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 2024  dicembre 28 Sabato calendario

L’Europa affronta (divisa) la difesa dai missili dello zar

Le divisioni fra Paesi stanno segnando, secondo vari osservatori, la corsa dell’Unione europea a dotarsi di uno scudo antimissile contro le minacce della Russia o dell’Iran. Due gruppi di governi mostrano sempre di più approcci divergenti. Italia, Francia e Polonia – pur restando nel quadro occidentale – vogliono sviluppare sistemi anti-aerei autonomi. La Germania invece guida un nucleo di Paesi decisi a rifornirsi presso i produttori alla frontiera tecnologica di oggi: Stati Uniti e Israele. Non si tratta di una disputa puramente teorica. Il lancio sull’Ucraina del primo Oreshnik di Mosca ha colto di sorpresa praticamente tutti. Nelle capitali europee si sapeva da tempo che Mosca stava progettando un missile ipersonico manovrabile a testata multipla e propulsione a motore: non che fosse già pronto. Almeno su questo in realtà sta prendendo forma una risposta comune ai principali Paesi: è il programma Hydis («Hypersonic Defense Interceptor System») che vede come clienti Italia, Francia, Germania e Olanda. Il leader industriale è Mbda, il consorzio nel quale l’italiana Leonardo è alleata al gruppo franco-tedesco Airbus e alla britannica Bae Systems. Si tratta solo di un passo in più rispetto a un ritardo già ampiamente da colmare: anche senza l’Oreshnik, in caso di guerra, i sistemi antimissile sotto controllo europeo bastereb-bero a proteggere le città per pochi giorni. Non di più. Ma l’apparente unità di Hydis non riesce a coprire una frattura che rischia di sprecare risorse preziose. Perché questa non è una piccola partita. Lo scudo può assorbire buona parte dei 500 miliardi di euro del fondo – sul quale si discute a Bruxelles – da raccogliere con emissioni europee di debito garantite pro-quota dai vari Paesi. Una difesa antimissile è un investimento colossale: richiede sistemi di lancio, proiettili, radar, satelliti, intelligenza artificiale, comunicazio-ne e sistemi a infrarossi per identificare la minaccia all’origine, oltre che per inseguire e raggiungere missili che possono viaggiare a oltre seimila chilometri l’ora e salire a 150 chilometri dal suolo. È su questi temi che i principali Paesi europei si stanno dividendo. La Germania ha costruito una coalizione (European Sky Shield Initiative) a 22 Paesi: fra questi Olanda, Finlandia, Svezia, Paesi baltici, Romania e neutrali come Svizzera e Austria. L’architettura di base prevede missili a corto raggio come lo Skyranger 30 della tedesca Rheinmetall o l’Iris-T (nel quale partecipa anche l’italiana Leonardo), ma soprattutto i Patriot dell’americana Raytheon per medio-lungo raggio e – per il lungo raggio – gli ipersonici Arrow 3 dell’americana Boeing e di Israel Aerospace Industries. Berlino vuole procurarsi la propria difesa antimissile, si dice in gergo, prendendola «dagli scaffali» dei prodotti già in vendita. Una batteria di Patriot per esempio costa circa un miliardo di dollari negli Stati Uniti ma 2,4 miliardi all’esportazione. Il vantaggio è nell’ottenere prima un prodotto alla frontiera tecnologica, per esempio con gli Arrow 3 israelo-americani; lo svantaggio è nella dipendenza e nell’arretratezza industriale. Italia e Francia, sostenute da Polonia e Spagna, puntano invece sui propri sistemi. In questo Mbda, il consorzio fra Leonardo, Airbus e Bae, è in grado di fornire uno scudo antimissile e ci sta lavorando. Per il corto-medio raggio l’Italia ricorre all’Aster 15 prodotto da Mbda Italia con la francese Thalès e al Camm-Extended Range di Mbda Italia in collaborazione con la consorella britannica, mentre la Francia si affida al VL-Mica (di Mbda France) oltre che all’Aster 15. Per il medio raggio, anche contro i missili balistici, Italia e Francia producono e adottano l’Aster 30. Alla fine i diversi sistemi potranno comunque operare in modo integrato, benché probabilmente a costi e difficoltà maggiori. Sempre che Donald Trump non prema sugli europei con la sua idea fissa: vendere sistemi americani, a tutti.