famiglie, e spesso dalle loro parole riconosco il mio nucleo di provenienza.
Qual è la sintesi comune?
Che è evidente l’esigenza di ridere o di far ridere. Nessun comico ha mai avuto un’infanzia perfetta.
In vent’anni di set, com’è cambiato l’approccio?
Oggi ho la libertà di inserire delle scene complicate in modo da percepire il brivido della macchina da presa; (pausa) in realtà l’ho sempre fatto: in Notte prima degli esami ho Vaporidis che corre per le vie di Roma con in sottofondo un brano dei Queen.
Vaporidis ha smesso di correre con il cinema.
Per anni ha corso tanto.
Troppo, sostiene.
È un sistema che non prevede dei “no”. Eppure la carriera degli attori si costruisce proprio sui rifiuti: saper scegliere è fondamentale.
L’attore è riconoscente al regista?
In privato. A volte non possono manifestarlo pubblicamente perché ci sono altre variabili.
Lei è riconoscente?
A tanti; (pausa) l’altro giorno ho pensato alla mia prima e unica sceneggiatura scritta con De Bernardi (uno dei più grandi sceneggiatori) e quando stavo davanti a lui non riuscivo a trattenermi dal domandare di Mastroianni, Sordi e altri; ancora scrivo a convitto.
Tradotto?
Come mi ha insegnato De Bernardi, i film si realizzano di persona, a tavola; (ride) per dieci anni ho mangiato a casa di Neri Parenti.
Momenti di cazzeggio.
Enormi. Poi c’erano i giorni “neri” nei quali ci arenavamo, silenzio totale, e la soluzione era quella di scappare e mangiare a Fregene.
Per anni ha “utilizzato” il film di Natale per viaggiare e divertirsi…
Partivamo per delle settimane con una motivazione inattaccabile: i sopralluoghi. In India ci siamo stati delle settimane.
Che vitaccia.
Un anno ho convocato la mia troupe: “Ragazzi, quest’anno giriamo un film di Natale”.
Tutti felici.
Già immaginavano Las Vegas, le Bahamas. Peccato che l’ho ambientato a Ostia (Poveri ma ricchi).
Nei film spesso coinvolge dei suoi miti.
È accaduto con i Pooh, con Abatantuono, con Giorgio Faletti o Ezio Greggio ed è quello che mi piacerebbe dire al me bambino: “Tranquillo, accadrà tutto questo”.
Anni fa al Fatto ha dichiarato: “Il mio obiettivo è superare il successo di Notte prima degli esami…”. Ancora?
È il motore principale; se vado a una cena dove non mi conoscono, quando scatta la domanda “tu che fai?” per un secondo nella testa scorro la mia filmografia, ma alla fine rispondo sempre “sono il regista di Notte prima degli esami” e cambia l’approccio dell’interlocutore. Voglio girare un film in grado di superarlo.
In trent’anni di set quante risse ha dovuto sedare e lacrime consolare?
Continuamente. Il regista è lo psicologo degli attori e pure di sé stesso.
Anche su questo set.
No, mi sono divertito come non accedeva da tempo: un piacere andare a cena insieme.
Lei chi è?
Uno che scrive delle storie per fuggire dalla realtà e che ama declinarle in tutti i modi: dai film, ai libri, alle cene.