Corriere della Sera, 28 dicembre 2024
Nel fortino pro Assad
All’improvviso è come se gli alawiti fossero quasi del tutto spariti, evaporati nel caos della rivoluzione siriana. «Alawita o sunnita?», chiediamo diretti ai rari passanti. E in stragrande maggioranza rispondono dopo una breve esitazione: «Sunnita». Ma è impossibile, sappiamo bene che non è vero. Tartus, assieme a Latakia e le altre cittadine sulla costa siriana a nord del Libano, sono da sempre il cuore pulsante di questa setta minoritaria sciita (circa il 12 per cento della popolazione), che per mezzo secolo ha sostenuto la dittatura del clan Assad. Alawiti erano i comandanti militari, i capi dei servizi di sicurezza, i responsabili dei massimi istituti finanziari e delle industrie, oltre agli uomini chiave del governo, inclusi gli aguzzini che torturavano e uccidevano in carcere. Oltretutto, qui sono scappati in massa quelli che si trovavano a Damasco, Homs, Hama e nelle altre città e villaggi sino ad Aleppo durante i giorni concitati che hanno preceduto l’avanzata vittoriosa dei guerriglieri islamici di Hayat Tahrir al Shams (Hts) sino alla defenestrazione del regime l’8 dicembre.
Il modo migliore per ottenere un minimo di dialogo autentico si rivela fare domande indirette. Tipo: siete preoccupati della presenza di jihadisti stranieri tra i gruppi che pattugliano la strade? Oppure, temete le vendette da parte dei vincitori? Che pensate del futuro? Dalle risposte emerge così la paura diffusa tra coloro che hanno sostenuto la dittatura, o comunque hanno accettato di collaborare, e adesso, memori degli orrori di 13 anni di repressione senza pietà contro i sunniti in rivolta, vorrebbero essere rassicurati, cercano protezione. Ne hanno motivo. È sufficiente viaggiare in auto per cogliere quanto il Paese sia letteralmente coperto di macerie: interi quartieri delle città principali sono stati rasi al suolo dai bombardamenti del regime e dei suoi alleati russi e iraniani, sono in macerie centinaia di villaggi, sono spariti fabbriche, capannoni, nuclei urbani diffusi. Assad ha fatto una guerra spietata ai siriani sunniti e non è strano che i suoi complici abbiano paura. Anche perché Tartus e la zona costiera appaiono invece praticamente intatte e benestanti, come lo sono anche parecchi nuclei cristiani. «Non abbiamo alcuna idea di cosa avverrà nei prossimi mesi. Nel Paese girano troppe persone armate con la barba lunga che arrivano dall’estero e non conosciamo. Cosa vogliono fare qui in Siria?», ci dicono due trentenni che ammettono infine di essere alawiti e lavorano in un caffè vicino alla piazza principale. Le loro parole ricordano quelle di tanti cristiani incontrati a Damasco e Aleppo negli ultimi giorni.
Da mercoledì Tartus e le zone limitrofe sino a Homs sono state interessate da gravi scontri e disordini. E ciò nonostante il nuovo leader a Damasco, Abu Mohammad al Jolani (come è noto col suo nome di guerra), abbia fatto appello alla calma e lavori per una politica inclusiva. Una quindicina di suoi miliziani sono stati uccisi mentre arrestavano Mohammed Kanjo Hassan, ex generale e capo dei tribunali del vecchio esercito accusato di avere condannato a morte migliaia di prigionieri a Sednaya. «Abbiamo allora lanciato una serie di retate per catturare alcuni pezzi grossi degli apparati repressivi di Assad con le mani sporche di sangue. Ma non vogliamo certo scatenare il malcontento, evitiamo punizioni di massa e guerre di religione. Sulle nostre liste dei ricercati ci sono in tutto circa 150 nomi di criminali nell’intero Paese, che vanno puniti», ci dice il 30enne comandante della caserma di Tartus, Abdullah Mohammad.
Come tanti suoi uomini, lui viene da Idlib, è stato addestrato e armato dalla Turchia e combatte da oltre 10 anni. «Sappiamo che alcuni ricercati si nascondono nelle zone rurali. Ma il nostro maggior successo sino ad ora sono i Centri per la riconciliazione nazionale. Offriamo ai soldati del vecchio esercito di redimersi. Vengono ai nostri centri, consegnano armi e automezzi. In cambio, noi diamo un attestato di condono. Sino ad ora nella sola Tartus si sono presentati in 17.000», aggiunge. Le sue pattuglie controllano distratte i documenti agli incroci. Poco lontano, la grande base russa accanto al porto commerciale è presidiata da guerriglieri con i pick-up su cui sono montati mitragliatrici pesanti.
Putin sta negoziando con Jolani la possibilità di rinnovare la presenza in Siria dei suoi centri logistici militari. Tornando verso Homs ci fermiamo al grande castello crociato, il Krak dei Cavalieri: qui le guide turistiche attendono con impazienza il ritorno dei pullman di stranieri. «La dittatura di Bashar aveva impoverito tutti. Adesso si apre una nuova era di speranze», dicono. Ma già alle cinque di sera il traffico si dirada. Ci sono gruppi di banditi armati. Ai posti di blocco dicono che la notte è imposto il coprifuoco, vietato muoversi dopo le 21.