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 2024  dicembre 28 Sabato calendario

Gli intellettuali contemporanei, sfacciatamente ignoranti

In una scena di “The Newsroom”, una delle serie per cui lo sceneggiatore Aaron Sorkin è stato accusato d’essere misogino, Will McAvoy – personaggio di giornalista televisivo americano fissato con Cervantes – accusava la sua produttrice nonché a fasi alterne fidanzata, inglese, di non avere letto il “Don Chisciotte”. Lei rispondeva: certo che l’ho letto, nell’originale francese.
Mi è tornato in mente, quattordici o quanti sono anni dopo quella scena, per colpa di Christopher Nolan, di cui non ho mai visto un film ma non per questo non so che esista. E, se vi sembra una specificazione ridondante, non avete assistito allo spettacolo d’arte varia che è divenuto Twitter (o come si chiama ora) alla vigilia di Natale, quando è stato annunciato che Nolan farà un film dall’“Odissea”.
Se non ho perso dei passaggi, tutto è partito da un critico cinematografico, mestiere che da quando non esiste più il cinema è in balìa di scappati di casa che sa il cielo cosa capiranno di quel che vedono, considerato che non hanno letto niente, non sanno niente, non conoscono niente.
Il critico strabilia perché ha fatto quel che fanno gli ignoranti – è andato su Google, o forse addirittura su Wikipedia – e ha scoperto che il libro al quale si ispira Nolan per il suo nuovo film è, wow, supervecchio (avete notato che quest’analfabetismo dei superlativi fatti con «super» ha ormai contagiato anche gli adulti? Per non parlare dei superlativi italiani in doppiaggese, quelli costruiti con «così»).
Egli viene irriso perché persino sull’internet c’è gente con dei minimi criteri d’entrata non dico alla critica culturale, ma all’età della ragione; e in quei criteri d’entrata è compreso non dico che tu abbia letto Omero, ma almeno che l’abbia sentito nominare. Non dico aver letto García Márquez o Tomasi di Lampedusa, per carità, ché poi ci si affatica, ma aver contezza che siano esistiti prima che arrivino su Netflix, ecco. Poiché questo secolo ha convinto gli esseri umani che ridere di te è la cosa peggiore che altri esseri umani possano farti, da lì tutto precipita.
Sembra di essere allo zoo, come apri Twitter ci trovi qualcuno che dice «gli americani pensano che tutti debbano conoscerlo solo perché è un libro loro» (eh?), «ho cercato le liste di libri importanti e non c’è, quindi vi siete inventati che sia un libro fondamentale» (eh??), «come pensano che chi non è madrelingua inglese possa averlo letto» (eh???). In dodici anni siamo passati da Cervantes così evidentemente spagnolo che se volevi che un personaggio si rendesse ridicolo bastava fargli dire che era francese, a gente che prende il telefono e scrive «basta con quest’americanata di Omero, difendiamo le tradizioni europee, e comunque non sta nei dieci best novels secondo Buzzfeed» (sintesi mia, il mio preferito tra i tweet veri fa così: «Il mondo non gira attorno all’America. Sono inglese e non l’ho mai letto a scuola. Abbiamo invece studiato cose utili, come la geografia e la storia del mondo, non solo la storia del paese in cui viviamo». Non solo quel redneck di Omero, tzè).
Mi sono messa a cercare uno dei più accaniti a dire che in Inghilterra quest’“Odissea” nessuno l’ha mai sentita nominare, perché volevo capire cosa fosse andato storto. Passino gli americani, che non sanno leggere lo stampatello, ma gli inglesi, santiddio. Lo so che Sorkin aveva capito tutto e faceva dire quella castroneria su Cervantes a Mackenzie non in quanto donna ma in quanto laureata a Cambridge, ma io ancora m’illudo. Da loro mi aspetto non dico che abbiano letto, non dico che sappiano esattamente, ma almeno, chessò, che improvvisino robe tipo «“L’odissea” è un romanzo spagnolo dell’Ottocento, mia nonna aveva una copia autografata dall’autore». (Sembra un’iperbole, è realismo americano: una decina d’anni fa, c’era un film in cui Jennifer Lopez s’innamorava d’un tizio che le regalava «una prima edizione dell’Iliade». Una prima edizione texana, tipo).
Che poi almeno un’inglese Omero l’ha letto benino, quella che l’ha adattato in “Kaos”, Charlie Covell. Ora capisco perché Netflix non l’ha rinnovata per una seconda stagione: l’avremo guardata solo noi quattro che abbiamo una vaga idea dell’esistenza della mitologia greca (e naturalmente ce l’abbiamo perché guardavamo “Pollon” da piccoli, mica perché abbiamo letto Omero da grandi).
Dicevo, mi sono messa a guardare il TikTok di questo ragazzo per capire quanti anni avesse: quando le capre sono giovani un po’ mi consolo (hanno tempo per migliorare), un po’ mi dispero (dovrebbero avere le nozioni scolastiche più fresche nella memoria). E il suo TikTok è tutto fatto di lui che intervista registi di film di supereroi, gente che inventa videogiochi, e mi chiedo: ma, se non conosci un classico che sia uno (perché se non conosci Omero dubito assai tu conosca Dante o Shakespeare, e infatti al terzo giorno di polemiche arriva quello che «non è che sono ignorante perché non ho letto Shakespeare, e comunque ho visto “West side story” e “10 cose che odio di te”»: in confronto, le nostre zie che vedevano il “Romeo e Giulietta” di Zeffirelli erano Harold Bloom), cosa minchia capisci di quel che ti dicono coloro che lavorano con l’immaginario e i riferimenti?
