la Repubblica, 28 dicembre 2024
ROMA – Ezio Luzzi, 91 anni, voce storica di “Tutto il calcio minuto per minuto”, è vero che è nato in uno stadio?«Sì, a Santa Fé, in Argentina
ROMA – Ezio Luzzi, 91 anni, voce storica di “Tutto il calcio minuto per minuto”, è vero che è nato in uno stadio?«Sì, a Santa Fé, in Argentina. Mio padre era il custode e avevamo diritto all’appartamento all’interno dell’impianto».Perché l’Argentina?«Mio padre Cesare, originario di Terracina, e mia madre Elettra, romagnola, avevano lasciato l’Italia per cercare fortuna in Sudamerica».Che ricordi ha di quel periodo?«Nessuno. Avevo tre anni. Rientrammo in Italia dopo un mese di nave. A Santa Fé ci sono voluto tornare nel 1978, durante il Mundial argentino, per vedere dov’ero nato».Ma quelli che hanno più di quarant’anni ricordano il suo “Scusa Ameri, sono Luzzi” alla radio, dai campi della B.«Ho dato dignità alla provincia. Ovunque andassi venivo accolto come un re, perché se arrivava Luzzi voleva dire che quella era la partita più importante della giornata».Del nucleo fondatore lei è l’ultimo ancora in vita.«Sono morti tutti. Guglielmo Moretti, Roberto Bortoluzzi, Sandro Ciotti, Enrico Ameri, Paolo Valenti.Cominciammo a trasmettere nel 1960».Ricorda la sua prima radiocronaca?«Sampdoria-Lanerossi Vicenza, serieA».Ma lei non faceva la B?«No, prima avevo fatto dieci anni di serie A».Come finisce in B?«Un giorno Moretti in riunione dice: “Dobbiamo ringraziare Ezio che racconterà il campionato cadetto”.Lo guardai stranito: “Che cavolo stai a dì?”».Non le aveva detto niente?«No. La B non la voleva fare nessuno».La prima partita?«Pisa-Livorno. La cabina radiofonica era situata alla sommità di un enorme palo di ferro».Come finì?«Male per il Pisa. Infatti alla fine dall’alto vidi la folla inferocita ondeggiare sotto di noi, col fonico aspettammo un bel po’ prima ridiscendere da quella scala».Com’era la provincia italiana?«Affamata di calcio. Ovunque si mangiava benissimo».Le provinciali erano guidate da presidenti vulcanici.«Una volta il Pisa perse tre volte di fila e Romeo Anconetani disse pubblicamente che io portavo jella.Prima di ogni partita spargeva il sale sul terreno di gioco».Che tipo era Costantino Rozzi, il patron dell’Ascoli?«Viveva nei pressi dello stadio ed era infastidito dal parcheggio selvaggio attorno alla propria abitazione.Bucava le gomme delle auto dei tifosi».Portò l’Ascoli a sfiorare l’Europa.«In apparenza non sapeva niente di pallone, ingaggiare Carletto Mazzone rappresentò il suo colpo di genio».Angelo Massimino, il patron del Catania, l’ha conosciuto?«Si faceva le iniezioni di insulina al ristorante. Era sanguigno: un giorno cacciò a male parole una troupe televisiva che si era intrufolata nel locale».Che Rai era?«I corsi per noi giovani erano affidati a Sergio Zavoli, Paolo Valenti, Niccolò Carosio: esigentissimi. Il capo dei radiocronisti era Vittorio Veltroni».Il padre di Walter?«L’ho tenuto in braccio».Come le sembrano le cronache sportive di oggi?«Imbottite di informazioni inutili su assist, gol fatti, biografie. Ma a chi frega?».Chi è stato il radiocronista più bravo?«Enrico Ameri, un trascinatore eccezionale».Ciotti invece?«Era più aulico, più colto, però le sue frasi rotonde non sempre venivano capite dagli ascoltatori».Tra loro c’era rivalità?«Ciotti soffriva il fatto che Ameri fosse il numero uno. Diceva: io ho fatto il liceo, lui è solo un maestro elementare».Contavano queste cose allora?«Contavano per Ciotti».Che caratteri avevano?«Ameri era metodico, arrivava allo stadio due ore prima, con un quaderno di appunti. Ciotti si presentava all’ultimo momento, trafelato, senza un’annotazione».Che flash le viene in mente?«Una sera in Portogallo per la Nazionale Ciotti e Ameri rimasero in albergo a giocare a scopone, mentre io andai al casinò, persi i miei soldi, non ne avevo neanche per pagare il tassista che mi aveva riportato in hotel all’alba...».«Ameri e Ciotti erano ancora lì, con le carte in mano. I soldi me li prestò Ameri, generoso, spendeva quello che guadagnava».Nella suo biografia “Tutto il calcio minuto per minuto” lei scrive che Ameri veniva dalla Repubblica di Salò.«Era stato sergente nella Rsi. Dopo la guerra, quando c’erano i comizi dei comunisti, le autorità lo costringevano a stare a casa».I giornalisti allora erano divinità.«Ciotti e Ameri di sicuro».Pure lei era una star.«Molte stelle le ho conosciute da ragazzi, tipo Paolo Rossi. Tempo fa ho incontrato Massimiliano Allegri, mi ha abbracciato: l’avevo incrociato in B».Che ricordi ha della notte al Bernabeu nel 1982?«Al novantesimo rincorsi Claudio Gentile, ubriaco di gioia. Farfugliò: “Non posso parlare!”. Gli urlai: “E basta col silenzio stampa, sei campione del mondo”».Quel calcio era migliore?«Era calcio vero».La gente ha nostalgia del campionato più bello del mondo.«Al ristorante i camerieri mi riconoscono ancora. E pensare che sono in pensione dal 1998».Maradona l’ha conosciuto?«Mi fece fare uno scoop, annunciandomi che andava al Napoli».Davvero andò così?«A New York nel 1984, dove ero con la Nazionale. Lo chiamavo paisà,visto le comuni origini argentine».Paisà?«Quando andammo a Stoccarda per la finale di Coppa Uefa del Napoli, noi giornalisti viaggiavamo al seguito della squadra, lo salutai “paisà”. Maradona saltò su. “Come ti permetti?” Ci fu un diverbio sull’aereo. Poi capì. Siamo stati amici».Quanti Mondiali ha seguito?«Otto. E otto Olimpiadi. Ad Atlanta ho rischiato di morire».Cioè?«La bomba scoppiò a pochi metri da me. Chiamai Roma, sono stato il primo al mondo a dare la notizia».Una vita dedicata al lavoro.«Lavoro ancora, ho un’emittente, Radio Elle,vengo in redazione ogni giorno».Sua moglie è stata molto paziente?«Rita Marcucci, è morta tre anni fa. Le devo molto. Li ha cresciuti lei i miei due figli, Paolo, che lavora a La 7 e Laura, ingegnere. Ho tre nipoti».Come si sente?«Come l’ultimo moicano»