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 2024  dicembre 29 Domenica calendario

Ipotesi Svizzera per il sospetto trafficante di droni

ROMA – Un gesto «non ostile». La liberazione di Cecilia Sala è una partita diplomatica e giudiziaria che si gioca non soltanto in Iran. C’è un secondo tavolo, tutto italiano, che riguarda l’arresto di Mohammad Abedini Najafabadi, il presunto trafficante di armi preso a Malpensa, su un mandato americano, tre giorni prima del fermo della Sala. Non c’è stata alcuna richiesta formale ma è ormai chiaro a tutti i negoziatori che le due storie sono legate. Ecco perché l’Iran – fino a questo momento duro e sfuggente nei rapporti con il nostro paese – si aspetta oggi un gesto “non ostile” dall’Italia. Quale? Domani mattina l’avvocato di Najafabadi, Alfredo de Francesco, presenterà una richiesta di domiciliari per l’imprenditore oggi detenuto nel carcere di Opera. «Parlo chiaramente soltanto a nome del mio assistito» spiega aRepubblica il legale. «Noi riteniamo le accuse assolutamente infondate e siamo convinti di poterlo dimostrare ma, nell’immediato, puntiamo a un miglioramento delle condizioni di detenzione». Ottenerlo sarebbe sicuramente un segnale apprezzato da Teheran che, il 22 dicembre, ha protestato ufficialmente con il nostro governo per l’arresto di Najafabadi. La questione, come è evidente, è però assai complessa per diversi motivi. Il primo: in Italia le decisioni giudiziarie spettano ai magistrati, la politica non può e non deve avere alcuna influenza. «Ma parliamo di un cittadino incensurato, accusato di reati, ripeto per noi inesistenti, avvenuti eventualmente in Iran. Perché deve essere chiuso in un carcere italiano?» dice De Francesco che, nel notare positivamente il trasferimento dal carcere di Rossano Calabro (dove sono detenuti i terroristi) a quello di Opera, ha già trovato un domicilio per il suo assistito.Una risposta è arrivata dagli Stati Uniti che hanno depositato al ministero della Giustizia (che lo ha già girato al tribunale di Milano) un documento nel quale denunciano il pericolo di fuga di Najafabadi, chiedendo quindi di trattenerlo in carcere. Di più: esiste un precedente, quello di Arthem Uss, il presunto trafficante di armi russo, arrestato in Italia su ordine degli americani. E che, messo ai domiciliari dai giudici di Milano, nonostante il braccialetto elettronico è fuggito. Proprio per la scelta di farlo uscire dal carcere i tre magistrati della Corte d’appello di Milano sono stati messi sotto procedimento disciplinare dal ministero della Giustizia, con tanto di parole di fuoco del Guardasigilli Carlo Nordio, per poi però essere assolti dal Csm. È possibile pensare, dopoil caso Uss, che Najafabadi possa andare ai domiciliari? «Ogni storia è diversa» dice il suo avvocato, La decisione sui domiciliari, qualsiasi essa sia, arriverà a stretto giro. Mentre quella su un eventuale estradizione avrà tempi molto più lunghi. Non prima di due mesi. Ricevuta l’istanza ufficiale dagli Stati Uniti, la Procura generale ha un mese di tempo per presentare la propria richiesta alla Corte d’Appello. Fissata l’udienza, ai giudici serviranno almeno altri 30 giorni per decidere. Qualora arrivasse il sì, non sarebbe comunque una decisione definitiva. Perché esiste la possibilità di un ricorso in Cassazione e, in ogni caso, l’ultima parola spetterebbe al ministro della Giustizia. Certo, aprire un caso con gli Stati Uniti è un problema serio: Biden sarà a Roma a gennaio per incontrare Papa Francesco e quella potrebbe essere un’occasione per un contatto con il Dipartimento. Ma, in ogni caso, è stato spiegato all’Iran, Najafabadi per il momento non potrà essere trasferito negli Usa. «Non potrà mai essere estradato» dice ancora l’avvocato. «Il mio assistito è accusato di reati gravissimi per cui c’è l’ergastolo negli States con modalità che il nostro ordinamento non prevede». Si vedrà. Così come si capirà meglio come è stato effettuato il fermo dell’iraniano: la procura di Milano ha aperto un fascicolo sull’arresto, secondo quanto risulta a Repubblica, di default dopo un’informativa della polizia. Ma non ci sono attività di indagine, tanto meno sulle modalità del fermo. È un fatto però che siamo stati velocissimi: il mandato di cattura era stato inserito nella rete poche ore prima, Najafabadi – che arrivava da Istanbul – non lo conosceva. È possibile che gli americani abbiano informato i nostri agenti.Detto questo, la strada è molto stretta e segnata. Najafabadi può essere liberato, qualora i magistrati, o in alternativa il Guardasigilli, non ritengano che ci siano i presupposti per la sua estradizione in Usa. O o per un trasferimento negli States per essere processato. Entrambe le soluzioni non avverranno però nel breve termine. A stretto giro, potrebbero esserci solo i domiciliari. Sul tavolo in queste ore è finita anche una terza idea: un trasferimento del detenuto in Svizzera, visto che Najafabadi ha un permesso di soggiorno, sfruttando anche gli ottimi rapporti che Berna ha sia con Teheran che con Washington. Si tratta di un’ipotesi fortemente caldeggiata dalla politica ma che i tecnici ritengono in questo momento impraticabile.