la Repubblica, 29 dicembre 2024
Da Sansone a Berlusconi: psicostoria della calvizie
Deve aver certamente conosciuto la storia di Sansone Cesare Ragazzi, anche se l’idea gli era venuta, così raccontava, dalla visione dei film western con gli indiani, che correvano per la prateria brandendo gli scalpi dei cowboy. Il complesso dell’uomo dotato di forza prodigiosa, perché capelluto, è però antico come l’umanità. Nel Libro dei Giudici si racconta la storia dello sfortunato eroe biblico. Privato da Dalila dei suoi capelli con l’inganno, Sansone perde nel contempo la propria energia vitale.Gli psicoanalisti delle origini, allievi diretti di Freud, nella loro volontà di scandagliare i complessi sessuali dei propri contemporanei, avevano individuato il legame tra i capelli e la potenza sessuale. Sinesio di Cirene, nel 400 dopo Cristo, scrivendo un Elogio della calvizie,sosteneva che pelosi sono gli animali e l’eccesso di pelo indicava sicura stupidità. Nel suo libello sosteneva che più si hanno capelli, più si è lontani dalla divinità, e dunque dalla perfetta sapienza. Da allora in poi ci sono stati due partiti opposti e simmetrici: i calvi e i capelluti. Italo Calvino, ben prima dell’arrivo al potere mediatico, e poi politico, di uno degli allievi ideali di Cesare Ragazzi, Sua Emittenza Silvio Berlusconi, aveva sviluppato una genealogia degli aspetti piliferi delle diverse epoche, partendo dal pelato dei pelati nella nostra storia patria, Benito Mussolini. Forse ispirandosi a Erich von Stroheim, il Duce aveva trasformato la testa calva da difetto fisico in simbolo di forza virile. Non credendo a questa equazione, Berlusconi aveva messo manoa tutti i possibili rimedi per evitare di diventare calvo, nella consapevole, o forse inconsapevole, convinzione che il capello fluente della sua gioventù gli avrebbe conservato il potere sottinteso dal personaggio biblico – gli allievi di Freud abbinavano la perdita dei capelli a una forma di castrazione simbolica. Così era arrivato al trapianto, forse non quello inventato da Cesare Ragazzi, e a ricoprire l’intervento pilifero con la celebrata bandana.In quell’articolo pubblicato proprio su queste pagine nel 1983, dedicato ai ritratti del Duce, Calvino sosteneva che il pendolo tra calvo e capelluto era oscillato più volte nella storia d’Italia, dai barbuti e capelluti personaggi risorgimentali, fino appunto a Benito, per poi di nuovo riprendere forza con i capelloni della contestazione e del Sessantotto, per cui Che Guevara con barba e baffi era l’icona stessadel rivoluzionario, così simile al fondatore del cristianesimo, Gesù Cristo. Il paradosso è che, mentre Cesare Ragazzi sviluppava il suo business, non a caso negli anni Settanta, epoca di barbe e capelli lunghi nei giovani, tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento prendeva invece il via lo stile-marines, con tanti giovanotti che perdendo i capelli passavano alla tonsura totale del capo.Così nella generazione Fininvest, mentre il Capo procedeva al trapianto progressivo, i suoi luogotenenti nell’apparato economico-televisivo adottavano il capo pelato come loro stigma, rasandosi diligentemente, mentre usciva di scena la generazione del riporto, che era stata la spina dorsale della burocrazia del Ventennio e poi dell’Italia democristiana – per quando Aldo Moro fosse dotato di capelli, anzi era proprio noto per la sua frezza bianca.Purtroppo non esiste ancora una “storia capillifera dell’umanità” che possa darci conto della regola con cui oscilla la passione per il glabro e quella opposta per il capelluto. Certo, volendola vedere in termini antropologici, secondo Christian Bromberger, citato da Elena Martelli inAll’aria sparsi (il Saggiatore), è tutta una questione religiosa, che vedrebbe contrapposto l’irsuto Esaù al glabro Giacobbe, così che i peli sono uno degli elementi costitutivi dell’ortodossia religiosa cristiana, almeno sulle coste bagnate dal Mar Mediterraneo. Naturalmente questa è soprattutto una storia al maschile, perché il mondo femminile presenta ben altre dinamiche. Perdere i capelli è pur sempre – salvo rare eccezioni – ancora una faccenda da uomini.