La Stampa, 28 dicembre 2024
Una giornata da pellegrino al Giubileo
Confesso di aver molto peccato in pensieri, parole, opere ma soprattutto omissioni. Abito praticamente vista Vaticano ma non sapevo che per partecipare al Giubileo 2025 avrei dovuto scaricarmi un’app. Ho provato e riprovato a intervalli di un’ora, sono riuscito a registrarmi solo dopo la mezzanotte del giorno 23 dicembre, così mi sono procurato la “Carta del pellegrino”, necessaria per partecipare ai salvifici eventi.Vado alla “carta dei servizi” per capire le agevolazioni che mi sono meritato con l’ufficializzazione del mio status di pellegrino. La sezione più interessante è quella dello “Shop”. Il “Jubilee official store” offre il Kit del Pellegrino: La scelta dei gadget va dallo zainetto blu 24,90 euro, borraccina d’alluminio 11,90, felpe e magliette ma soprattutto calamite, portachiavi, supporti per smartphone e spille della linea “Luce” la mascotte del Giubileo. È un personaggio indecifrabile disegnato dall’illustratore Simone Legno, conosciutissimo in Asia in quanto fondatore del brand “Tokidoky”, che collabora con marchi come Hello Kitty, Marvel, Barbie, Sephora e Karl Lagerfeld. Luce è un pupazzo, creato su modello degli anime giapponesi, è una ragazzina pellegrina con un k-way giallo, l’accompagna il cane “Santino” e altri tre amici. Leggo che: «I suoi occhi brillano di una luce intensa: simboleggiano la speranza che nasce nel cuore di ogni pellegrino, incarnano il desiderio di spiritualità e di connessione con il divino».Devo dire che Luce è stata subito evocata al culmine del mio pellegrinaggio, di circa 500 metri, fino a piazza S. Pietro. Nel primo negozio di sacri souvenir ho raccolto solo lamentele: «Tutti vengono a chiederci Luce e noi non ce l’abbiamo, questo Giubileo non ci porterà nulla». Per colmo di sadismo chiedo quindi di poter acquistare l’introvabile “Perpetua”, la matita del Giubileo che ho visto reclamizzata nella mia app. È venduta come matita ecologica, ergonomica, con la parte per cancellare di gomma alimentare.Fantastica, ma nessuno ha pensato che la matita del Giubileo ha lo stesso nome della domestica del prete? Quanti parroci metteranno a prova la loro verecondia al pensiero di poter acquistare una “perpetua” a soli 10,90 euro, che promette di poter percorrere 1.120 km senza bisogno di temperanza?Passo il varco attraverso il metal detector, l’app con il QR code è inutile, passa chiunque. Si coglie per un attimo il tentativo di rivolta di una coppia accompagnata da un grosso cane maremmano: «Non ci fanno entrare perché è troppo grande! Non è giusto». Raccoglie la solidarietà di qualche altro padrone con cane, di taglia minore. Inizia una disputa su quale sia l’unità di misura perché un cane possa accedere al colonnato. Intanto con velocità insperata sono a pochi metri dalla Porta Santa.Mi accorgo che, la maggior parte dei componenti della fila, gli ultimi metri prima di entrare nell’area dell’indulgenza li compiono camminando a ritroso. Strano veder persone entrare di spalle, però evidentemente il desiderio di farsi un selfie supera ogni tradizione devozionale. Alcuni addirittura fanno una diretta in video streaming e conversano con interlocutori remoti, che magari pensano che la remissione dei peccati sia estensibile anche a chi è collegato on line.All’interno della Basilica tutti fotografano tutto. I più attrezzati svettano sulle teste degli altri con selfie stick lunghissimi e fotografano quelli che fotografano. Qui mi si conferma il concetto di reliquia digitale, che osservai per la prima volta nell’aprile 2005, quando una folla di devoti sfilava davanti ai grandi monitor posizionati collegati con la salma di Papa Giovanni Paolo II. Ognuno faceva una foto a quei monitor, come se volesse ricavare una reliquia digitale di quel Papa morto in odore di santità. Era l’evoluzione tecnologica di ciò che avveniva in epoche remote, in cui lo stesso rito richiedeva di poter avere parti di un corpo attraversato dalla Grazia, o oggetti che lo avessero toccato.Forse per questo di fronte alla cappella di San Sebastiano, appena dopo la Pietà di Michelangelo e dove riposa Wojtyla Santo, c’è un cartello in cui è scritto in tutte le lingue che, almeno in quel posto, è assolutamente vietato fare foto. Un robusto addetto, alto e imperioso, lo ricorda con veemenza a ognuno dei fedeli in fila: «A me non prendete in giro!», ribadisce minaccioso verso chi ha l’aria di voler fare il furbo. Ogni tanto entra a sorpresa nella cappella e guarda sospettoso.Nessuno invece si preoccupa di moderare la fede popolare poco più avanti, sotto all’altare di San Girolamo, dove in una teca di cristallo è esposto il corpo di Papa Roncalli. C’è solo una balaustra di legno e un cordone. Tutti ci passano sotto a ginocchioni e vanno ad abbracciare la teca. Ho osservato per un po’ quel residuo arcaico di fede popolare. Forse sarà la maschera di cera realistica che fa immaginare che quello sia il volto incorrotto del Papa Buono, però ho visto donne sfidare il confine e prostrarsi indisturbate davanti a quel simulacro. Ho chiesto all’accompagnatrice di una signora che era restata prona per parecchio tempo con le mani sul vetro, come volesse toccare la salma, per poi gettare qualcosa oltre la teca. «È un biglietto con una foto, stanotte ha sognato questo Papa e siamo venute insieme da Fiumicino a chiedere una grazia».È inutile immaginare tecno riletture degli antichi atti di fede che passino per app e social network. Alla fine quello che conta è la carne dell’umano, che cerca un contatto tangibile con quella che immagina sia una fonte di Grazia. Il resto passerà, come la mascotte manga, l’app del pellegrino, il download del santino benedetto. Passerà anche il Giubileo, resterà il fardello meraviglioso e crudele della nostra condizione umana.