Cioè, quando uno ti dice «il viaggio dell’eroe» tu pensi sia cosa: lo slogan pubblicitario di Airbnb? La tua lingua madre è quella in cui il tendine si chiama «tendine di Achille»: non ti sei mai chiesto chi fosse ’sto tizio? Nei tuoi supermercati si vendono dei preservativi che prendono il nome dal cavallo di Troia: niente curiosità? Poi per carità, di ignoranze ci sono anche le mie, quindi rido meno di quelli che spulciano le passioni fumettistiche e cinematografiche del ragazzo e si domandano cos’abbia pensato della Circe che sta in non so che opera contemporanea a lui cara.
A Natale di dodici anni fa, Jeffrey Goldberg – che lavorava già all’Atlantic ma non ne era ancora direttore – fece una conversazione sulle armi con Ta-Nehisi Coates. A un certo punto gli annunciava una domanda agostiniana. Poco dopo gli diceva: non mi hai risposto alla domanda chiave che sant’Agostino faceva a tutti quelli che giuravano di rinunciare alla violenza.
Prima di svelarvi quale fosse la risposta, e poiché c’è la possibilità che non sappiate chi è Omero, lasciate che vi dia un paio di note biografiche su Coates. Nel 2012 Coates aveva trentasette anni, iniziava a essere l’intellettuale più noto d’America, avrebbe negli anni successivi vinto qualunque premio compreso il MacArthur, un premio di cui non serve vi dica molto altro se non che è detto “genius grant” e che al genio vincitore vanno ottocentomila dollari. Quel giorno di fine dicembre, in quella conversazione che nessuno ha ritenuto di emendare, Coates rispondeva a Goldberg «Non ho capito la domanda, non so chi sia sant’Agostino».
Per me, non è la cosa più incredibile che Coates abbia scritto quella settimana. Perché il giorno dopo sull’Atlantic è comparso un altro suo pezzetto, in cui diceva che in molti l’avevano redarguito per quella risposta, ma ognuno ha i suoi riferimenti intellettuali e magari un giorno quest’Agostino lo leggerà pure ma «il canone di un artista è personale» (oddio, veramente no, se è personale non è canone, ma non cavilliamo).
Ma poi: il punto non era aver letto o no sant’Agostino, così come il punto non è che un critico americano non legga i classici greci. Il punto è che dovresti sapere che esiste: non è che io abbia letto “Middlemarch”, però so che esiste (prima o poi lo leggo, giuro). Come fai ad avere trentasette anni e vivere di parole e non aver mai sentito nominare sant’Agostino?
Faceva poi un elenco di ciò che aveva letto e ciò che non aveva letto. A suo merito, «Focault non l’ho finito». A conferma che Sorkin sapeva quel che faceva, non aveva letto Cervantes. Ma quel che mi aveva colpito erano le righe in cui diceva di non essere mai arrivato alla fine d’un romanzo di Hemingway, e di non aver mai letto una sola pagina di Mark Twain. Non glieli danno da leggere a scuola, come a noialtri Svevo o Manzoni?
Ma poi non è neanche la scuola, è la vita che ti butta addosso certi riferimenti, se non vivi in una capanna nel bosco: come si fa a crescere in America e a scansare Hemingway e Twain? Se non vivi in una capanna e se vivi in Occidente, certo, perché naturalmente Coates diceva che però gli autori africani li aveva letti solo lui, e in questo delizioso Natale è prontamente arrivata una canadese a dire che era suprematismo occidentale pensare che tutti avessero letto Omero, anche «chi sta in uno slum nell’India afflitta dalla povertà, o nelle favelas in Brasile». Che è un po’ la tipologia di chi ama Nolan e Wikipedia ma non ha letto un cazzo e lo vuole rivendicare sui social. Anzi mi meraviglio che qualcuno da sotto a qualche bombardamento non faccia capolino dicendo che passi la guerra, ma a me ignorante di mitologia greca non me lo dite capitoooo.
Torniamo a noi, a noi satolli figli dell’abbondanza e con a disposizione inutilmente tutte le buone letture del mondo: come abbiamo fatto a scansare Omero o Hemingway o Balzac? Me lo sono chiesto per dodici anni, poi nel 2024, alla vigilia di Natale, un intellettuale italiano ha scritto di non aver mai visto “Una poltrona per due”. Fin lì pazienza, se Coates non ha mai letto Salinger (del quale si leggono tutti i libri in un pomeriggio e avanza anche del tempo), non vorremo mica costringere qualcuno a guardare una commedia americana solo perché gli italiani la guardano ogni vigilia di Natale da non so quanti decenni. La cosa grave è che poco dopo ha aggiunto che non si era mai accorto che fosse così popolare.
Forse la mia è tutta invidia. Occuparsi di trame cinematografiche con eroi dispersi nei loro viaggi, e non essersi mai fatti due domande su quelli che definiscono quei tragitti «un’odissea». Vivere in America, avere per mestiere le parole, e non essere mai stati incuriositi da “Addio alle armi”. Vivere in Italia, non accorgersi che ogni 24 dicembre tutti parlano dello stesso film, e non essersi mai domandati chi citino quelli che dicono «Bello Natale a voi». Forse loro hanno raggiunto la pace interiore, e io sono invidiosa come potrebbe esserlo solo un nobile spagnolo non sanissimo di mente che avesse come prima lingua il francese.