Corriere della Sera, 28 dicembre 2024
La denuncia scandalo di Blake Lively contro Justion Baldoni
Girare un film-denuncia sulla violenza maschile per spingere la società a contrastarla e, allo stesso tempo, molestare sessualmente l’attrice protagonista durante le riprese. È quello che sembra essere accaduto sul set di It Ends With Us – Siamo noi a dire basta, uscito quest’estate per la regia di Justin Baldoni che è anche co-protagonista del film. L’attore, 40 anni, è stato denunciato insieme al produttore Jamey Heath da Blake Lively, 37 anni, Lily Bloom nel film, per essere stata oggetto di abusi pesanti durante le riprese come il continuo mostrarle «video o immagini di donne nude», l’insistere nel ricordare la sua passata «dipendenza dal porno» e le sue conquiste sessuali. In più, secondo la denuncia presentata dalla star di Hollywood al dipartimento per i diritti civili della California, i due avrebbero aggiunto al copione scene spinte, sarebbero entrati più volte nel suo camerino mentre era nuda o stava allattando (aveva appena avuto il quarto figlio) e poi, durante le riunioni, si sarebbero vantati della loro vita sessuale creando così un clima tossico e invivibile per tutto il cast di cui l’attrice si era lamentata anche in presenza del marito, Ryan Reynolds.
La denuncia di Lively, che durante la sua carriera ha lavorato con Ben Affleck, Oliver Stone e Woody Allen, è stata arricchita da un’altra causa, intentata presso la corte dello Stato di New York a Manhattan contro Baldoni dalla sua ex addetta stampa Stephanie Jones che documenta l’alleanza tra l’attore e la sua società di produzione cinematografica, Wayfarer, per cercare di «seppellire» e «distruggere» la reputazione di Lively per paura che lei rivelasse l’atmosfera misogina e tossica creata sul set. Operazione, tra l’altro, molto ben riuscita. Ad agosto, quando il film uscì nelle sale, i due protagonisti non diedero mai interviste insieme, né fecero apparizioni sul red carpet, una scelta condivisa anche da Colleen Hoover, l’autrice del romanzo da cui è tratta la pellicola, e da altri membri del cast. Parallelamente, però, partì una campagna denigratoria nei confronti di Lively che venne descritta come fredda, distaccata, poco sensibile al tema della violenza sulle donne. Spuntò anche un’intervista di anni fa con una giornalista norvegese in cui lei era scontrosa. E i social abboccarono, distruggendola.
Secondo il New York Times a orchestrare il tutto è stata Melissa Nathan, la stessa che ha curato l’immagine e le relazioni pubbliche di Johnny Depp durante il processo del 2022 contro Amber Heard. A riprova di questa «macchinazione» ci sono numerosi messaggi e email che mostrano quanto sia facile, nell’era digitale, condizionare l’opinione pubblica. «Possiamo seppellire chiunque» scrive Nathan a un addetto stampa vantandosi dei suoi poteri.
Il paradosso è che, la scorsa estate, mentre It Ends With Us incassa quasi 350 milioni di dollari in tutto il mondo, la reputazione di Lively è al minimo storico: perde follower e molti contratti come l’importante conduzione del primo episodio della 50esima edizione del Saturday Night Live, previsto lo scorso settembre.
Ora, però, la musica sta cambiando. Poco prima di Natale a Baldoni è stato revocato il «Voices of Solidarity Award» che viene assegnato ogni anno a «uomini straordinari che hanno dimostrato coraggio e compassione nel difendere le donne e le ragazze». L’associazione Vital Voices, che da 25 anni assegna il riconoscimento, ha motivato così la sua decisione: «Le comunicazioni tra Baldoni e i suoi addetti stampa, incluse nella causa, sono, da sole, contrarie ai nostri valori e allo spirito del premio».