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 2024  dicembre 28 Sabato calendario

Beyoncé all’università di Yale, perchè insegnarla


Studiare Beyoncé a Yale. È quello che potranno fare il prossimo semestre gli studenti della prestigiosa università statunitense grazie al corso della professoressa Daphne Brooks intitolato “Beyoncé Makes History: Black Radical Tradition, Culture, Theory & Politics Through Music”. «Non mi aspettavo tutto questo interesse adesso, visto che sono anni che mi occupo di Beyoncé», spiega a La Stampa la professoressa. «Ho tenuto diversi corsi che trattano il suo lavoro e che risalgono alla fine degli anni ’90. Sono stata tra i primi studiosi a pubblicare in una rivista accademica un articolo su di lei, nel 2006». Nel 2016 ha scritto un pezzo sul Guardian sulla sua performance al Super Bowl e il suo ultimo libro Liner Notes for the Revolution. The Intellectual Life of Black Women Sound, vincitore di 11 premi, include un epilogo che parla dell’album Lemonade. «Ho iniziato a insegnare il suo lavoro in classe quando ero docente a Princeton, ho sviluppato un corso chiamato “Black Women in Popular Music Culture”, un’indagine sul genio delle musiciste nere nell’arco di cento anni. Ho usato Beyoncé come una sorta di figura contemporanea il cui lavoro si ispira a tante diverse figure pionieristiche della musica pop nel corso del secolo». Con le undici candidature con cui si presenta ai prossimi Grammy Award che si terranno il due febbraio a Los Angeles, Beyoncé è diventata l’artista più candidata della storia (oltre a quella più premiata con 32 Grammy). Il suo ultimo disco Cowboy Carter è in lizza per album dell’anno e miglior album country, mentre il singolo Texas Hold ’Em se la gioca per disco e canzone dell’anno, oltre che per miglior canzone country. Premi e numeri che raccontano solo un aspetto del suo successo: l’altro riguarda l’influenza che la cantante texana sta avendo sulla cultura pop americana e che ormai travalica il mondo musicale, toccando mondi apparentemente distanti. Nello sport, il suo show su cavallo bianco il giorno di Natale nell’intervallo della partita tra la squadra dei Texans e quella dei Ravens è già passato alla storia: era la prima volta che la NFL, la federazione di football, organizzava uno show natalizio, tanto da essere già soprannominato il “Beyoncé Bowl”, e il fatto che sia stato trasmesso in diretta su Netflix ha aggiunto alla portata storica dell’evento. Nell’accademia è un dato di fatto che la sua musica sia ormai da tempo oggetto di studio nelle università, anche quelle più prestigiose.Su cosa si focalizza il suo corso su Beyoncé?«Il corso è nato perché volevo concentrarmi e far luce sulla straordinaria ampiezza dei suoi risultati sperimentali in termini di forma-album dal 2013 in avanti. Voglio far vedere quanto sia assolutamente storico e rivoluzionario per una pop star come lei cogliere così tante opportunità artistiche e ottenere così tanto. La carriera di Beyoncé è incredibile e senza precedenti. Bisogna tornare a Stevie Wonder per trovare qualcuno alla sua altezza».Qual è il suo impatto sulla cultura e sulla società?«Ai miei studenti dico di soffermassi su quanto il lavoro di Beyoncé sia intellettualmente provocatorio, su quanto abbia utilizzato diverse forme di media per migliorare la dimensione accademica e storica del suo lavoro. In classe discutiamo spesso di Lemonade per la sua risonanza visiva con il lavoro di artisti come Carrie Mae Weems (fotografa e artista visiva, ndr) e la regista Julie Dash con il suo film ormai diventato un classico Daughters of the Dust. Quello che fa Beyoncé con la musica è un lavoro politico, sociale, storico così come artistico. Dopo la loro apparizione in Lemonade c’è stato un aumento nel numero dei giovani che leggono Chimamanda Ngozi Adichie o Warsan Shire. Beyoncé fornisce ai fan materiali per saperne di più, per diventare curiosi, e questo è il massimo che puoi sperare dalla cultura popolare: è essere in grado, come fan, di interagire con il materiale che viene prodotto, trarne un significato e provare a pensarci in modo critico. Ed è certamente quello che io faccio in classe con i miei studenti».Beyoncé però non è sempre stata politica.«La svolta è nel 2013. All’epoca Harry Belafonte se la prese pubblicamente con lei e Jay Z per il poco impegno sociale. Non so se fu una risposta a lui, ma quell’anno è un punto cruciale in termini di impegno, in cui il suo interesse si volge a idee intellettuali e politiche sulla libertà, sulla liberazione».Kamala Harris ha usato la canzone Freedom ai suoi comizi.«È uno dei momenti salienti di Lemonade ed era già stata presa come una sorta di inno di liberazione e autostima per le donne nere in particolare. Che è poi il viaggio che Beyoncé fa fare agli ascoltatori con quel disco: inizialmente fu interpretato come un album esclusivamente su i suoi problemi di coppia con il marito, mentre ha una dimensione politica enorme. Freedom esprime realmente cosa significa essere una donna afroamericana in questo Paese, cosa significa continuare a combattere. Ironicamente abbiamo bisogno di quella canzone ora più che mai, visto il risultato delle elezioni».Pensa che il suo appoggio a Harris sia servito a qualcosa? Alcuni pensano che possa addirittura averla danneggiata.«Difficile a dirsi, su un’elezione come questa hanno agito molte forze. Penso però che sia assolutamente diritto degli artisti poter esprimere ciò in cui credono. Viviamo in un universo moderno composto dai cosiddetti influencer e molte di queste persone non sono celebrità, ma possono avere un impatto enorme grazie al seguito che hanno sulle loro piattaforme. Se lo fanno loro, non vedo perché non debbano farlo i musicisti o gli attori. Penso anche che sia importante tenere presente che anche delle superstar stratosferiche sono umane e hanno molte dimensioni diverse. L’America ha storicamente una tradizione di artisti impegnati civilmente. Oggi se mai il problema è il contrario: la persona che ha vinto la presidenza è una celebrità che ha usato la sua fama come un’arma». —