Corriere della Sera, 28 dicembre 2024
In morte di Gian Paolo Ormezzano
Con Gian Paolo Ormezzano ci univa non soltanto la comune fede granata, l’amore per il ciclismo ma anche una reciproca stima, corroborata da una lunga corrispondenza. L’ultima mail diceva: «La paura fa 90 ma a me i 90 ormai vicini non fanno paura: deve essere l’effetto Toro. O sono pazzo. Decidano i miei 8 nipoti. W noi — gpo».
Poche settimane fa eravamo assieme a Monteu Roero, vicino ad Alba, a ritirare un premio che consisteva in un prezioso tartufo. Io dovevo parlare di Nunzio Filogamo, che è sepolto da quelle parti, e me la sono sbrigata in pochi minuti. Lui della sua vita, del suo ultimo libro. Ha parlato per circa un’ora come se stesse dettando un articolo, con virgole e capoversi, ha ricordato episodi sportivi e date con una memoria di un ventenne, ha accennato alle pagine di un suo ultimo libro «Io c’ero davvero», «titolo dalla frase del trombogiornalismo d’antan, uomini e cose ed eventi di 70 anni ormai di mestiere». Ha ripetuto più volte il suo motto: «Ho avuto due fortune nella vita: non essere nato donna a Kabul e juventino a Torino».
Era arrivato in macchina, sgommando su per una ripida salita sotto gli occhi amorevoli e protettivi di un nipote. Lo guardavo ammirato perché mi aveva scritto: «Sono uscito anche dalla scia maledetta del postcovid. Tre covid mi hanno martoriato con conseguenze assortite, talora non mi basta dire a me stesso che “comunque tutto è meglio che essere juventino”, ma insomma tiracchio avanti». In realtà, sulle pagine dell’edizione torinese del Corriere aveva raccontato il suo calvario: «Vivo e risolvo grandi rebus della quotidianità casalinga in tema di ordine maniacale delle cose, e mi angoscio se devo cambiare una lampadina. Forse accadeva da sempre, il dopocovid ha snidato ed acuito le mie magagne… Un amen, in attesa di un requiem».
Ho cominciato ad amare gpo, così si firmava, quando adolescente seguivo le sue cronache del Giro d’Italia su Tuttosport: ogni giorno una pagina variegata fatta di cronache, ritratti, poesie, aforismi, battute (molto amate, lo seppi più tardi, da Marcello Marchesi). A me pareva inarrivabile ed era il mio campione, oggetto di disputa con gli amici che invece leggevano Gianni Brera. Anni dopo, in un convegno, a Edmondo Berselli che si definiva breriano gli risposi che ero ormezzaniano e mi accorsi che parte del pubblico non conosceva le sue meravigliose storie di calcio e di ciclismo.
Sport e non solo
Il racconto di Coppi, dei Giri, dello sbarco sulla Luna, dell’attentato di Monaco e dell’atletica
Per questo, in amicizia, più volte gli ho rimproverato di «essersi buttato via»: «Potevi essere il nostro Eduardo Galeano, il nostro Osvaldo Soriano e invece, da fantasma, hai scritto le autobiografie di Enzo Ferrari, di Giampiero Boniperti, di quel cabezón di Omar Sivori e di Michel Platini (direttamente in francese)». Gpo aveva una facilità di scrittura impressionante, mai banale, sempre in grado di cogliere il cuore degli eventi di cui era testimone.
Era nato a Torino nel 1935. Entrato a diciassette anni come redattore «abusivo» nelle file di Tuttosport e ricevuti i gradi di giornalista al capezzale di Coppi (fu mandato quasi per caso a seguire la malattia del Campionissimo e ne raccontò mirabilmente la morte), ha seguito e descritto i principali eventi sportivi (e non solo) dell’ultimo mezzo secolo, dai Giochi di Roma allo sbarco sulla Luna, dall’attacco terroristico di Monaco al Mundial spagnolo degli azzurri, senza contare le presenze nelle grandi corse ciclistiche a tappe. A lungo editorialista per La Stampa e Famiglia Cristiana e, da ultimo, per il Corriere di Torino.
Ormezzano è anche autore di romanzi e saggi, tra cui «Giro d’Italia con delitto» e «La fine del campione», oltre ai tre volumi «Storia del ciclismo», «Storia dell’atletica» e «Storia del calcio». Caro gpo, com’era buono quel tartufo!