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 2024  dicembre 28 Sabato calendario

La super-clausola anti-rimpasto

Non è vero che fu solo la pendenza giudiziaria ad impedire il ritorno di Salvini al Viminale due anni fa. C’è anche una clausola che allora venne condivisa da tutti i leader del centrodestra. E che resta ancora valida. 
La regola, posta da Meloni all’inizio delle trattative per la formazione del governo, stabiliva che nessuno avrebbe potuto assumere un incarico ministeriale «in un ruolo già ricoperto». È strano che il leader della Lega se ne sia dimenticato dopo la sua assoluzione al processo di Palermo, quando ha fatto trasparire il desiderio di tornare agli Interni. Assai più strano è che non abbia fermato il successivo tam tam dei fedelissimi, quando la premier gli ha rammentato cosa avevano deciso insieme. A parte il fatto che quel caveat potrebbe essere superato solo per scelta collegiale, e già Tajani ha detto che «Piantedosi resterà al Viminale fino al termine della legislatura». C’è soprattutto l’opposizione di Meloni all’ipotesi di un cambio in corsa.
Nei colloqui riservati la premier riempie di elogi il suo vice e sostiene che «Matteo saprebbe ricoprire bene quell’incarico». Ma è un modo per tenere bassa la pressione ed evitare tensioni nella coalizione. La presidente del Consiglio non intende infatti aprire il vaso di Pandora del rimpasto, per ragioni di politica interna e internazionale. Intanto perché – come ha spiegato alla Stampa il capogruppo di FdI Bignami – un rimpasto «bloccherebbe l’attività di governo almeno per un mese». Eppoi perché – e questo è stato tema di discussione con l’alleato – non sarebbero più riproducibili gli equilibri di rappresentanza di due anni fa. Non solo per le rivendicazioni di Tajani, in virtù del nuovo peso elettorale di FI, «ma anche – sostengono dirigenti di Fratelli d’Italia – per i nuovi assetti che stanno prendendo corpo nella Lega sui territori del Nord». Insomma, rimettere tutto in discussione non converrebbe neppure al capo del Carroccio.
Se così stanno le cose, resta da capire il motivo per cui Salvini abbia lasciato alimentare questo dibattito, che peraltro ha messo in ombra il verdetto di Palermo. Fonti istituzionali ritengono che il mood comunicativo del vicepremier non celi «una rivendicazione a titolo personale», ma sia una sorta di «credito avanzato a futura memoria». Per il governo però c’è un problema: la mossa del leader leghista, che oggi può essere solo una spina, domani potrebbe trasformarsi in una mina. Specie se la strategia di Meloni sul «progetto Albania» dovesse faticare a realizzarsi. A quel punto Salvini – evocando la sua stagione al Viminale – potrebbe alzare il tiro per misure più forti nel contrasto all’immigrazione clandestina. E mettendo nel mirino la gestione di Piantedosi colpirebbe Palazzo Chigi. 
Ecco perché la premier, nel corso di alcuni colloqui, ha chiesto al titolare dell’Interno «un approccio più politico» sui dossier che riguardano la sicurezza: una delle priorità di Meloni, che – così la descrivono – «è molto attenta alla percezione trasmessa dal governo ai cittadini sul tema». Lo dimostrano le parole pronunciate sui centri in Albania, quel «ce la faremo», e la soddisfazione per la sponda ricevuta sul progetto dalla presidente della Commissione Ue von der Leyen. Immigrazione e sicurezza sono capisaldi della politica di governo e Piantedosi sta nel crocevia cruciale.
Non sarebbe quindi casuale l’atteggiamento di Salvini, che non ha esitato a «sognare» il ritorno sulla poltrona occupata oggi da chi era stato il suo braccio destro nella stagione del gabinetto gialloverde. E che lui stesso aveva indicato per il Viminale. Ma ultimamente i rapporti tra i due non sarebbero più gli stessi. Secondo rappresentanti dell’esecutivo, il Capitano avrebbe ricevuto delle lamentele da Molteni – viceministro leghista all’Interno – rispetto ad alcuni indirizzi chiesti e non ottenuti per conto del Carroccio.
L’accusa verso Piantedosi è di essere «rimasto un prefetto». E tuttavia è stata una mossa tutta politica quella di annunciare al Corriere – subito dopo l’assoluzione di Salvini – che mai e poi mai si candiderà per la carica di governatore in Campania. Decisione che Piantedosi aveva anticipato sia alla premier sia «all’amico Salvini»: «Se volete lo metto per iscritto davanti a un notaio». Nel frattempo il ministro ha ultimato un dossier dal quale risulterebbe che negli ultimi dieci anni «i picchi di minori arrivi» di immigrati irregolari in Italia coinciderebbero con la sua presenza al Viminale: oggi come ministro di Meloni, ieri come capo di gabinetto di Salvini, quando era ministro dell’Interno...