La Stampa, 28 dicembre 2024
Un’altra biografia di Cecilia Sala
Il 15 agosto del 2021, mentre gli italiani festeggiano il Ferragosto, i talebani entrano a Kabul. L’Afghanistan torna nelle loro mani. L’esercito americano lascia il Paese, portando con sé tutto quello che, in vent’anni, ha contribuito a costruire: la possibilità di un futuro democratico.Cecilia Sala non è lì: come molti, è al mare, dove però ha quello che le serve, uno smartphone, per fare la cosa che serve, raccontare. Organizza immediatamente una diretta Instagram e spiega quello che sta succedendo. Arriva prima di giornali, tg, siti. Si collega con uno dei migliori giornalisti italiani, Daniele Raineri, all’epoca inviato del Foglio (ora è al Post) esperto di Medio Oriente. Parlano a lungo, mentre le notizie si accavallano, i fatti avvengono, e si collegano migliaia di persone.Cecilia ha 32mila follower, è già nota per un podcast con Chiara Lalli, “Polvere”, che è un’inchiesta sull’omicidio di Marta Russo, e perché collabora con Will, piattaforma di informazione semplificata, divulgativa, nata alcuni anni prima su Instagram e cresciuta in breve: risulta, almeno in quel momento, uno dei frutti più prosperi della disintermediazione giornalistica. Will è il notiziario dei GenZ, che sono i nati tra il 1995 e il 2010. Cecilia è nata proprio nel 1995, ma il suo grande amore sono i giornali, i quotidiani di carta.Alla fine della diretta del 15 agosto del 2021, Cecilia ha 60mila follower. Due giorni dopo, 190mila. Si comincia a parlare di lei. I ragazzi che sui social la seguono già oppure la scoprono, la idolatrano. Lei studia, spiega, scrive, condivide mappe, articoli, video. Mette in ordine e fa chiarezza, per quello che si può, per quello che le riesce. Non dimentica mai di dire a chi la aggiunge, raggiunge, interroga come un oracolo: per questo ci sono i quotidiani, leggete qui, guardate qua, ascoltate lui, lei, loro, approfondite, ecco questo link, questo lavoro si fa così, implica questo, diffidate delle deduzioni, non abbiate fretta, questo non lo so, questo non si può sapere, questo forse non lo sapremo mai. Sa di parlare a ragazzi che i giornali o li detestano o li ignorano.A me (siamo ancora in quei giorni di agosto di tre anni fa) sembra fantastico. Mi sembra che Cecilia abbia fatto, del tutto inconsapevolmente, un piccolo capolavoro di comunicazione: ha dimostrato in che modo un giornalista può usare Instagram, distinguendosi da un divulgatore, e in che modo si intercetta e crea un pubblico in uno spazio dominato dall’algoritmo. Soprattutto, mi sembra che Cecilia abbia trovato una notizia importante o, meglio, sia stata trovata da una notizia importante (il direttore di questo giornale mi ripete spesso che sono le grandi storie a trovare i grandi giornalisti): un interesse acceso e informato verso quella parte di mondo e verso le cose del mondo in una generazione accusata di radicalismo e lassismo, perbenismo e amoralità, e per la quale è stato coniato il termine slaktivism, attivismo da divano a scopi reputazionali.Scrivo tutto questo in un articolo di fine agosto, vengo raggiunta da diversi di colleghi che mi dicono, scocciati, ma chi è questa, che competenze ha, per chi lavora, è professionista o no, cosa ha studiato e dove, di chi è figlia, di chi è amante, è troppo giovane, è troppo bella, ha labbra troppo grandi. Un assaggio di quello che verrà dopo, e cioè la grande scissione tra chi pensa che Cecilia Sala sia un bluff, un’influencer, una mesmerica raccomandata, e chi, invece, la ritiene un’ottima e coraggiosa professionista, con tutta la vita davanti, molto da imparare e altrettanto da insegnare.I primi giorni di settembre del 2021, alcuni di quei giornalisti mi chiedono il numero di Cecilia: è entrata a Kabul, è la prima a riuscirci, e tutti la vorrebbero in collegamento in tv e in radio. Do il numero a tutti, so che non devo chiederle il permesso: Cecilia è disponibile e beneducata almeno quanto è coraggiosa.Quella volta a Kabul ci è andata a spese sue, come altre volte, finché è stata assunta. L’ho vista, come tutti, dire quasi sottovoce «Scusate, ora devo andare via», mentre bombardavano l’albergo dal quale stava facendo un collegamento con La7. Gli stronzi da tastiera l’hanno insultata anche in quella circostanza, insinuando che fosse tutto preparato: vedete quanto profondamente può incattivirsi un popolo che non capisce quello che legge, e quindi neanche quello che vede.Le ho sempre raccomandato di stare buona e di stare attenta. E lei ha sempre riso, contenta del mondo e del suo lavoro, con una sigaretta fissa tra le mani e una ruga sulla fronte, uguale a quella che viene a Meg Ryan quando si concentra o è felice. Spesso, quando ho letto suoi reportage, gliel’ho anche scritto: «Stai buona e stai attenta». Cecilia ha sempre risposto (ovunque fosse, unica giornalista italiana che non manca mai di rispondere, e si scusa se lo fa in ritardo): «Sto attenta»