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 2024  dicembre 29 Domenica calendario

Via i francesi dal Senegal, Mosca padrona del Sahel

Un tempo si chiamava Afrique; adesso diventa sempre più Afrika, da pronunciare con l’accento russo. Anche il Senegal ha deciso di chiudere tutte le basi militari straniere, il che significa mandare via i soldati francesi. L’ordine era nell’aria da mesi ma è stato formalizzato venerdì dal primo ministro Ousmane Sonko. Il presidente Bassirou Diomaye Faye, che dall’elezione di aprile ha spinto per la rottura con Parigi, ha detto più volte: «Il fatto che i francesi siano stati qui sin dall’epoca dello schiavismo non significa che sia impossibile fare diversamente». Non ci sono date fissate, ma il destino dei 350 uomini della Legione Straniera è ormai segnato ed è l’ultimo dei tanti divorzi che stanno espellendo la Francia dal continente.Il più sorprendente è avvenuto a metà dicembre, in un Paese che l’Eliseo era convinto di avere recuperato: il Ciad. Poche ore dopo la visita del ministro degli Esteri Jean-Noel Barrot, N’Djamena ha messo alla porta il contingente francese forte di mille soldati. Prima lo stesso copione si era ripetuto nel Mali, dove l’operazione Barkhane contro la rivolta jihadista aveva visto schierare fino a cinquemila militari; nel Niger, dove c’erano tremila legionari, e nel Burkina Faso: le tre nazioni del Sahel in mano a giunte golpiste hanno cavalcato i sentimenti popolari di ostilità verso l’ex potenza coloniale. Tutti si sono rivolti alla Russia, che ha gestito una campagna d’influenza dinamica e spregiudicata per presentarsi come alleato più affidabile.Il nuovo terzomondismo di Mosca avanza grazie ai social, alle proteste di piazza e agli accordi economici per “uno sfruttamento più equo delle materie prime” ma soprattutto grazie alle brigate di combattenti che hanno sostituito la Wagner. Gli autocrati africani, eletti o insediati con le armi, hanno bisogno di pretoriani che lottino contro le guerriglie islamiste o tribali e nessun Paese occidentale è disposto a mandare boots on the ground. Così in meno di 5 anni il Cremlino è riuscito a concretizzare un Risiko incredibile, piazzando le sue pedine dalla Cirenaica al Ciad, dal Sudan alla Repubblica Centrafricana fino all’intero Sahel: dal Mediterraneo alla linea dell’Equatore, oggi Putin è il referente principale.Non è l’unico. Sono molto attivi altri protagonisti emergenti, come la Turchia e gli Emirati Arabi, senza dimenticare il ruolo cinese nella costruzione di infrastrutture e negli investimenti. Tanti soggetti che si muovono in modo parallelo, convergendo nel comune interesse di eliminare dalla scena europei e americani.Dal punto di vista militare, a Parigi ora rimangono 600 soldati in Costa d’Avorio e 350 in Gabon, oltre al presidio di Gibuti con 1500 uomini: la base sul Mar Rosso è l’unica ritenuta irrinunciabile nella nuova strategia che Macron ha elaborato, puntando su una “presenza più flessibile e dinamica”. Il Pentagono invece ha perso gli aeroporti del Niger e sta cercando senza successo alternative sulla costa atlantica. Il vero guaio è che tutti i governi che hanno accolto i russi non riescono a fermare le insurrezioni jihadiste, sempre più agguerrite. Anche in Senegal gli attacchi si fanno sentire e il presidente Diomaye Faye ne ha discusso a fine novembre con Putin: la premessa all’arrivo di istruttori e blindati da Mosca. Questo scenario in teoria offre all’Italia un’opportunità straordinaria perché non veniamo percepiti come sfruttatori: la nostra, ad esempio, è l’unica missione militare ancora attiva in Niger. E sarebbe importante incrementare seriamente il “Piano Mattei” per cercare di arginare l’espansione di russi e jihadisti, perché – come ha sottolineato il capo di Stato maggiore dell’Esercito Carmine Masiello nell’intervista aRepubblica – siamo quelli che corriamo i rischi maggiori per l’instabilità africana.