Corriere della Sera, 28 dicembre 2024
Mario Calabresi, a proposito dell’arresto di Cecilia Sala
Dal 19 dicembre, il direttore Mario Calabresi ha il telefono occupato. È sempre in contatto con la famiglia di Cecilia Sala – la giornalista arrestata a Teheran – il compagno e collega Daniele Raineri, la Farnesina, l’ambasciata, Palazzo Chigi e la sua redazione di Chora Media. «Dalla mattina di giovedì, da quando abbiamo perso le sue tracce, ci siamo uniti tutti con un unico obiettivo: portare Cecilia a casa al più presto».
Direttore, come è andata?
«Questo era un viaggio a cui Cecilia teneva molto. Era tanto tempo che aveva chiesto il visto. Voleva tornare a Teheran – città che ha raccontato anche nel suo libro, L’incendio (Mondadori) – perché voleva vedere com’è oggi. Voleva rivedere le ragazze iraniane. Lei ha molte amiche lì. Il fatto che le avessero concesso un visto di otto giorni, tra l’altro con la possibilità anche di estenderlo, l’aveva molto tranquillizzata. Aveva condiviso con le autorità gli incontri e le interviste che avrebbe fatto. Aveva un fixer dato dall’ambasciata».
Era stata scrupolosa.
«Molto, come è lei. Scrupolosa, seria, che studia. Erano già uscite tre puntate della serie Stories, il podcast che conduce per Chora, tre puntate in cui c’è tutta Cecilia: il racconto della vita, della società, delle persone, il ragionamento. Poi, giovedì, la nostra collega Francesca Milano mi ha chiamato e mi ha detto “non è arrivata la registrazione di Sala”».
Vi siete allertati?
«Non è una persona che manda in ritardo, nemmeno quando era in Ucraina, nei momenti più difficili sul fronte. Se non era in grado di mandare, avvisava. Quel non invio per noi è stato subito motivo di allarme».
Che cosa avete fatto?
«Il suo cellulare era spento. Non si connetteva su Whatsapp o su Telegram da almeno quattro ore, da quando l’avevamo sentita l’ultima volta. Un’altra cosa che ci ha preoccupati è che non ha fatto il check in del volo. Sarebbe dovuta partire il giorno dopo. A quel punto ne abbiamo parlato con il suo compagno, Daniele Raineri. Daniele è stato il primo ad avvisare l’unità di crisi della Farnesina, poi li ho chiamati anch’io».
Siete riusciti ad avere sue notizie solo il giorno dopo.
«La notte di silenzio è diventata angosciantissima perché non potevamo immaginare che cosa fosse successo. La mattina abbiamo sperato che fosse in aeroporto, invece l’aereo era partito senza di lei».
E la famiglia?
«Nella tarda mattina di venerdì 20 mi ha chiamato la madre dandomi la notizia che aveva sentito Cecilia. Mi ha raccontato che però sembrava come se stesse leggendo un comunicato».
Che cosa ha detto Sala al telefono?
«Che non le avevano fatto male, ma che era stata arrestata ed era in prigione. La madre le ha chiesto che cosa le fosse successo e perché l’avessero fermata e lei ha ripetuto la stessa frase. Quando la mamma le ha chiesto dove sei, lei ha scandito “non posso”. E poi la telefonata si è interrotta».
Siete in contatto costante con la Farnesina. Ci sono rassicurazioni?
«Tutte le autorità stanno facendo il massimo per riportare Cecilia a casa. Ho a cuore prima di tutto che Cecilia torni e quindi ripongo la massima fiducia nel lavoro delle autorità italiane. Eviteremo qualunque tipo di dibattito, interpretazione».
Qual è l’accusa?
«Otto giorni dopo ancora non lo sappiamo. Siamo in assenza di un’accusa formalizzata e quindi, inizialmente, la speranza era che questa cosa si potesse risolvere in fretta, motivo per cui siamo rimasti una settimana in silenzio».
Ci sono state altre chiamate dopo quella alla madre?
«Ha sentito il padre e Daniele Raineri, ma anche con loro ha potuto dire ben poco. È riuscita a far sapere che a Natale le hanno dato del pollo con il riso e due sigarette. Poi ieri, finalmente, è potuta andare a trovarla l’ambasciatrice Paola Amedei che le ha portato dei vestiti, del cibo. Ci ha comunicato che fisicamente sta bene».
Non è la prima volta che si trova in situazioni d’angoscia, da direttore.
«Negli anni ho visto diverse storie di questo tipo. Quando ero direttore de La Stampa, il mio giornalista Domenico Quirico è stato rapito in Siria. Una cosa buona dell’Italia è che non lascia mai soli i suoi cittadini. Altri Paesi hanno altre logiche. Io so che l’Italia non lascerà nemmeno Cecilia»